Qualora la società si cancelli volontariamente dal registro delle imprese, senza aver agito per l'accertamento e la liquidazione del diritto all'equo indennizzo, essa tacitamente rinuncia al diritto medesimo. Pertanto, i soci non succedono alla società estinta nella titolarità del credito indennitario.
La controversia trae origine dalla richiesta avanzata dai soci di una società di ottenere l'equo indennizzo spettante per la durata non ragionevole del procedimento civile di opposizione a precetto, incardinato nei confronti della società medesima.
In sede di legittimità, il Ministero della Giustizia sostiene l'erroneità della decisione...
Svolgimento del processo
1. – Con ricorso depositato il 21 maggio 2020, ai sensi degli artt. 2 e 3 della legge n. 89/2001, A.A. e P.A., rispettivamente, il primo, quale socio della Segheria artigiana (omissis) e (omissis) S.n.c. e, la seconda, quale unico successore del socio M.T., adivano la Corte d’appello di Perugia, al fine di vedersi riconoscere l’equo indennizzo spettante per la durata non ragionevole del procedimento civile di opposizione a precetto, incardinato nei confronti della predetta società – costituitasi con comparsa di risposta del 26 novembre 2008 – davanti al Tribunale di Spoleto, giudizio definito con sentenza n. 647/2018, pubblicata il 4 agosto 2018.
2. – Con decreto del 27 maggio 2020, il Giudice monocratico designato, al termine della fase monitoria, dichiarava l’improponibilità del ricorso per il superamento del termine di decadenza semestrale, decorrente dal momento in cui il giudizio presupposto era stato definito con pronuncia irrevocabile.
3. – Proponevano opposizione avverso tale decreto, ai sensi dell’art. 5-ter della legge n. 89/2001, A.A. e P.A., i quali deducevano che il ricorso era stato proposto tempestivamente e chiedevano, per l’effetto, la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di euro 8.400,00 ciascuno.
Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia, il quale eccepiva il difetto di legittimazione attiva in capo agli opponenti. Al riguardo, l’Amministrazione statale evidenziava che gli opponenti avevano agito quali soci di una società in nome collettivo, cancellata dal registro delle imprese in data 28 novembre 2011, con riferimento alla durata irragionevole (dal 2008 al 2018) di un giudizio civile del quale la società era stata parte, sicché riteneva che la domanda fosse inammissibile.
Gli opponenti replicavano che avevano agito in giudizio non solo come soci della società cancellata, ma anche in proprio, in quanto si erano costituiti con comparsa di risposta nel giudizio intrapreso dinanzi al Tribunale di Spoleto in data 19 aprile 2017.
La Corte d’appello di Perugia, in composizione collegiale, con il decreto di cui in epigrafe, accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, in riforma del provvedimento opposto, ingiungeva al Ministero della Giustizia di pagare, in favore di A.A., la somma di euro 3.200,00 e, in favore di P.A., la somma di euro 2.000,00, a titolo di indennizzo per danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo presupposto, oltre interessi dalla domanda al saldo.
A sostegno della decisione la Corte territoriale evidenziava: a) che, nel calcolo del termine semestrale di decadenza, il Giudice monocratico non aveva tenuto conto della sospensione straordinaria per l’emergenza epidemiologica da Covid, che aveva importato il differimento di tutti i termini processuali nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020, sicché il ricorso doveva ritenersi tempestivo; b) che nel processo presupposto la Segheria artigiana (omissis) e (omissis) S.n.c. si era costituita con comparsa di risposta del 26 novembre 2008 e, con comparsa di risposta del 19 aprile 2017, si erano costituiti in proprio A.A. e P.A., mentre il giudizio era stato definito con sentenza passata in giudicato il 2 ottobre 2019;
c) che, per l’effetto, il procedimento presupposto aveva avuto una durata, al netto del lasso temporale di riassunzione conseguente all’interruzione del processo per il dichiarato decesso di M.T., di circa dieci anni, da cui dovevano detrarsi tre anni di durata ragionevole; d) che, con riferimento ai residui sette anni, doveva essere indennizzata la durata irragionevole per tutto il periodo indicato in favore di A.A., mentre per P.A.
– subentrata iure hereditatis nei diritti spettanti al de cuius M.T. – l’indennizzo doveva essere limitato a cinque anni, dovendosi avere riguardo al momento finale rappresentato dal decesso del M.; e) che, con riferimento alla pretesa esercitata iure proprio dalla P., nulla poteva essere riconosciuto, in quanto la durata ragionevole non era stata superata nel periodo compreso tra la sua costituzione in giudizio e la pronuncia definitiva.
3.– Avverso il decreto d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, il Ministero della Giustizia. Sono rimasti intimati A.A. e P.A..
Motivi della decisione
1. – Preliminarmente si rileva che il ricorrente non ha allegato la relata volta a comprovare la dedotta notificazione del decreto impugnato. Nondimeno, non può darsi luogo alla declaratoria di improcedibilità, poiché il ricorso in cassazione è stato notificato entro il termine breve di 60 giorni dalla pubblicazione del decreto impugnato (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 11386 del 30/04/2019; Sez. 6-3, Sentenza n. 17066 del 10/07/2013).
2. – Tanto premesso, con l’unico motivo dedotto il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 81 c.p.c., 2312 c.c. e 2 della legge n. 89/2001, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente la legittimazione dei soci di una società in nome collettivo a proporre la domanda di indennizzo per equa riparazione, in nome e per conto della società cancellata dal registro delle imprese.
Al riguardo, il ricorrente rileva che la società di persone era parte del giudizio presupposto, nel corso del quale si era volontariamente cancellata dal registro delle imprese, mentre la successiva costituzione personale dei soci si era verificata a distanza di meno di due anni dalla chiusura del giudizio.
Cosicché nessuna legittimazione attiva avrebbe potuto essere riconosciuta ai soci, avendo solo la società assunto la qualità di parte del giudizio presupposto e non potendovi succedere i soci in forza dell’implicita rinuncia al credito indennitario conseguente alla cancellazione volontaria. Con riferimento alla costituzione in proprio dei soci, ugualmente nessun indennizzo avrebbe potuto essere accordato, atteso il mancato decorso del termine di durata ragionevole dal momento di tale costituzione sino alla definizione del giudizio.
2.1. – La doglianza è fondata.
Infatti, la società che, in quanto parte in un giudizio di durata irragionevole, volontariamente si cancelli dal registro delle imprese, senza aver agito per l’accertamento e la liquidazione del diritto all’equo indennizzo, tacitamente rinuncia al diritto medesimo, sicché i soci non succedono alla società estinta nella titolarità del credito indennitario (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 32007 del 05/11/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 685 del 15/01/2020; Sez. 6-2, Sentenza n. 8003 del 28/03/2017; Sez. U, Sentenza n. 19663 del 18/09/2014; Sez. 6-1, Sentenza n. 18939 del 09/09/2014; Sez. 2, Sentenza n. 1183 del 21/01/2014; Sez. U, Sentenza n. 6072 del 12/03/2013).
Al riguardo, secondo la richiamata giurisprudenza di legittimità, cui in questa sede si intende dare continuità, l’estinzione di una società di persone, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, determina un fenomeno di tipo successorio, in esito al quale sono trasferite ai soci esclusivamente le obbligazioni ancora inadempiute ed i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con esclusione, invece, delle mere pretese, ancorché azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, necessitanti dell’accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato, con la conseguenza che gli ex soci non hanno la legittimazione a farli valere in giudizio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 29108 del 18/12/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 19302 del 19/07/2018; Sez. 1, Sentenza n. 23269 del 15/11/2016; Sez. 3, Sentenza n. 15782 del 29/07/2016).
Da ciò discende che la pretesa indennitaria relativa alla durata non ragionevole del processo presupposto, di cui era stata parte la società di persone volontariamente cancellatasi dal registro delle imprese nel corso di tale procedimento, non poteva essere esercitata in suo nome e conto dai soci, appunto perché il contegno assunto dalla società, dotata di soggettività giuridica autonoma rispetto ai soci, lasciava implicitamente intendere l’abdicazione di tale pretesa. Al momento della cancellazione era, infatti, già percepibile il pregiudizio economico che sarebbe potuto derivare dalla protrazione oltre i limiti temporali previsti ex lege del processo, tanto da poter desumere da detto contegno la presunzione di una volontà dismissiva della società, che appunto non può prescindere dalla conoscenza o conoscibilità del diritto rinunciato.
Né la pretesa poteva essere fatta valere dai soci A.A. e P.A., in quanto parti costituite in proprio nel giudizio presupposto, con comparsa di risposta depositata il 19 aprile 2017, poiché, rispetto a tale momento di costituzione, il passaggio in giudicato in data 2 ottobre 2019 della sentenza conclusiva del processo presupposto non consentiva di ritenere superato il termine di durata ragionevole.
3. – Conseguentemente il decreto impugnato va cassato e, decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, seconda ipotesi, c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, va respinta la domanda di equa riparazione proposta.
All’esito, gli intimati in solido devono essere condannati alla refusione delle spese del giudizio di opposizione e del giudizio di legittimità, secondo il principio di soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, respinge la domanda di equa riparazione proposta da A.A. e P.A. e condanna gli intimati in solido alla refusione, in favore del ricorrente, dei compensi del giudizio di opposizione, che si liquidano in complessivi euro 832,65, e dei compensi del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 710,00, oltre spese prenotate o prenotande a debito.