La Cassazione risponde al quesito ponendo l'accento sulla natura della concessione. Si tratta infatti di erogazioni con un vincolo di destinazione provenienti dal Decreto Liquidità (D.L. n. 23/2020), prive di qualsiasi connotazione assistenziale.
Il Tribunale di Ravenna accoglieva la richiesta di riesame avanzata nell'interesse degli indagati e annullava il decreto con cui il GIP aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di somme di denaro fino all'ammontare di circa 836mila euro.
La misura era stata disposta per via della condotta addebitata agli indagati, consistita nell'aver fatto conseguire...
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza emessa in data 13/06/2022 il Tribunale di Ravenna, in accoglimento della richiesta di riesame avanzata nell'interesse di B.M., C.M. e N.G., annullava il decreto del G.i.p. del Tribunale di Ravenna dell'01/04/2022, con cui era stato disposto:
- il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, delle somme di denaro esistenti nel sistema bancario, a qualsiasi titolo nella disponibilità della società (omissis) s.r.l. con sede di Ravenna sino alla concorrenza della somma di euro 836.640;
- nonché, ove il danaro giacente sui rapporti finanziari direttamente o indirettamente riferibili alla società fossero risultati in tutto o in parte insufficienti rispetto a detto importo, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente delle somme di denaro esistenti nel sistema bancario, a qualsiasi titolo nella disponibilità di C.M., N.G. e B.M., fino alla concorrenza di euro 836.640;
- ed inoltre, ove il denaro giacente sui rapporti finanziari riferibili al C., al N. e al B. fossero risultati in tutto o in parte insufficienti, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni immobili e mobili registrati direttamente o indirettamente riferibili al C., al N. e al B., fino alla concorrenza di euro 836.640;
- infine, il sequestro preventivo delle quote delle società (omissis). s.r.l. e (omissis) s.r.l., con sede in Bologna.
2. Premetteva il Tribunale che il sequestro era stato disposto in relazione al fumus dei reati ipotizzati nel capo d'imputazione, seppur in parte diversamente qualificati: la condotta contestata agli indagati, nelle qualità indicate, era quella dì aver fatto conseguire indebitamente, con artifici e raggiri, con conseguente induzione in errore, alla (omissis) dall'istituto di credito Intesa Sanpaolo un finanziamento di 850.000 euro, con la garanzia pubblica del fondo centrale per le piccole e medie imprese, erogato ai sensi del cd. decreto liquidità (art. 13, comma 1, lett. c del decreto-legge n. 23 del 2000), in assenza dei relativi requisiti e per finalità estranee a quelle pubbliche, in seguito eludendo il vincolo di destinazione e facendo conseguire liquidità anziché alla (omissis) agli stessi indagati ed a terzi; condotta contestata dalla Procura in termini di truffa aggravata ex art. 640 bis cod. pen. - in relazione all'ottenimento delle somme in assenza dei presupposti richiesti dalla legge - e di malversazione ai danni dello Stato ex art. 316 bis cod. pen. - in relazione alla spendita di tali somme al di fuori del vincolo di destinazione previsto dal medesimo testo normativo - e che il gip aveva unitariamente ricondotto al reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ai sensi dell'art. 316 ter cod. pen.
2.1. Il Tribunale riteneva l'insussistenza del fumus di entrambi i reati contestati (art. 640 bis cod. pen. e 316 bis cod. pen.) e, per quanto riguarda l'indebita percezione ex art. 316 ter cod. pen., pur affermando che la condotta in esame fosse maggiormente aderente a tale fattispecie, concludeva in ogni caso per la "concreta assenza dei gravi indizi che legittima(va)no l'adozione del sequestro", sul presupposto che fossero errati i criteri di calcolo utilizzati dal consulente del P.M. per sostenere l'illiceità della percezione del finanziamento, in relazione ai dati che sarebbero stati forniti nella richiesta ed utilizzati per quantificare l'importo della somma da erogare.
Il Tribunale, inoltre, esaminando ulteriormente il fumus del reato di malversazione, lo escludeva, sul presupposto che il finanziamento, sebbene connotato da onerosità attenuata e destinato alla realizzazione della finalità di interesse pubblico, non era stato erogato direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico bensì da un soggetto privato (nel caso concreto, un istituto bancario).
3. Avverso l'ordinanza collegiale ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Ravenna sulla base di tre motivi.
3.1. Con il primo motivo, in merito alla ritenuta insussistenza del delitto di cui all'art. 316 bis cod. pen. ha eccepito la violazione di legge e il vizio di motivazione, sul presupposto che il Tribunale aveva incentrato la propria valutazione su un dato erroneo, in fatto ed in diritto, ossia la natura esclusivamente privatistica del finanziamento, non considerando che per effetto della garanzia pubblica il rischio di credito ricadeva integralmente sullo Stato che aveva a tal fine preventivamente accantonato un apposito fondo, così assumendosi l'onere patrimoniale della mancata restituzione del finanziamento bancario.
3.2. Con il secondo motivo la violazione di legge ed il vizio di motivazione sono stati riferiti alla ritenuta insussistenza del delitto di truffa aggravata in danno dell'istituto di credito, senza considerare che il G.i.p. - contrariamente da quanto affermato dal Tribunale - aveva correttamente ritenuto sussistente anche tale reato per il 10% dell'importo del finanziamento, quota non garantita, precisando che la Banca, diversamente dallo Stato, nell'accordare il finanziamento aveva operato una seppur contenuta, ma preventiva, istruttoria.
3.3. Con il terzo motivo, infine, è stata censurata, sempre sotto il profilo dell'inosservanza o erronea applicazione della legge penale, la ritenuta insussistenza del reato ex art. 316 ter cod. pen. posto che doveva escludersi nel caso di specie il diritto della società al finanziamento garantito, ottenuto con false dichiarazioni, riconducibili agli indagati, circa il danneggiamento conseguente a pandemia, in considerazione altresì dell'effettivo stato di liquidità della società, in grado di far fronte alle esigenze indicate nella normativa di riferimento (decreto legge n. 23 del 2020, art. 1, lett n).
Inoltre, la consulenza redatta su incarico della Procura doveva ritenersi corretta, in quanto il bilancio da cui estrarre i dati da porre come base di calcolo per stabilire la somma erogabile a titolo di finanziamento era quello del 2018, ultimo ad essere stato depositato, nella carenza di documentazione contabile e fiscale per l'anno 2019.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è fondato ed assorbente, per le ragioni in diritto di seguito indicate.
2. È contestato agli indagati di aver fatto conseguire indebitamente alla (omissis). un finanziamento di 850 mila euro dalla banca Intesa Sanpaolo, erogato ai sensi dell'art,13, comma 1, lett. c) ci.I. n. 23/2020, con la garanzia pubblica del fondo centrale per le piccole e medie imprese, drenando in seguito la liquidità ricevuta in favore proprio e di terzi ed eludendo in tal modo il vincolo di destinazione imposto dal Fondo di Garanzia. In particolare, sarebbero stati falsificati i dati, al fine di ottenere un finanziamento più elevato, in assenza in ogni caso di esigenze di liquidità e di effettivo pregiudizio economico conseguente alla pandemia; inoltre, il denaro del finanziamento ottenuto sarebbe stato in parte dirottato verso una società controllante ed in parte distribuito come utili societari, finalità estranee a quanto espressamente dichiarato in sede di richiesta del finanziamento.
3. La qualificazione giuridica della condotta, nei termini indicati, è stata oggetto di esame da parte dei giudici della cautela reale e definita in termini errati, per più profili.
Innanzitutto, ritiene il tribunale (par. 2.2) che il finanziamento in questione, sebbene connotato da onerosità attenuata e destinato alla realizzazione delle finalità di interesse pubblico, non viene erogato direttamente dallo Stato o da altro ente pubblico, bensì da un soggetto privato (nel caso concreto, un istituto bancario) e neppure la partecipazione di un siffatto istituto all'operazione di sostegno alle imprese perseguita con il d.l. 23 del 2020 è idonea ad incidere sulla sua natura esclusivamente privatistica.
Ciò varrebbe ad escludere la malversazione ex art. 316 bis cod. pen. e ad accreditare la tesi dell'indebita percezione di erogazioni a danni dello Stato ex art. 316 ter cod. pen. per quella parte di condotta che attiene alla spendita della somma erogata con il finanziamento (pag. 14 dell'ordinanza impugnata).
3.1. Ha stabilito, invece, di recente la Suprema Corte, con argomentazioni condivisibili che fanno chiarezza sulla questione in diritto, che in tema di legislazione emergenziale volta al sostegno delle imprese colpite dagli effetti della pandemia da Covid-19, è configurabile il reato di malversazione ex art. 316-bis cod. pen. nel caso in cui, successivamente all'erogazione, da parte di un istituto di credito, di un finanziamento assistito dalla garanzia pubblica rilasciata dal Fondo per le Piccole e Medie Imprese, ai sensi dell'art. 13, lett. m), del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. decreto liquidità), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40, gli importi erogati non vengano destinati alle finalità cui detto finanziamento è destinato per legge (Cass. sez. 6, sent. n. 28416 del 06/05/2022
- dep. 19/07/2022 - Rv. 283332).
Ha precisato la Corte in motivazione - anche in quel caso affrontando la questione centrale proposta dal Pubblico Ministero ricorrente circa la riconducibilità dell'erogazione pubblica concessa dal Fondo di Garanzia alla fattispecie di reato di malversazione a danno dello Stato - che deve ritenersi superato l'isolato precedente di legittimità, citato anche nell'ordinanza impugnata, secondo cui non potrebbe applicarsi la fattispecie di malversazione, in quanto difetterebbe una diretta erogazione da parte dello Stato; si è consolidata, invece, una lettura dell'operazione di finanziamento assistita dalla garanzia statale in chiave marcatamente pubblicistica, attraendo queste operazioni nell'ambito del sistema codicistico dedicato al contrasto delle frodi nelle pubbliche erogazioni.
Si rinvia a tal fine all'ampia e puntuale trattazione di cui ai paragrafi 10 e 11 della sentenza citata, la n. 28416/2022, a fondamento della conclusione secondo cui le disponibilità economiche oggetto del finanziamento assistito da garanzia del Fondo PMI derivano non già dal puro ricorso al metodo finanziario, quanto dall'intervento indiretto posto dallo Stato, per cui si è in presenza di un ausilio economico "ottenuto dallo Stato", secondo il lessico dell'art. 316 bis cod. pen.; ausilio che non deve necessariamente avere ad oggetto pecunia pubblica ma può avere anche ad oggetto finanziamenti erogati in ragione di una garanzia pubblica.
4. Le considerazioni che precedono - sulla natura del finanziamento in oggetto - costituiscono il presupposto anche per il corretto inquadramento giuridico del primo segmento della condotta contestata ossia le dichiarazioni non veritiere per ottenere il prestito garantito (erogazione che, secondo l'accusa, non era dovuta in difetto dei requisiti di legge - carenza di liquidità a seguito della contrazione del ricavato d'impresa determinato della pandemia - ovvero spettava in misura inferiore).
4.1. Anche in questo caso, è opportuno richiamare la giurisprudenza della sesta sezione della Corte, basata su principi espressi in subiecta materia dalle sezioni unite (S.U. n. 16568 del 19/4/2007, Carchivi, Rv. 235962) che, nell'affrontare il problema del rapporto tra le fattispecie di cui agli artt. 316 bis, 316 ter, 640 bis cod. pen., nonché i reati di falso che frequentemente si accompagnano a tali reati, ha chiarito i termini della questione, ritenendo configurabile il reato di indebita percezione a danno dello Stato o di altri enti pubblici qualora trattasi di erogazioni di natura assistenziale, conseguite sulla base di dichiarazioni mendaci in ordine alle proprie condizioni personali, familiari e patrimoniali.
Il tratto differenziale tra le fattispecie di cui all'art. 316 bis cod. pen. e quelle di cui agli artt. 316 ter cod. pen. è dunque rinvenibile nella violazione del vincolo di destinazione che grava sulle erogazioni ottenute, e che pacificamente non grava sulle erogazioni a fini assistenziali (in termini, in motivazione Cass. sez. 6, sent. n. 51962 del 02/10/2018 - dep. 16/11/2018 - Rv. 274510-02).
Ed è quanto si contesta essersi verificato nel caso di specie, posto che, sulla scorta della domanda della società interessata, alla quale erano allegate dichiarazioni non corrispondenti alle effettive condizioni economiche, si è "ottenuto dallo Stato" un ausilio economico per sostenere i costi espressamente indicati dall'art. 1, comma 2, lett. n) del d.l. n. 23/2020; erogazioni, quindi, con un vincolo di destinazione, prive di qualsiasi connotazione assistenziale.
Anche il primo segmento della condotta delittuosa contestata, volta all'erogazione del finanziamento, va inquadrato pertanto nella fattispecie di malversazione ex art. 316 bis cod. pen.
5. S'impone, infine, un'ultima considerazione, al fine di sgomberare i dubbi interpretativi prospettati dalla Procura ricorrente con il motivo sub B) del ricorso, circa un terzo segmento di condotta, autonomamente perseguibile, ritenendosi integrato - in conformità con le conclusioni del G.i.p. - anche il delitto di truffa aggravata ai danni di Banca Intesa Sanpaolo per l'importo del 10% del finanziamento, non coperto dalla garanzia dello Stato, secondo la percentuale di cui all'art. 2 del decreto legge, nella parte in cui determina l'importo erogabile al richiedente; la banca, diversamente dallo Stato, nell'accordare il mutuo avrebbe "operato una seppur contenuta, ma preventiva, istruttoria", consistita in "accertamenti ulteriori rispetto alla verifica formale di quanto dichiarato" (pag. 20 del ricorso).
L'assunto è infondato perché non trova riscontro nel dato normativo e nella stessa prospettazione in fatto del ricorrente, sul punto generica.
5.1. L'analisi della disciplina di riferimento consente di affermare che il finanziamento erogato dalla banca trova causa nella garanzia prestata automaticamente e gratuitamente dal Fondo PMI, al fine di dare sostegno alla liquidità delle imprese private che versavano in una fase di illiquidità, e per le quali in condizioni ordinarie di mercato, il ricorso al credito bancario sarebbe risultato difficile, se non precluso dall'esame del merito di credito. Il Fondo, nel caso di specie, consentiva dunque la stessa realizzabilità dell'operazione economica, nel suo insieme, esonerando con la propria prestazione di garanzia la banca dall'esame, tipicamente discrezionale, del merito di credito ed assumendo l'onere patrimoniale della mancata restituzione del finanziamento bancario (in tale senso, la più volte citata sentenza n. 28416/2022).
5.2. Il delitto di truffa di cui all'art. 640 bis cod. pen. implica un'effettiva induzione in errore dell'autore della disposizione patrimoniale; non così nel caso in esame, in cui il procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni non presuppone l'effettivo accertamento da parte dell'erogatore dei presupposti del singolo contributo, ma ammette che il riconoscimento e la stessa determinazione del contributo siano fondati, almeno in via provvisoria, sulla mera dichiarazione del soggetto interessato, riservando eventualmente a una fase successiva le opportune verifiche, sicché, in tale ipotesi, l'erogazione non dipende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'erogatore, che in realtà si rappresenta correttamente solo l'esistenza della formale dichiarazione del richiedente.
La circostanza che la garanzia non copra l'intera somma finanziata, lasciando un ridotto margine di rischio a carico della banca per le medie imprese (variabile a seconda delle dimensioni delle stesse), non implica che l'istituto erogante possa espletare autonome indagini in ordine al merito di credito ed eventualmente negare, all'esito, in tutto o in parte il mutuo, discrezionalità contraria alla finalità legislativa, come evidenziato in precedenza.
D'altra parte, lo stesso ricorrente non indica attraverso quali modalità si sarebbe realizzata l'induzione in errore, limitandosi a richiamare, impropriamente, una disposizione del testo unico bancario (art. 120 undecies) circa la valutazione approfondita del merito creditizio svolta dal finanziatore, indubbiamente - come sostenuto in ricorso - non abrogata dalla normativa emergenziale, ma - altrettanto certamente - derogata per effetto della garanzia pubblica.
6. In conclusione, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio: ricondotte entrambe le condotte contestate, penalmente rilevanti - finalizzate, la prima, all'indebita erogazione del finanziamento e, la seconda, all'utilizzo delle somme percepite in violazione del vincolo di destinazione - al paradigma normativo della malversazione di cui all'art. 316 bis cod. pen., il tribunale dovrà verificare l'esistenza del fumus di tale reato sulla base degli elementi in fatto che caratterizzano la fattispecie, secondo gli atti di indagine acquisiti ed alla stregua dei precisi parametri di legge che disciplinano la materia (decreto legge 8 aprile 2020, n.23, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2020 n.40).
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Ravenna competente ai sensi dell'art. 324, co. 5, c.p.p.