Non può ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della Cassazione della quale si censuri la valutazione del motivo di impugnazione.
La Suprema Corte respingeva il ricorso principale proposto dall'odierna ricorrente contro la sentenza con la quale la Corte d'Appello di Roma aveva accolto il reclamo proposto dalla controparte riformando la decisione di primo grado e rigettando la sua domanda volta ad ottenere la declaratoria di ingiustificatezza del licenziamento a lei intimato.
Contro tale...
Svolgimento del processo
1. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 34425 del 2021, ha respinto il ricorso principale proposto da A.M.U. nei confronti della (omissis) Sgr spa (già (omissis) Sgr spa) avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma che, accogliendo il reclamo della società, aveva riformato la decisione di primo grado e rigettato la domanda della lavoratrice volta alla declaratoria di ingiustificatezza del licenziamento intimatole il 12.4.2016. Ha dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato.
2. Contro l’ordinanza di questa S.C., A.M.U. ha proposto ricorso per revocazione affidato ad un unico motivo. La (omissis) Sgr spa ha resistito con controricorso.
3. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
5. Il ricorso per revocazione denuncia: la mancata enunciazione nell’ordinanza impugnata del principio di diritto, imposto dall’art. 384, comma 1, c.p.c.; l’errore nell’esame congiunto dei due motivi di ricorso per cassazione, in quanto sottostanti a diversi principi di diritto; il riferimento della S.C. a fatti in realtà non accertati nel giudizio di merito poiché le pagine 7 e 8 della sentenza d’appello, a cui rinvia l’ordinanza di legittimità, non contengono il riferimento a documenti o il richiamo non è comunque congruo; la Corte d’appello e la Corte di cassazione hanno fatto riferimento ad un documento prodotto dalla società con gli “omissis” prevalenti sui contenuti esposti; nel ricorso per cassazione era stata evidenziata la critica alla sentenza d’appello ed era stato allegato sub lett. c) il documento in questione senza gli “omissis” ma la S.C. ha statuito (pag. 7 della ordinanza n. 34425 del 2021) che “sull’addebitabilità dei fatti contestati alla società piuttosto che alla ricorrente non sono state esposte specifiche e rituali censure”, non avvedendosi che i documenti senza gli “omissis” provavano proprio che alla U. erano stati addebitati i comportamenti della società; la U. aveva potuto esplicare la sua difesa solo dopo aver conosciuto i documenti senza gli “omissis”, cioè solo dopo essere stata autorizzata ad accedere agli atti della Banca d’Italia; a causa di ciò, la contestazione posta a base del licenziamento era troppo generica ed ha leso il diritto di difesa della lavoratrice, con conseguente illegittimità del recesso; la S.C. ha ritenuto che fosse idonea fonte di convincimento un documento prodotto con gli “omissis” mentre nelle parti nascoste vi era la prova che la U. non avesse alcuna responsabilità per i procedimenti sanzionatori; il criterio del “grado elevatissimo di vaghezza” utilizzato dalla Corte per non valutare le ragioni della ricorrente non ha consentito di riconoscere la falsità della tesi della società e rende l’interpretazione della Corte di merito non la migliore, ma neppure una fra le possibili; la falsità non accertata dalla Corte è quella legata alla data in cui la SGR ha avuto la disponibilità degli esiti ispettivi della Consob di cui si parla nella lettera di contestazione; quanto sostenuto da S. in giudizio è falso nei termini in cui il presupposto (la disponibilità degli esiti ispettivi in data antecedente alla revoca intervenuta il 26 novembre 2015) non è vero; al momento della revoca la S. non disponeva degli esiti ispettivi e, quindi, delle “buone ragioni” che la Corte di merito ha ritenuto accertate dall’ispezione delle Autorità di Vigilanza, ma disponeva solo del testo dei provvedimenti sanzionatori notificati il 22.10.2015 ai sensi della normativa AML e dell’art. 195 del testo Unico della Finanza; questo conferma la evidente svista nella lettura dei documenti ed atti processuali.
6. Il ricorso per revocazione è inammissibile.
7. Secondo un indirizzo consolidato, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ai sensi degli artt. 391 bis e 395, n. 5 cod. proc. civ., deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di sussunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; in altri termini, l'errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, ma non può tradursi in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell'errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze di legittimità (fra le tante Cass., Sez. un., n. 8984 del 2018; Cass. Sez. Un. n. 30994 del 2017; Cass. n. 18899 del 2017; Cass. Sez. Un. n. 27218 del 2009).
8. Nessuno di questi requisiti ricorre nella fattispecie in esame in cui si assume, attraverso un’esposizione neanche rispettosa delle prescrizioni dettate dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., una svista nella lettura dei documenti e degli atti processuali che, anzitutto, appare imputabile direttamente alla Corte territoriale e non all’ordinanza impugnata per revocazione.
9. Le censure all’ordinanza pronunciata in sede di legittimità che investono, come peraltro precisato nella memoria (pag. 2) depositata dalla ricorrente in revocazione, la “mancata percezione della esistenza di critiche specifiche alla motivazione della sentenza della Corte territoriale”, sono parimenti inammissibili in quanto denunciano una errata interpretazione e valutazione degli atti processuali.
10. Al riguardo, si è precisato che in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ove il ricorrente deduca, sotto la veste del preteso errore revocatorio, l'errato apprezzamento da parte della Corte di un motivo di ricorso - qualificando come errore di percezione degli atti di causa un eventuale errore di valutazione sulla portata della doglianza svolta con l'originario ricorso - si verte in un ambito estraneo a quello dell'errore revocatorio, dovendosi escludere che un motivo di ricorso sia suscettibile di essere considerato alla stregua di un "fatto" ai sensi dell'art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., potendo configurare l'eventuale omessa od errata pronunzia soltanto un "error in procedendo" ovvero "in iudicando", di per sé insuscettibili di denuncia ai sensi dell'art. 391-bis cod. proc. civ. (v. Cass. n. 5221 del 2009; Cass. n. 8615 del 2017). Non può, quindi, ritenersi inficiata da errore di fatto la sentenza della Suprema Corte della quale si censuri la valutazione del motivo d'impugnazione, in quanto espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell'atto di impugnazione, perché in tal caso è dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di ricorso (Cass. n. 10466 del 2011, Cass. n. 14608 del 2007); va esclusa altresì la ricorrenza di errore revocatorio, nelle pronunzie di questa Corte, nel preteso errore sul contenuto concettuale delle tesi difensive delle parti, anch'esse non integranti "fatto" nei riferiti termini (Cass. n. 11657 del 2006), nel preteso errore nell'individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso (Cass. n. 5086 del 2008), nel preteso errore nell'interpretazione dei motivi (Cass. n. 9533 del 2006) o nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076 del 2008), così come, infine, nel preteso errore sull'esistenza, o meno, di una censura (Cass. n. 24369 del 2009).
11. Per le ragioni esposte il ricorso risulta inammissibile.
12. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
13. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.