Nel caso di specie, il cessionario sostiene la sua buona fede segnalando che i crediti di imposta acquistati dalla società erano stati pagati al 95% del loro valore nominale.
Il Tribunale di Ragusa, in funzione del giudice del riesame delle misure cautelari, rigettava l'istanza
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Ragusa in funzione di giudice del riesame delle misure cautelari reali ha rigettato l'istanza ex art. 324 cod.proc.pen. avanzata da Poste Italiane avverso il decreto del Gip del locale Tribunale che, in data 6 giugno 2022, aveva disposto il sequestro preventivo con finalità impeditive dei crediti di imposta ceduti dalla (omissis) s.r.l. in favore della società ricorrente, nell'ambito del procedimento a carico di R.G.F., legale rappresentante della (omissis) ed altri, per i reati di cui agli artt. 640 bis e 648ter.1 cod.pen., commessi in relazione all'accesso fraudolento alle agevolazioni statali previste dagli artt. 16 D.L. 63/2013 e 121 D.L. 34/2020 ( c.d. sismabonus) e alle conseguenti illecite cessioni dei crediti di imposta. In particolare, con il provvedimento genetico il Gip aveva disposto che la misura cautelare fosse eseguita tramite blocco sul portale dell'Agenzia delle Entrate e nei confronti della ricorrente venivano vincolati crediti di imposta relativi a sismabonus per un ammontare di Euro 2.593.033,00.
2. Ha proposto ricorso per cassazione la terza interessata POSTE ITALIANE S.r.l. con l'Avv.
P.S., deducendo:
2.1. la violazione degli artt. 324, comma 7, 309, comma 9, cod.proc.pen. e il difetto di motivazione in ordine alle esigenze cautelari sottese al sequestro preventivo impeditivo dei crediti di imposta di cui è titolare Poste Italiane che, pur essendo stati generati dalle false comunicazioni contestate agli indagati ai capi da a) ad e) della rubrica, erano ormai confluiti nel cassetto fiscale della ricorrente a seguito di acquisizioni effettuate nel corso del 2021. Il provvedimento genetico, secondo la difesa, non aveva offerto alcuna indicazione in ordine al motivo per cui la libera disponibilità dei crediti, da parte di soggetto assolutamente estraneo ai reati contestati, potesse aggravare le conseguenze dei reati medesimi, profilo valutato esclusivamente in relazione alla posizione degli indagati e in ordine al quale era preclusa la possibilità di integrazione da parte del Tribunale del riesame. L'ordinanza impugnata ha omesso di rilevare il vizio denunziato, argomentando in ordine al concorso del cessionario nella violazione amministrativa commessa dagli indagati sulla base di un'errata interpretazione del D.L. 34/2020, senza tuttavia considerare che siffatte asserzioni sono insuscettibili di riverberare sul profilo della pericolosità dei crediti di imposta di cui la ricorrente è titolare;
2.2 la violazione degli artt. 1.21, commi 4, 5 e 6 D.L. n.34/2020 nonché degli artt.9 D.lgs n.472/97 e 5 L. n.689/81 con riferimento all'asserito concorso di Poste Italiane nelle violazioni commesse dagli indagati in qualità di apparenti beneficiari delle detrazioni fiscali riconosciute a titolo di sismabonus e conseguente violazione dell'art. 321 cod.proc.pen. La difesa assume che l'ordinanza impugnata abbia fatto errata applicazione delle disposizioni di cui ai commi 4,5,6 dell'art. 121 D.L. c.d. Rilancio in tema ai controlli dell'amministrazione finanziaria sui benefici fiscali connessi alla realizzazione di interventi di recupero del patrimonio edilizio e accertamento dell'inesistenza dei presupposti per l'accesso ai benefici. Infatti, secondo la società ricorrente, dal tenore testuale del comma 5 dell'art. 121 emerge che la violazione di cui tratta il comma 6 concerne il concorso del fornitore o del cessionario con riguardo alla mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d'imposta sicché il Tribunale avrebbe dovuto verificare l'esistenza di indizi circa il contributo causale della società Poste Italiane alla violazione ascrivibile agli indagati N., Z., G., F. e M., ovvero ai soggetti che avevano falsamente dichiarato di aver sostenuto spese per l'effettuazione di interventi edilizi che avrebbero dato diritto alla detrazione d'imposta. Nella specie, nessun elemento è stato acquisito che deponga per l'esistenza di un contributo causale della ricorrente alle condotte illecite contestate. All'erronea interpretazione del concorso nell'illecito amministrativo è conseguito il mancato riconoscimento della qualità di cessionario in buona fede in capo a Poste Italiane. La difesa ribadisce che, alla luce delle allegazioni difensive in sede di riesame, deve ritenersi dimostrata la buona fede della società ricorrente dal momento che tutti gli acquisti dei crediti di imposta sottoposti a sequestro sono stati effettuati usando la diligenza concretamente esigibile alla luce delle disposizioni vigenti in materia di controlli e del funzionamento della Piattaforma Cessione Crediti gestita dall'Agenzia delle Entrate.
Aggiunge il difensore che le criticità rilevate a carico della (omissis) non avrebbero mai potuto essere percepite nemmeno dal più diligente dei cessionari e sono emerse solo per effetto dell'utilizzazione di applicativi e banche dati cui i comuni operatori finanziari non hanno accesso mentre alcuna disposizione di legge pone in capo al cessionario un obbligo di verifica documentale in ordine alla sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d'imposta. Inoltre la buona fede di Poste Italiane emerge dal fatto che i crediti di imposta acquistati da (omissis) sono stati pagati al 95% del loro valore nominale. In conclusione il difensore sottolinea che la conferma del sequestro preventivo sui crediti d'imposta acquistati dalla ricorrente intende tutelare gli interessi dell'Erario, vittima delle truffe per il conseguimento di erogazioni pubbliche, sacrificando ingiustamente il terzo in buona fede e snaturando la funzione tipica del provvedimento;
2.3 la violazione dell'art. 125, comma 3, cod.proc.pen., avendo il collegio cautelare omesso la motivazione ovvero reso una motivazione solo apparente in ordine ai presupposti legittimanti la misura con specifico riguardo alla qualità di cessionario in buona fede della ricorrente. In particolare, secondo la difesa, l'ordinanza impugnata è venuta meno all'onere di motivazione rafforzata sul requisito del periculum in mora; ha trascurato gli argomenti addotti a sostegno della buona fede della ricorrente nonché dell'impossibilità di configurare il nesso di pertinenzialità in considerazione del fatto che, una volta confluiti nel cassetto fiscale del cessionario, i singoli crediti d'imposta perdono la loro individualità, ed ha eluso i rilievi circa l'insussistenza di alcun onere di controllo in capo al cessionario.
2.4 Con memoria depositata il 4 novembre 2022 la ricorrente ha chiesto la rimessione del processo alle Sezioni Unite in ragione della rilevanza delle questioni proposte.
3. Con atto depositato il 1 dicembre 2022 il difensore e procuratore speciale di Poste Italiane, Avv. P.S., ha dichiarato di rinunziare al ricorso.
L'atto abdicativo risulta validamente formalizzato ai sensi dell'art. 589, comma 3, cod.proc.pen. e allo stesso consegue l'estinzione del giudizio d'impugnazione, configurandosi la rinuncia al ricorso per cassazione validamente proposto quale esercizio di un diritto potestativo dell'avente diritto, idoneo a caducare l'instaurato rapporto processuale.
4. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria ex art. 616 cod.proc.pen. nella misura precisata in dispositivo, non ravvisandosi ragioni d'esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tre.mila in favore della Cassa delle Ammende.