
Nel caso in cui tra le parti di un giudizio intervenga una transazione, senza che, tuttavia, alcuna di esse deduca in giudizio la sopravvenuta composizione transattiva della controversia ed il giudizio sia definito con sentenza non impugnata e passata in giudicato, la situazione così accertata diviene intangibile.
L'attuale ricorrente presentava opposizione avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei suoi confronti, deducendo di aver raggiunto con l'ingiungente un accordo transattivo e di aver corrisposto allo stesso intimante la somma pattuita.
A seguito di rigetto, l'opponente proponeva gravame dinanzi alla Corte d'Appello, la...
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Rovereto ha respinto l’opposizione proposta da G.Z. avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei suoi confronti su ricorso di A.R..
Nel proporre l’opposizione Z. aveva dedotto di aver raggiunto con l’ingiungente un accordo transattivo e di aver corrisposto allo stesso intimante la somma pattuita.
2. Il gravame proposto da G.Z. è stato poi rigettato dalla Corte di appello di Trento con sentenza pubblicata il 19 marzo 2018. La detta Corte ha osservato, in sintesi, che l’appellante mancava dell’interesse ad agire, dal momento che l’accordo transattivo prevedeva che A.R. rinunciasse espressamente ad azionare il titolo costituito dal decreto ingiuntivo, sicché tra le parti non poteva ravvisarsi alcuna situazione di incertezza e di contrasto tale da giustificare l’opposizione; ha aggiunto il Giudice del gravame che un’eventuale azione dell’intimante avrebbe potuto del resto facilmente paralizzarsi in virtù della richiamata transazione, visto che Z. avrebbe avuto titolo a invocare l’accordo quale fatto estintivo o modificativo del diritto azionato.
3. Ricorre per cassazione, con due motivi, G.Z.. Resistono con controricorso R.S., C.R. e G.R., nella qualità di eredi di A.R..
Motivi della decisione
1. Col primo motivo sono denunciate violazione di legge ed errata applicazione di norme di diritto, con riguardo alla valutazione circa l’insussistenza dell’interesse giuridicamente rilevante dell’odierno ricorrente nel proporre opposizione. L’istante ricorda come in data 13 febbraio 2015 A.R. gli avesse notificato un atto di precetto unitamente al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo pronunciato dal Tribunale di Rovereto; rileva che esso Z., al fine di tutelare la propria posizione, non aveva altra possibilità se non quella di proporre opposizione al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia o di nullità del decreto ingiuntivo.
Col secondo mezzo sono lamentate violazione di legge ed errata applicazione di norme di diritto con riguardo all’apprezzamento quanto all’insussistenza dei presupposti per l’accertamento della responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.. Si osserva, in sintesi, che per non contrastare con l’esercizio di facoltà previste dall’ordinamento di diritti costituzionalmente garantiti, la norma di cui all’art. 96 c.p.c. andrebbe opportunamente limitata nella sua sfera di applicazione: essa dovrebbe colpire quelle sole condotte imputabili soggettivamente alla parte per dolo o colpa grave e quei comportamenti che abbiano determinato un indebito prolungamento della durata del processo.
2. Il primo motivo appare fondato.
La notifica del decreto ingiuntivo, unitamente all’atto di precetto, data, come si è visto, 13 febbraio 2015. L’accordo transattivo preso in considerazione della sentenza impugnata è stato pacificamente concluso quando era ancora pendente il termine per proporre opposizione ex art. 645 c.p.c.: lo si desume dalla pronuncia della Corte di appello (pag. 3), ove si spiega che il detto accordo faceva menzione del decreto ingiuntivo (che era quindi anteriore ad esso) e ove si dà implicitamente atto della tempestività dell’impugnazione del provvedimento monitorio (che viene considerata inammissibile non per la sua intempestività, ma per la carenza di interesse ad agire dell’opponente: cfr. pagg. 3 s.): una conferma in tal senso si trae, del resto, dal controricorso, ove si espone che l’accordo in questione si perfezionò il 24 febbraio 2015.
Così stando le cose, l’odierno ricorrente non poteva far valere il fatto estintivo del credito, integrato dalla transazione, che con l’opposizione a decreto ingiuntivo: in tal senso, non merita condivisione il rilievo del Giudice distrettuale, secondo cui Z. avrebbe potuto paralizzare una futura iniziativa di R., diretta ad ottenere il pagamento di quanto corrisposto in forza della transazione, attraverso l’opposizione all’esecuzione di cui all’art. 615 c.p.c.. Come è noto, infatti, in sede di opposizione nel processo di esecuzione, la pretesa esecutiva fatta valere dal creditore può essere neutralizzata soltanto con la deduzione di fatti modificativi o estintivi del rapporto sostanziale, consacrato dal giudicato, che si siano verificati successivamente alla formazione del giudicato stesso, e non anche sulla base di quei fatti che, in quanto verificatisi in epoca precedente, avrebbero potuto essere dedotti nel giudizio di cognizione preordinato alla costituzione del titolo giudiziale, e risulterebbero, perciò, in contrasto con l'accertamento contenuto nel giudicato (per tutte: Cass. 18 ottobre 2012, n. 17903; Cass. 25 settembre 2000, n. 12664; Cass. 5 dicembre 1988, n. 6605). In conseguenza, nel caso in cui tra le parti di un giudizio intervenga una transazione, senza che, tuttavia, alcuna di esse deduca in giudizio la sopravvenuta composizione transattiva della controversia ed il giudizio sia definito con sentenza non impugnata e passata in giudicato, la situazione così accertata diviene intangibile e preclude ogni possibilità di rimetterla in discussione in un successivo giudizio e di far valere il contenuto dell'accordo transattivo (Cass. 14 febbraio 2012, n. 2155; Cass. 15 febbraio 2005, n. 3026). Poiché in sede di opposizione a qualsiasi tipo di esecuzione promossa in base ad una sentenza passata in giudicato non possono farsi valere i fatti modificativi od estintivi del rapporto sostanziale che siano anteriori alla pronuncia del titolo esecutivo e, quindi, neppure la transazione intervenuta prima della formazione del giudicato (Cass. 16 giugno 1987, n. 5294), compete all’interessato dedurre in giudizio la transazione. Al giudice del merito spetta, correlativamente, di prendere atto che da essa è scaturito un nuovo regolamento della res controversa; ove poi la transazione contenga una rinuncia all’azione (rinuncia che R. ebbe a formulare nell’accordo transattivo, come si legge a pag. 3 s. della sentenza impugnata), deve tenersi conto che tale rinuncia estingue l'azione e determina la cessazione della materia del contendere (Cass. 10 settembre 2004, n. 18255; Cass. 19 marzo 1990, n. 2267): in conseguenza, il giudice dell’opposizione è tenuto, in siffatta evenienza, a revocare il decreto ingiuntivo (nel senso che la cessazione della materia del contendere verificatasi successivamente alla notifica del decreto ingiuntivo travolge anche il medesimo decreto, che deve essere revocato, senza che rilevi, in contrario, l'eventuale posteriorità dell'accertato fatto estintivo rispetto al momento di emissione dell'ingiunzione: Cass. 22 maggio 2008, n. 13085; Cass. 10 aprile 2000, n. 4531).
Ecco, dunque, che, la Corte di appello ha errato nel ritenere che Z. non avesse interesse a opporre il decreto ingiuntivo: egli vi aveva di contro interesse, posto che solo con la detta opposizione era possibile ottenere la caducazione del provvedimento monitorio e scongiurare, quindi, la possibilità che questo, una volta passato in giudicato, potesse essere azionato in futuro contro lo stesso ricorrente (il quale, per quanto detto, non avrebbe potuto far valere, a quel punto, con l’opposizione ex art. 615 c.p.c., l’assetto della convenzione transattiva, essendosi questa perfezionata prima del passaggio in giudicato del decreto).
La revoca non doveva del resto nuocere all’ingiungente, posto che, per un verso, quest’ultimo non aveva più titolo a pretendere alcunché dalla controparte e che, per altro verso, in linea di principio, in caso di rinuncia all’azione le spese di giudizio vanno poste a carico del rinunciante (Cass. 10 settembre 2004, n. 18255, cit.).
3. Va conseguentemente accolto anche il secondo motivo, visto che, dovendosi concludere il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo con la revoca del provvedimento monitorio, l’odierno ricorrente non poteva di certo considerarsi parte soccombente, a norma dell’art. 96, comma 1, c.p.c..
4. La sentenza impugnata è quindi cassata.
Decidendosi nel merito, in assenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il decreto ingiuntivo è revocato e nulla viene disposto in punto di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c..
5. Reputa il Collegio che, in considerazione del complessivo esito della lite, e tenuto conto, tuttavia, che il fatto estintivo della pretesa è sopravvenuto dopo la notifica del decreto ingiuntivo, le spese dell’intero giudizio possano compensarsi per metà, riversandosi il residuo sulle controricorrenti.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, revoca il decreto ingiuntivo opposto e statuisce nulla essere dovuto ex art. 96 c.p.c. da parte del ricorrente; compensa per metà le spese dell’intero giudizio, così liquidate: per il primo grado, euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; per l’appello, euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; per il giudizio di legittimità, euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna conseguentemente le controricorrenti al pagamento della metà degli importi sopra indicati.