Il giudizio sulla futilità del motivo non va riferito a un comportamento medio ma agli elementi concreti della vicenda delittuosa.
La Corte d'assise d'appello di Catanzaro accoglieva parzialmente l'appello proposto dall'imputato contro la sentenza del GIP che lo aveva ritenuto responsabile di avere cagionato la morte della vittima con una pistola perché quest'ultima non aveva pagato alcuni canoni di locazione. Nello specifico, la Corte aveva escluso l'aggravante della premeditazione ma aveva confermato quella dei...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Catanzaro ha parzialmente accolto l'appello proposto da M.R. avverso la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 9 dicembre 2019 e, per l'effetto, ha escluso l'aggravante della premeditazione, confermando per il resto la sentenza impugnata anche rispetto al trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato (pena dell'ergastolo ridotta ad anni trenta di reclusione per la diminuente prevista per il rito abbreviato).
1.1. Le originarie imputazioni a carico del R. erano le seguenti: A) reato previsto e punito dagli artt. 575 e 577, comma 11 n.3, n.4 (con riferimento all'art.61, comma 1 n.l, cod. pen.) perché, quale locatario di un immobile di proprietà di R.A. e suo confinante, dopo avere preventivamente prelevato dalla cassaforte una pistola calibro 7,65 ed avere atteso che il R. - il quale si trovava presso il fondo di sua proprietà intento a lavorare - terminasse i lavori, lo sorprendeva mentre entrava nella propria vettura per andare via e, dopo un breve diverbio sul presunto mancato pagamento di alcuni canoni di locazione, ne cagionava la morte, sparando al suo indirizzo un primo colpo alla nuca e, successivamente ed atteso che il R. ancora riusciva a muoversi nel tentativo di difendersi, sparando altri due colpi che lo facevano accasciare al suolo; con le aggravanti di avere commesso il fatto con premeditazione e per futili motivi, consistiti in una lite sul presunto mancato pagamento di alcuni canoni di locazione; B) reato previsto e punito dagli artt.2 e 7 L.865/1967, 61!comma 1; n.2.cod. pen., perché, nella propria abitazione sta in (omissis), di proprietà di R.A. e nella quale risiedeva in qualità di locatario, illegittimamente deteneva un'arma comune da sparo e, precisamente, una pistola calibro 7,65; con l'aggravane di aver commesso il fatto per commettere il reato di cui al capo A.
In data 30 e 31 marzo 2018.
2. I fatti sono stati ricostruiti da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini: il giorno 30 marzo 2018, lungo la strada statale 106 in località (omissis), veniva segnalata da un camionista di passaggio alle forze dell'ordine la presenza di una autovettura WV Polo dal cui abitacolo sporgeva, riverso verso terra e privo di vita, il corpo di A.R. proprietario della medesima vettura.
2.1. In corrispondenza della nuca venivano riscontrati dagli inquirenti tre fori, prodotti da colpi di arma da fuoco; all' interno dei veicolo venivano rinvenuti vari oggetti accatastati alla rinfusa e, in corrispondenza del sedile del guidatore, sopra il tappetino posto al di sotto dei pedali di guida il bossolo di un proiettile calibro 7,65. Nonostante il cadavere fosse stato trovato sporgente dalla portiera posteriore sinistra, tutti segni dell'azione omicidiaria risultavano in corrispondenza della portiera anteriore sinistra del veicolo, in prossimità quindi del lato di guida.
2.2. Gli investigatori apprendevano dalla figlia del R. che questi aveva avuto, di recente, contrasti con due conduttori di immobili di sua proprietà per il mancato pagamento dei canoni di locazione; in particolare la vittima aveva avuto una accesa discussione telefonica con M.R. una settimana prima proprio per tale morosità.
2.3. Dopo una serie di accertamenti (tra cui l'acquisizione dei tabulati telefonici), intercettazioni ambientali e la perquisizione dell'abitazione del R. (il quale tra l'altro risultava in possesso di una pistola calibro 7,65, che egli dichiarava falsamente di avere ceduto a terzi) emergevano molteplici indizi a carico del predetto, il quale poi confessava di avere commesso l'omicidio.
In particolare, egli riferiva che il giorno 30 marzo 2018 era uscito da casa molto presto ed aveva visto la vittima (con cui aveva avuto una forte discussione nei giorni precedenti per le ragioni economiche testè illustrate) intenta a lavorare presso un terreno di sua proprietà.
Verso le ore 11.30 il R. aveva notato il R. ancora sul posto ed intento a caricare qualcosa all'interno del cofano dell'autovettura; a quel punto egli era salito nella propria abitazione ed aveva prelevato dalla cassaforte una pistola. Raggiunto il R. era iniziata una lite, nel corso della quale - secondo l'imputato - la vittima lo aveva minacciato di adire le vie legali per ottenere il pagamento dei nove canoni di locazione arretrati e lo aveva anche insultato pesantemente.
A quel punto il R. - sempre secondo il suo racconto - aveva esploso d'impulso il primo colpo di pistola nei confronti della vittima, la quale non sarebbe morta subito, ma si sarebbe diretta verso il sedile posteriore dell'auto, poggiandovi le ginocchia come per prendere qualcosa per difendersi. L'imputato quindi - a suo dire - aveva sparato gli altri due colpi alla testa del R. il quale cadeva all'indietro esanime; successivamente, l'imputato aveva gettato via i bossoli (fatta eccezione per quello rinvenuto in prossimità dei pedali di guida dell'auto) ed aveva occultato il portafoglio ed il telefono cellulare della vittima al fine di simulare una rapina, per poi fare ritorno a casa.
3. Il Giudice per le indagini preliminari aveva riconosciuto l'imputato colpevole di entrambi i reati lui ascritti (riqualificando quello sub B come violazione degli artt.17 e 28 R.d. 18 giugno 1931, n.773); ritenendo - quanto alla imputazione di cui alla lettera A - sussistenti tutte le aggravanti contestate, ed aveva determinato la pena, in relazione al reato sub A in quello,, dell'ergastolo ridotta a trenta anni di reclusione per la diminuente del rito ed in 100 euro di ammenda per quello sub B.
3.1. La Corte di assise di appello di Catanzaro, come visto, ha invece escluso la sussistenza della premeditazione, confermando per il resto la sentenza di primo grado, anche con riferimento al trattamento sanzionatorio.
3.2. La Corte territoriale - dato atto che l'appello dell'imputato riguardava la sussistenza della causa di giustificazione della legittima difesa reale o putativa e, in alternativa, l'esistenza di una ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa, nonché il vizio del travisamento del fatto circa la dinamica omicidiaria e la insussistenza delle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi con richiesta, infine, di riconoscimento delle attenuanti generiche, della incapacità di intendere e di volere e comunque la riduzione della pena - ha escluso unicamente l'aggravante della premeditazione ed ha confermato per il resto la sentenza di primo grado.
3.3. In particolare la Corte distrettuale - dopo avere osservato che la responsabilità del R. risulta provata, oltre che dalla confessione dell'imputato, anche dalle risultanze della perizia balistica, dell'esame autoptico della vittima e dei rilievi effettuati dai Carabinieri sulla scena del delitto - ha escluso la configurabilità della legittima difesa (anche putativa), così come anche dell'eccesso colposo di legittima difesa, evidenziando che la richiesta, avanzata dalla vittima, di pagamento delle nove mensilità di affitto e la minaccia di adire le vie legali per ottenerle (come sostenuto dallo stesso R.), non potevano qualificarsi come un pericolo attuale e concreto di una aggressione ingiusta tale da giustificare il c.d. animus defendendi.
Inoltre, come dichiarato dallo stesso imputato, egli aveva esploso un primo colpo di pistola diretto alla nuca del R. il quale, subito dopo, si sarebbe inginocchiato verso il sedile posteriore della propria autovettura per prendere un attrezzo per colpire l'aggressore e che, a seguito di ciò, l'imputato aveva sparato altri due colpi attingendo la vittima nello stesso punto. La Corte territoriale ha osservato al riguardo che - quand'anche tale ricostruzione dei fatti fosse vera - il R. dopo avere esploso il primo colpo aveva tutto il tempo per allontanarsi e che quindi andava esclusa la legittima difesa (anche putativa) e l'eccesso colposo, senza poi dimenticare che era stato l'imputato (sempre secondo il suo stesso racconto) a recarsi dal R. già armato.
3.4. La Corte di assise di appello ha poi confermato l'aggravante dei futili motivi rilevando che la condotta dell'imputato risultava sproporzionata e svincolata rispetto alle ragioni di pretesa tutela della propria dignità, ritenuta offesa dalla richiesta di pagamento dei canoni di locazione arretrati da parte della vittima. Analogamente la Corte territoriale ha escluso, nella fattispecie, la configurabilità della provocazione stante la sproporzione e la mancanza del nesso tra l'insulto che l'imputato avrebbe ricevuto dalla vittima ('delinquente di merda') e l'azione omicidiaria.
Infine è stata esclusa la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della gravità del fatto, del carattere non spontaneo della confessione peraltro non totalmente convincente, dovendosi piuttosto ritenere che l'imputato avesse spostato il cadavere_ atteso che l'omicidio era avvenuto in prossimità del sedile anteriore sinistro dove sono state rinvenute tracce ematiche. E' stata poi escluso il vizio di mente per la mancanza di qualsiasi concreto elemento al riguardo e non potendosi ritenere che il diabete mellito (dal quale è affetto l'imputato) possa avere, di per sé solo, influito sulla capacità di intendere e di volere dell'omicida.
Da ultimo la Corte distrettuale ha confermato il trattamento sanzionatorio osservando che la sussistenza dell'aggravante dei futili motivi determina la pena dell'ergastolo, poi ridotta a trenta anni di reclusione per la scelta del rito abbreviato.
4. Avverso la predetta sentenza M.R., per mezzo del difensore di fiducia avv. A.T., propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistendo per l'annullamento della stessa.
4.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art.577, comma 1, n.4, cod. pen. per essere stata ritenuta sussistente l'aggravante dei futili motivi in realtà insussistenti.
4.2. Con il secondo denuncia, ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. violazione di legge e vizio di motivazione rispetto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed al trattamento sanzionatorio ritenuto, comunque, eccessivo.
4.3. Il ricorrente ha poi depositato motivi aggiunti con i quali ha ulteriormente argomentato in ordine alle ragioni del ricorso ed ha contestato le conclusioni del Procuratore generale.
Motivi della decisione
1.La Corte osserva che il ricorso è infondato e che, pertanto, deve essere respinto per le ragioni di seguito illustrate.
2. Il primo motivo investe l'aggravante dei futili motivi, così come ritenuta nella sentenza impugnata.
Tale connotazione dell'agire umano, come affermato da questa Corte (Sez. 1, n. 16889 del 21/12/2017, dep. 2018, D'Aggiano, Rv. 273119-01), riveste natura ancipite. Sul piano strutturale, la nozione di futilità esprime il carattere proprio di un concetto di relazione, che comunemente dottrina e giurisprudenza costruiscono nei termini di un raffronto tra il reato commesso e la causa psichica alla sua base, nel senso che la consistenza del motivo deve essere valutata rispetto al fatto illecito che ne è scaturito; ma esprime anche, sul piano funzionale, il riferimento a un parametro di natura assiologica, che cioè qualifica il motivo alla stregua di un criterio di tipo valoriale.
Secondo il menzionato, autorevole, arresto di legittimità, che riflette una consolidata opinione la quale attinge al significato etimologico del termine, la futilità rinvia, anzitutto, all'assoluta sproporzione tra il reato commesso e, appunto, il motivo, ossia l'impulso interiore che determina la condotta.
La sproporzione costituisce, peraltro, un concetto relativo, che assume sostanza soltanto se riferito a un determinato parametro di valutazione. Nell'individuazione di quest'ultimo, è necessario escludere dal perimetro della fattispecie due estreme e antitetiche visuali. La prima è quella che utilizza, per stabilire il carattere futile o meno del motivo, la prospettiva individuale dell'agente, ovvero il suo personale atteggiamento psichico, essendo evidente che, così procedendo, dovrebbe sempre concludersi per la non futilità, proprio perché, dal punto di vista dell'autore del reato, il motivo finisce con l'essere pressoché sempre plausibile, giustificato, non pretestuoso. La seconda prospettiva, anch'essa non condivisibile, sarebbe quella che identificasse come futile il motivo criminoso in quanto tale, essendo altrettanto evidente che in tali casi si finirebbe per riconoscere sempre un tale carattere, attesa l'impossibilità di comparare sensatamente ad un reato, specie se efferato, una causa psichica comunque disapprovata dall'ordinamento.
Il requisito della sproporzione non può non cogliersi, dunque, in via integrativa, sul piano assiologico, sulla base della percezione e valutazione della distanza tra il reato realizzato e la sua causale, nel senso che il motivo debba essere ritenuto futile quando quest'ultima risulti così lieve e banale rispetto alla gravità della condotta da apparire - secondo la coscienza collettiva (Sez. 5, n. 38377 del 1/02/2017, Plazio, Rv. 271115-01; Sez. 5, n. 41052 del 19/06/2014, Barnaba, Rv. 260360-01; Sez. 1, n. 59 del 1/10/2013, dep. 2014, Femia, Rv. 258598-01; Sez. 1, n. 39261 del 13/10/2010, Mele, Rv. 248832-01; Sez. 1, n. 29377 del 8/05/2009, Albanese, Rv. 244645-01), ovvero (come da ultimo riconosciuto: Sez. 1, n. 16889 del 2018, citata) secondo la gerarchia di valori riflessa dalla Costituzione - assolutamente inidonea a provocare l'azione criminosa.
3. Nel raffrontare l'interesse tutelato dalla norma incriminatrice, non disgiunto dal suo fondamento costituzionale, e la ragione soggettiva che ha indotto l'agente alla condotta offensiva, occorre certamente scongiurare di giungere ad affermare la futilità del motivo per il solo fatto che sia stato commesso un grave reato contro la persona. Questa è la ragione per cui la pronuncia di legittimità da ultimo citata indica come la futilità del motivo si debba infine verificare secondo una scansione bifasica, che, movendo dalla riscontrata sproporzione assiologica tra il reato e la ragione soggettiva che lo abbia determinato, sviluppi un ulteriore giudizio, volto a stabilire se essa abbia o meno connotato, in maniera particolarmente significativa e pregnante, l'atteggiamento dell'agente rispetto al reato, giustificando un giudizio di maggiore riprovevolezza, e di più accentuata pericolosità, nei suoi confronti.
Tale concezione si salda con la più risalente impostazione, secondo la quale - se, di norma, è sufficiente, per ritenere sussistente la circostanza aggravante dei futili motivi, far riferimento alla sproporzione oggettiva esistente tra movente e azione delittuosa - in particolari circostanze sono necessarie indagini più approfondite per accertare che la sproporzionata reazione allo stimolo sia, piuttosto che rivelatrice di un istinto criminale più spiccato, da punire più severamente, il portato di una concezione particolare, che annette a certi eventi un'importanza di gran lunga maggiore rispetto a quella che la maggior parte delle persone vi attribuisce (Sez. 1, n. 853 del 27/11/1995, dep. 1996, Coppolaro, Rv. 203499-01).
Ripetutamente questa Corte ha precisato, del resto, che il giudizio sulla futilità del motivo non può essere riferito ad un comportamento medio, attesa la difficoltà di definire i contorni di un simile astratto modello di agire, ma va ancorato agli elementi concreti della vicenda delittuosa, alla luce delle connotazioni culturali del soggetto giudicato, del contesto sociale e del particolare momento in cui il fatto criminoso si è verificato, nonché dei fattori ambientali che possono averne condizionato la realizzazione (Sez. 5, n. 36892 del 21/04/2017, M., Rv. 270804- 01; Sez. 1, n. 42846 del 18/11/2010, Muzaka, Rv. 249010-01; Sez. 1, n. 26013 del 14/06/2007, Vallelunga, Rv. 237336-01).
4. Tanto chiarito, il motivo in scrutinio risulta infondato perché i profili appena evocati non sono stati giudizialmente ignorati, considerato che la Corte distrettuale richiamando anche la sentenza di primo grado, ha evidenziato - con motivazione adeguata e non contraddittoria - che l'imputato (sia pure soggetto a bassa scolarizzazione) è un padre di famiglia ed è socialmente inserito e che ha posto in essere una condotta del tutto spropositata rispetto al rischio di dovere lasciare la propria abitazione a causa della sua morosità, dando così libero sfogo ai propri impulsi criminali ed aggressivi, ritenendo di risolvere in modo violento il contrasto insorto con il locatore.
E' noto che, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice e recependo sostanzialmente i passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (da ultimo, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181-01).
Nella specie, dunque, dall'unitario apprezzamento che connota entrambe le pronunce di merito si desume che il R. era in grado di capire che la controversia relativa al mancato pagamento di canoni di locazione non poteva valere la soppressione cruenta di una vita umana.
Nel reiterare i contrari assunti, le doglianze del ricorrente s'infrangono contro valutazioni di fatto che, in quanto ineccepibilmente argomentate, sotto il profilo della completezza di analisi e della coerenza logica del ragionamento, resistono al vaglio di legittimità. Onde la conclusiva reiezione del motivo, in cui le doglianze medesime si riassumono.
5. Analogamente, devono respingersi le censure riguardanti la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed il trattamento sanzionatorio in genere.
In particolare, il mancato riconoscimento delle generiche è stato fondato, con
motivazione adeguata e non contraddittoria, sulla condotto dell'imputato il quale ha inizialmente cercato di nascondere le tracce del reato, ha riposizionato il cadavere ed ha simulato una rapina per poi, solo una volta emersi gravi indizi a suo carico, ammettere le proprie responsabilità cercando, però, di ricostruire i fatti in modo comunque a sé favorevole.
Inoltre, anche la gravità del fatto rispetto al motivo di contrasto con la vittima ha fatto ritenere l'imputato non meritevole delle invocate circostanze generiche. E' stato poi escluso, in assenza di specifiche allegazioni sul punto, che la patologia dalla quale è affetto il ricorrente (diabete mellito) abbia influito sulla sua determinazione.
Al riguardo va ribadito che il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899); come parimenti avvenuto nella specie, mediante il puntuale richiamo ai medesimi indici di cui sopra (ben possibile, v. da ultimo Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378) e all'ulteriore elemento costituito dalla condotta post delictum (alterazione della scena del delitto e simulazione dei una rapina mediante l'occultamento del portafogli e del telefono della vittima).
Infine. il rigetto del motivo relativo le attenuanti generiche determina l'assorbimento delle censure relative alla entità della pena, stante la sussistenza dell'aggravante dei futili motivi.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell'art.616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.