Ripercorrendo l'istituto previsto all'art. 34 D.Lgs. n. 274/2000, la Cassazione risponde al quesito.
L'imputato ricorre in Cassazione avverso la sentenza del GdP che lo ha condannato alla pena di 5mila euro di ammenda per essersi intrattenuto illegalmente nel territorio della Stato senza aver mai richiesto il permesso di soggiorno.
In sede di legittimità, lamenta l'omessa applicazione ex officio dell'istituto di cui all'
Svolgimento del processo
1.Con la sentenza impugnata il Giudice di pace di Macerata ha condannato M.M. alla pena di euro cinquemila di ammenda, per essersi intrattenuto illegalmente nel territorio dello Stato senza aver mai richiesto il permesso di soggiorno.
2.Avverso la descritta sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore, avv. U.G., denunciando i vizi di cui all'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione all'art. 129 cod. proc. pen. e 34 d. Igs. del 28 agosto 2000 n. 274.
Si assume l'omessa applicazione dell'istituto di cui all'art. 34 d. Igs. n. 274 de 2000, al quale il giudice non avrebbe fatto alcun riferimento nella motivazione, pur potendola applicare d'ufficio, risultando l'obbligo di rilevare cause di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., rilevabile in ogni stato e grado.
Si evidenzia che l'istituto, in caso di sussistenza dei presupposti, opera senza alcuna necessità di istanza di parte.
2.2.Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 62-bis, 133 cod. pen. e vizio di motivazione.
Non vi sarebbe alcuna motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche nonché circa la misura della pena non irrogata nel minimo edittale, pur a fronte di richiesta in tale senso (minimo della pena con benefici di legge).
3.II Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, P. G. ha fatto pervenire requisitoria scritta, stante la mancata richiesta delle parti, di discussione orale ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato, quanto alla disciplina processuale, in forza dell'art. 1 del d.l. 1° aprile 2021 n. 44, come convertito, con la quale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato o perché devolve censure non consentite in sede di legittimità.
1.Sotto il profilo dell'astratta applicabilità della causa di esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 34 d. lgs. n. 34 del 2000, va rilevato, come indicato anche dal Procuratore generale nella requisitoria scritta, che essa si applica, ricorrendone i presupposti, anche al reato di soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, oggetto della sentenza di impugnata (tra le altre Sez. 1, n. 28077 del 15/09/2020, Rv. 279642).
Sul punto, deve osservarsi che l'istituto in questione, secondo un indirizzo di questa Corte di legittimità, ha natura di condizione di improcedibilità dinanzi al giudice di pace, con la previsione della preventiva non opposizione della parte lesa e dell'imputato (Sez. F, 6/08/2015, n. 34672, Cacioni, Rv. 264702, Sez. 6, 15/09/ 2015, n. 44683, T., Rv. 265114). In questo caso è stato rilevato che è lo stesso legislatore ad aver indicato l'istituto come causa di improcedibilità anche se, per alcuni commentatori, detta terminologia non appare corretta.
Invero, è stato evidenziato, pur tenendo conto della diversa lettera della norma, che sarebbe preferibile inserire l'istituto tra le cause di non punibilità, posto che la tenuità del fatto, in questo caso, implica una verifica della fondatezza dell'accusa da ancorarsi anche a precisi parametri soggettivi.
L'istituto, poi, dal punto di vista dei presupposti necessita dell'occasionalità della condotta (e non della mera non abitualità) oltre alla verifica del pregiudizio che l'ulteriore corso del procedimento possa recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell'imputato o dell'indagato (Sez. 6, 14/07/2015 n. 31920, Marzola, Rv. 264420; Sez. F, 20/08/2015, n. 38876, Morreale, Rv. 264700).
Per l'applicazione dell'art. 34 d.lgs. n. 274 del 2000, poi, qualora sia stata esercitata l'azione penale, viene riconosciuto alla persona offesa un vero e proprio potere di interdizione (Sez. U, 16/07/2015, n. 43264, Steger, Rv. 264547).
Infine, si rileva che a fronte di un fatto particolarmente tenue, non è richiesta, per la causa di non punibilità di cui al citato art. 34 cit., la previa definizione del merito della regiudicanda, come si evince dalla lettera della norma che, ai commi 2 e 3, subordina la pronuncia soltanto alla mancanza di opposizione da parte dei soggetti legittimati a formularla.
Si tratta, quindi, di una pronuncia di improcedibilità con una decisione di absolutio ab istantia, adottata senza preventivo accertamento probatorio circa la fondatezza dell'accusa.
Il giudice, pertanto, ove ricorrano, sulla base degli atti in suo possesso, i presupposti per reputare di scarsa valenza offensiva l'accaduto, provvede immediatamente a pronunciare l'improcedibilità dell'azione promossa, con l'unico limite rappresentato dalla manifestazione contraria formulata dagli interessati (imputato e parte lesa), tenendo conto che essa ricorre quando sussista l'esiguità del danno o del pericolo, l'occasionalità della condotta antigiuridica ed il modesto grado di colpevolezza, indici che devono essere congiuntamente considerati in riferimento al fatto concreto nelle sue caratteristiche oggettive e soggettive.
Va specificato, peraltro, secondo quanto affermato da questa Corte, con indirizzo cui il Collegio intende dare continuità, relativo specificamente all'improcedibilità di cui all'art. 34 d. lgs. n. 274 del 2000 (Sez. 1, n. 49171 del 28/09/2016, Chebouti Rv. 268458) che questa non può essere dichiarata d'ufficio dal giudice di pace, in assenza di deduzione specifica della difesa, richiedendosi ai fini del decisum di improcedibilità la mancata opposizione dell'imputato e della persona offesa e, pertanto, una partecipazione non compatibile con la pronuncia officiosa.
Del resto, si è osservato in giurisprudenza, che l'improcedibilità prevista dall'art. 34, comma 3, d.lgs. n. 274 del 2000 è introdotta da disposizione in rito, posta esclusivamente a tutela dell'interesse delle parti private, la cui violazione non determina una nullità assoluta (Sez. 5, n. 20595 del 15/02/2021, Ferrante, Rv. 281180).
Si tratta di pronuncia che rappresenta esercizio del potere discrezionale del giudice, rispetto al quale questi non deve esporre un'espressa motivazione quando l'applicabilità dell'istituto non sia stata invocata dall'interessato (Sez. 5, n. 3784 del 28/11/2017, dep. 2018, Indraccolo, Rv. 272442 Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230277).
Orbene, a fronte della pluralità di presupposti per l'operatività dell'istituto invocato, il ricorso è generico posto che, rispetto all'indicata operatività in astratto di questo, non indica, nel caso concreto, da quali elementi fattuali, trascurati indebitamente dal giudice di merito, tale particolare tenuità dell'offesa possa trarsi.
2.1. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La pena risulta irrogata nel minimo edittale e la richiesta, di concessione dei benefici di legge indicata nelle richieste scritte, cui allude il ricorso, non risulta adeguatamente supportata dall'indicazione, specifica, delle ragioni su cui fonda. Di qui l'irrilevanza del dedotto difetto di motivazione (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtellì, Rv. 268822; Sez. 2, n. 5522 del 22/10/2013, Rv. 258264; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Rv. n. 254584).
Alcuna specifica censura, nemmeno secondo le deduzioni difensive, risulta formulata quanto al diniego della concessione delle circostanze di cui all'art. 62- bis cod. pen.
3.Segue la condanna alle spese e al pagamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni previste dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, importo che si ritiene di determinare equitativamente, tenuto conto dei motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.