
Risposta affermativa dalla Cassazione, la quale precisa che tale parere deve essere richiesto da una clausola del regolamento condominiale. Inoltre, la delibera assembleare che nega la realizzazione dell'intervento può essere oggetto di sindacato dell'autorità giudiziaria.
Un condomino impugnava la delibera con la quale l'assemblea gli aveva negato la possibilità di ampliare la sua unità immobiliare, ritenendo il nuovo ampliamento «troppo invasivo per l'estetica e l'unità del complesso». Il regolamento condominiale prevedeva espressamente la previsione per la quale «i condomini si obbligano...
Svolgimento del processo
Il Condominio (Omissis), ha proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 492/2018 della Corte d'appello di Brescia, depositata il 23 marzo 2018.
Resiste con controricorso A.A..
La Corte d'appello di Brescia ha respinto il gravame avanzato dal Condominio (Omissis) contro la sentenza resa dal Tribunale di Brescia in data 23 gennaio 2015, che aveva annullato la deliberazione assembleare approvata il 17 maggio 2013 dal condominio appellante limitatamente al punto sette, oggetto di impugnazione ex art. 1137 c.c., formulata dal condomino A.A.. Il A.A. aveva impugnato tale delibera nella parte in cui gli negava la possibilità di un ampliamento della sua unità immobiliare, giacchè contraddittoria rispetto a precedente deliberazione del 21 giugno 2012 e viziata da eccesso di potere. La Corte d'appello ha evidenziato che l'assemblea nella delibera del 17 maggio 2013 aveva rigettato la richiesta del condomino con tale affermazione: "l'assemblea a maggioranza non approva il nuovo ampliamento ritenendolo troppo invasivo per l'estetica e l'unità del complesso", senza sollevare alcuna contestazione in merito alla mancata allegazione dei progetti presentati al Comune per ottenere l'autorizzazione amministrativa in sanatoria. I giudici di secondo grado hanno poi negato che il Tribunale avesse espresso un giudizio di opportunità o convenienza della soluzione adottata dall'assemblea, avendo esso piuttosto esercitato un controllo di legittimità legato al vizio ed alla mancanza di motivazione del diniego. Si aggiunge che già nella assemblea del 22 giugno 2012 il condominio aveva deliberato "di autorizzare i condomini che lo desiderino ad effettuare un incremento, secondo le normative vigenti rapportato al volume individuale, che nelle villette centrali si realizza chiudendo i portici frontali, mentre per le villette di testata l'incremento si può realizzare anche lateralmente, previa visione in assemblea dei progetti da presentare in comune che verranno accettati in ultima istanza dall'assemblea". Di tal che, prosegue la Corte d'appello, "(l)'incremento laterale delle villette di testa (in conformità alle norme vigenti che consentono un ampliamento del 20% dell'unità immobiliare) era già stato previsto ed autorizzato dall'assemblea" e "la successiva accettazione menzionata contemplava una presa di visione del progetto ma non le attribuiva certo una mera potestà di gradimento svincolandola da un obbligo di motivazione. Il successivo diniego (in contrasto con la decisione già presa in precedenza) doveva essere ricondotto inevitabilmente alle ipotesi di legge (stabilità, sicurezza, decoro) risolvendosi in una compressione del diritto di proprietà dei singoli e come tale doveva essere adeguatamente motivata". Quanto, infine, alla portata dell'art. 13 del regolamento condominiale, che prevede che "i condomini si obbligano reciprocamente a richiedere il parere vincolante della assemblea per i lavori da svolgere nelle parti private che riguardano la facciata dell'edificio e le parti esterne che concorrono all'estetica ed al decoro dell'intero immobile", la Corte d'appello di Brescia ha affermato che in tale clausola regolamentare "non è previsto alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell'art. 1122 c.c., nè tantomeno è sancito pattiziamente un divieto di eseguire sulle parti private una qualsiasi opera modificativa", ma "viene solamente imposto un onere di informativa preventiva degli interventi all'assemblea il cui parere vincolante non può... risolversi in una compressione del diritto di proprietà dei singoli basato esclusivamente su una mera valutazione di gradimento personale senza alcuna espressa motivazione dalla quale si possa desumere quale sia la ritenuta lesione al decoro architettonico vietata ai sensi di legge", non potendo pertanto "soddisfare tale requisito l'espressione generica e di stile utilizzata a corredo del diniego formulato dall'assemblea".
Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
Le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso del Condominio (Omissis) deduce la falsa applicazione da parte del Giudice di secondo grado dell'art. 1137 c.c., e la violazione dell'art. 1109 c.c., avendo la Corte di Brescia esercitato un controllo nel merito della deliberazione impugnata.
Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell'art. 1362 c.c., non avendo la Corte di Brescia applicato tale norma nella interpretazione dell'art. 13 del regolamento in riferimento all'art. 1122 c.c., ed in particolare avendo stravolto il significato letterale delle due disposizioni, ove ha affermato che nel regolamento non è previsto alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell'art. 1122 c.c., e che l'art. 13 prevederebbe solo un obbligo di informativa preventiva degli interventi alla assemblea.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1322 c.c. e 1372 c. c., avendo la sentenza impugnata negato efficacia al patto con il quale i condomini avevano attribuito all'assemblea il potere di manifestare un parere vincolante sulle opere private che concorrono all'estetica, violando con ciò il principio di libera autonomia e di efficacia del patto avente forza di legge tra le parti.
Il quarto motivo del ricorso del Condominio (Omissis) denuncia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia in violazione dell'art. 112 c.p.c., avendo la Corte d'appello ritenuto che il Tribunale non fosse tenuto ad argomentare sulla mancata pronuncia in ordine alla eccezione del Condominio secondo cui dai disegni presentati in assemblea l'ampliamento che intendeva realizzare il condomino A.A. era abnorme.
Il quinto motivo di ricorso deduce, infine, l'omesso esame del fatto che dai disegni allegati emerge ictu oculi un ampliamento superiore alla metà della costruzione esistente, senza nessun raffronto con il resto degli edifici e le aree verdi, nonchè i materiali e l finiture.
2. Il controricorrente afferma che i primi quattro motivi di ricorso sono infondati, mentre il quinto è inammissibile.
3. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso del Condominio (omissis), da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati nei sensi di seguito indicati, rimanendo assorbite le restanti censure che, per effetto dell'accoglimento del secondo e del terzo motivo, risultano prive di immediata rilevanza decisoria.
3.1. E' noto come le modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., che possono essere apportate dal singolo condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso più intenso, sempre che non alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso, non richiedono alcuna preventiva autorizzazione dell'assemblea, salvo che tale autorizzazione non sia imposta da una convenzione contrattuale approvata dai condomini nell'interesse comune mediante esercizio dell'autonomia privata (ad esempio, Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509). Alla eventuale autorizzazione ad apportare tali modifiche concessa o negata dall'assemblea, in difetto di apposito vincolo contrattuale a premunirsene, deve quindi attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini rispetto alla concreta utilizzazione del bene comune che voglia farne il singolo partecipante (Cass. Sez. 2, 20/02/1997, n. 1554). Il condomino che intenda procedere ad una modificazione delle parti comuni, in assenza di obbligo di preventiva autorizzazione assembleare imposto per contratto, non ha dunque neppure interesse ad agire per l'impugnazione della deliberazione dell'assemblea che abbia espresso un parere contrario all'intervento, non generando la stessa alcun concreto pregiudizio ai suoi diritti, tale da legittimare la pretesa ad un diverso contenuto dell'assetto organizzativo della materia regolata dalla maggioranza assembleare.
3.2. A sua volta, l'art. 1122 c.c., tanto nella formulazione vigente all'epoca della deliberazione assembleare qui impugnata (17 maggio 2013), che nella formulazione conseguente alla novella di cui alla L. n. 220 del 2012, fa divieto al singolo condomino di eseguire nell'unità immobiliare di sua proprietà esclusiva opere che rechino danno alle parti comuni, ovvero che determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico. Il vigente art. 1122 c.c., comma 2, dispone che il condomino che intenda procedere ad opere su parti di sua proprietà o uso individuale ne dia preventiva notizia all'amministratore, il quale possa così riferirne in assemblea perchè siano adottate le eventuali iniziative conservative volte a preservare l'integrità delle cose comuni (e non dunque perchè tali opere siano doverosamente "autorizzate" dagli altri partecipanti).
3.3. Diverso è il caso in cui una convenzione adottata in sede di regolamento di condominio imponga il consenso dell'assemblea per qualsiasi opera compiuta dai singoli condomini che possa modificare le parti comuni dell'edificio. La giurisprudenza riconosce, infatti, all'autonomia privata la facoltà di stipulare convenzioni che pongano limitazioni nell'interesse comune ai diritti dei condomini, anche relativamente al contenuto del diritto dominicale sulle parti comuni o di loro esclusiva proprietà. Inoltre, il regolamento può validamente dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dagli artt. 1120 e 1122 c.c., e supposta dal medesimo art. 1102 c.c., arrivando al punto di imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica ed all'aspetto generale dell'edificio; ovvero richiedere, per le modifiche incidenti sulle facciate dell'edificio o su altre superfici che concorrano a delineare il decoro del fabbricato, il benestare dell'assemblea, mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, che pone nell'interesse comune una peculiare modalità di definizione dell'indice del decoro architettonico. Ne consegue che i singoli condomini non possono sottarsi all'obbligo, di carattere negoziale, derivante dalle disposizioni del regolamento che impongono di richiedere la preventiva autorizzazione dell'assemblea per eseguire qualsiasi lavoro sulle cose comuni o sulle parti esclusive (cfr. indicativamente Cass. Sez. 2, 21/05/1997, n. 4509; Cass. Sez. 2, 02/05/1975, n. 1680; Cass. Sez. 2, 29/04/2005, n. 8883; Cass. Sez. 2, 24/01/2013, n. 1748; Cass. Sez. 2, 19/12/2017, n. 30528; Cass. Sez. 6 - 2, 18/11/2019, n. 29924; Cass. Sez. 6 - 2, 16/02/2021, n. 4024; Cass. Sez. 2, 08/07/2021, n. 19435; Cass. Sez. 6 - 2, 08/04/2022, n. 11502).
L'elaborazione della giurisprudenza spiega altresì che le modificazioni apportate da uno dei condomini, in violazione del divieto previsto dal regolamento di condominio, connotano tali opere come abusive e pregiudizievoli e configurano l'interesse degli altri partecipanti al condominio ad agire a tutela della cosa comune (cfr. Cass. Sez. 2, 09/06/1988, n. 3927; Cass. Sez. 2, 15/01/1986, n. 175).
3.4. La Corte d'appello di Brescia ha errato, allora, nell'affermare che l'art. 13 del regolamento del Condominio (Omissis), il quale prevede che "i condomini si obbligano reciprocamente a richiedere il parere vincolante della assemblea per i lavori da svolgere nelle parti private che riguardano la facciata dell'edificio e le parti esterne che concorrono all'estetica ed al decoro dell'intero immobile", non configura "alcun limite ulteriore rispetto al dettato dell'art. 1122 c.c.", nè tantomeno sancisce "pattiziamente un divieto di eseguire sulle parti private una qualsiasi opera modificativa", venendo con esso "solamente imposto un onere di informativa preventiva degli interventi all'assemblea il cui parere vincolante non può... risolversi in una compressione del diritto di proprietà dei singoli basato esclusivamente su una mera valutazione di gradimento personale senza alcuna espressa motivazione dalla quale si possa desumere quale sia la ritenuta lesione al decoro architettonico vietata ai sensi di legge", nè potendo pertanto "soddisfare tale requisito l'espressione generica e di stile utilizzata a corredo del diniego formulato dall'assemblea".
3.4.1. In tal modo, i giudici del merito non hanno fatto corretto uso dell'art. 1362 c.c., che nel comma 1, pur prescrivendo all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass. Sez. 3, 27/07/2001, n. 10290; Cass. Sez. 2, 22/08/2019, n. 21576).
Il senso letterale delle parole contenute nell'art. 13 del regolamento del Condominio (Omissis) subordina, per forza di contratto, la legittima esecuzione individuale di opere che incidano sulla facciata o comunque sull'aspetto esteriore del fabbricato, e quindi sul suo decoro architettonico, al "parere vincolante della assemblea", parere che dunque obbliga ciascuno condomino, oltre che alla relativa richiesta, a uniformarsi al suo contenuto.
3.4.2. Non è quindi ex se contraria a legge nè al regolamento, ed in particolare al menzionato art. 13 del regolamento del Condominio (Omissis), agli effetti dell'art. 1137 c.c., la delibera impugnata, che rigettava la richiesta del condomino A.A. di eseguire "il nuovo ampliamento ritenendolo troppo invasivo per l'estetica e l'unità del complesso". In tal modo, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte d'appello di Brescia, l'assemblea ha esercitato la prerogativa, attribuitale dalla convenzione adottata in sede di regolamento, di esprimere il consenso alle opere eseguite dai singoli condomini riguardanti la facciata e le superfici esterne, a salvaguardia del decoro architettonico.
Neppure è decisivo il rilievo che l'assemblea avesse in precedenza, con la delibera del 22 giugno 2012, già autorizzato "(l)'incremento laterale delle villette di testa", avendo la stessa assemblea sempre il potere di decidere le modalità concrete di utilizzazione dei beni comuni, nonchè di modificare quelle in atto, anche revocando una o precedenti delibere, benchè non impugnate da alcuno dei partecipanti, e stabilendone liberamente gli effetti, sulla base di una rivalutazione dei dati ed apprezzamenti obiettivamente rivolti alla realizzazione degli interessi comuni ed alla buona gestione dell'amministrazione (Cass. Sez. 2, 04/02/2021, n. 2636).
3.4.5. Anche, peraltro, le deliberazioni dell'assemblea condominiale aventi contenuto negativo sono legittimamente impugnabili dinanzi all'autorità giudiziaria al pari di tutte le altre, limitandosi l'art. 1137 c.c., a stabilire la possibilità del ricorso all'autorità giudiziaria contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, senza operare nessuna distinzione tra quelle che abbiano approvato proposte o richieste e quelle che le abbiano, invece, respinte (così Cass. Sez. 2, 14/01/1999, n. 313; Cass. Sez. 2, 29/01/2021, n. 2127; Cass. Sez. 6 - 2, 23/07/2020, n. 15697).
3.4.6. Avendosi riguardo ad una azione di impugnazione di deliberazione dell'assemblea di condominio, ai sensi dell'art. 1137 c.c., la quale, avvalendosi di clausola di natura contrattuale inserita nel regolamento di condominio, ha rigettato la richiesta di un condomino di eseguire opere di ampliamento della sua unità immobiliare, giacchè arrecanti pregiudizio al decoro architettonico dell'edificio, occorre altresì considerare che l'onere di provare il vizio di contrarietà alla legge o al regolamento di condominio, da cui deriva l'invalidità della stessa, grava sul condomino che la impugna (arg. da Cass. Sez. 1, 19/02/2018, n. 3946; Cass. Sez. 1, 10/11/2005, n. 21831).
Se, allora, è innegabile che il sindacato dell'autorità giudiziaria sulle delibere assembleari non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l'assemblea dei condomini, a fronte, come nel caso in esame, di una deliberazione che opponga un veto alle opere che voglia realizzare il singolo condomino, ritenendole lesive del decoro architettonico, la verifica di legittimità postulata dall'art. 1137 c.c., non esclude, peraltro, la necessità di un accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento (cui dovrà perciò provvedersi in sede di rinvio) il presupposto indefettibile per controllare la rispondenza della delibera alla legge (Cass. Sez. 6 - 2, 18/11/2019, n. 29924; arg. anche da Cass. Sez. 2, 07/07/1987, n. 5905).
4. Deve pertanto enunciarsi il seguente principio:
allorchè una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, obblighi i condomini a richiedere il parere vincolante della assemblea per l'esecuzione di opere che possano pregiudicare il decoro architettonico dell'edificio, la deliberazione che deneghi al singolo partecipante il consenso all'intervento progettato, ritenendo lo stesso lesivo della estetica del complesso, può essere oggetto del sindacato dell'autorità giudiziaria, agli effetti dell'art. 1137 c.c., soltanto al fine di accertare la situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento il presupposto indefettibile per controllare la legittimità della delibera.
5. Conseguono l'accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, del secondo e del terzo motivo del ricorso, con assorbimento degli altri motivi, nonchè la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d'appello di Brescia in diversa composizione, la quale riesaminerà la causa tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi all'enunciato principio, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Brescia, in diversa composizione.