
Il raggiungimento dei quattordici anni in epoca anteriore alla notifica di legittimità determina la perdita di legittimazione processuale della madre.
In un procedimento avente ad oggetto la dichiarazione giudiziale di genitorialità, il Tribunale di Milano accoglieva la domanda di una madre e dichiarava che la minore era figlia del convenuto.
Proposto gravame, la Corte d'Appello lo rigettava conseguendone il ricorso per cassazione.
Prima di...
Svolgimento del processo
1.- C.B., madre della minore A.B., nata a (omissis), promosse il giudizio per dichiarazione giudiziale di genitorialità nei confronti di S.D.F dinanzi al Tribunale di Milano.
Nominato il curatore speciale per la minore, il Tribunale accolse la domanda e dichiarò che la minore A. era figlia di S.D.F..
L’appello promosso da quest’ultimo è stato respinto dalla Corte di appello di Milano.
D.F. ricorre per cassazione con sette mezzi, corroborati da memoria. C.B. replica con controricorso e memoria. Il curatore speciale della minore, avv. A.S., ha depositato controricorso.
Il ricorso è stato discusso oralmente in pubblica udienza, a seguito di richiesta ex art.28, comma 8 bis, della legge n.176/2020. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni orali, chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
2.- Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:
I) Omessa applicazione degli artt. 315 bis, comma terzo, e 336 bis, comma primo, art.12 Conv. di New York del 1989, art.7 Conv. Strasburgo del 1996 e art.24 dei Diritti dell’UE; il ricorrente lamenta l’omesso ascolto della minore, che ha compiuto dodici anni durante lo svolgimento del giudizio di appello.
II) Violazione o falsa applicazione degli artt. 303, 307, terzo comma, 291, ultimo comma, 170 cod.proc.civ., 125, ultimo comma, disp. att. cod.proc.civ., art.45 disp.att. cod.proc.civ., art.16, comma 6, 8 d.l. n.179/2012; il ricorrente lamenta, nel primo grado del giudizio, l’omessa notifica al domicilio eletto del ricorso in riassunzione e del decreto di fissazione dell’udienza del 18/10/2017 per la prosecuzione del giudizio a seguito di rimessione in termini; l’omessa comunicazione dell’ordinanza di rinvio al 18/10/2017 pronunciata fuori udienza; la mancata partecipazione all’udienza; la nullità del procedimento e della sentenza.
III) Violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 113 cod.proc.pen.; il ricorrente lamenta l’omessa applicazione analogica nel giudizio civile degli articoli indicati che regolano la ricostruzione degli atti e dei documenti di causa nel processo penale; l’incertezza sulla ricostruzione degli atti e dei documenti; la violazione del principio del giusto processo; la nullità della sentenza e del procedimento.
IV) Violazione o falsa applicazione degli artt. 116, primo comma, cod.proc.civ., 2700 cod.civ., 132, secondo comma, n.4, cod.proc.civ.; l’erronea valutazione delle prove, la contraddittorietà insanabile della motivazione, la nullità della sentenza.
Il ricorrente deduce di avere, quale periziando, disconosciuto la firma sul tampone buccale prima che il CTU estraesse il DNA e non di non avere riconosciuto quella firma come sua. A suo parere, l’attestazione del CTU che il campione era stato prelevato dal periziando non varrebbe a dimostrare l’integrità del campione e l’irrilevanza della genuinità della firma.
V) Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio; motivazione apparente; omesso esame dei dubbi posti dal CTP rispetto alla CTU osta a base della dichiarazione di paternità.
VI) Violazione o falsa applicazione degli artt.116, secondo comma, cod.proc.civ. e dell’art.2697 cod.civ. Il ricorrente sostiene che la mancata sottoposizione agli esami biologici giustificata da impegni professionali, come nel suo caso, non poteva essere liberamente valutata dal giudice quale prova dell’esistenza del rapporto parentale ed erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto la sua condotta ostruzionistica ed equivalente ad un rifiuto del test.
VII) Violazione o falsa applicazione dell’art.91 cod.proc.civ. e dell’art.132, secondo comma, n.4, cod.proc.civ. Il ricorrente si duole della condanna alla rifusione delle spese di lite in favore del curatore speciale della minore in forza del principio della soccombenza e la contraddittorietà insanabile della decisione.
3.1. - Risulta preliminare all’esame dei motivi di ricorso, la ricostruzione delle circostanze di fatto che hanno connotato lo svolgimento del processo e la valutazione della loro ricaduta processuale, tenuto conto di quanto previsto dall’art.273, secondo comma, cod.civ., che prevede l’acquisizione del consenso del minorenne nel procedimento per dichiarazione giudiziale della genitorialità, questione rilevabile d’ufficio che risulta indotta dal primo mezzo di ricorso, concernente il tema del mancato ascolto della minore nel corso del procedimento.
3.2.- In ordine alla sviluppo cronologico della vicenda processuale in esame, va rammentato che: la minore a cui si riferisce il giudizio nacque il 15 gennaio 2007; l’azione di accertamento giudiziale della genitorialità venne promossa dalla madre esercente la responsabilità genitoriale con atto di citazione notificato il 30 maggio 2013 (quando la minore aveva sei anni); il Tribunale di Milano, con sentenza n.8298 pubblicata il 24 luglio 2018 (quando la minore aveva undici anni), dichiarò che AB. era figlia di S.D.F.; la Corte di appello di Milano confermò la prima decisione con sentenza pubblicata il 14 gennaio 2021 (quando la minore aveva tredici anni, il giorno precedente il compimento dei quattordici anni, avvenuto il 15 gennaio 2021); avverso detta sentenza S.D.F. ha proposto ricorso per cassazione notificato a mezzo posta in data 15 aprile 2021 (dopo il compimento dei quattordici anni da parte della minore) e, di seguito, A.B. ha replicato con controricorso notificato il 25 maggio 2021.
3.3.-Va, quindi, considerato il quadro normativo.
3.3.1.- In tema di accertamento giudiziale della genitorialità, l’art.273 cod.civ. – nel testo attualmente vigente, così modificato dall’art.32, comma 1, lett. b) del d.lgs. n.154/2013 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla pubblicazione nella G.U. n.5 dell’8 gennaio 2014 (7 febbraio 2014) - prevede che l’azione nell’interesse di un minore può essere proposta dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale prevista dall'articolo 316 cod.civ., precisando, al secondo comma, che «Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l'azione se egli ha compiuto l'età di quattordici anni».
3.3.2.-Le modifiche apportate all’art.273 cod.civ. dall'art. 32 del D.Lgs. n. 154/2013 hanno riguardato pochi aspetti: è stato eliminato l’aggettivo “naturale”, prima riferito a paternità e maternità; è stata sostituita la menzione della “potestà” con la “responsabilità genitoriale”; inoltre, l'età per il consenso del figlio, è stata abbassata a quattordici anni.
3.3.3.- Quanto alla disciplina applicabile a vicende connotate da intertemporalità – come quella in esame –, in assenza di disposizioni transitorie e finali specifiche dettate dall’art.104 del d.lgs. n.154/2013 a ciò deputato, va affermata la immediata applicabilità in toto dell’art.273 cod.civ., così come è avvenuto per tutte le disposizioni riguardanti gli istituti della filiazione e della responsabilità genitoriale non altrimenti disciplinati, destinati ad esplicare i loro effetti vincolanti anche sui soggetti nati o divenuti genitori in epoca anteriore alla entrata in vigore della anzidetta revisione.
3.3.4.- L’art.273 cod.civ., riguardante sia i minorenni che gli interdetti, per comune opinione della dottrina e della giurisprudenza, trova fondamento nella necessità di garantire che l'azione, da promuovere o promossa, corrisponda effettivamente all'interesse, anche morale ed affettivo, del soggetto incapace di agire.
Nel caso del minore, al raggiungimento dell’età ivi indicata, la valutazione dell’interesse all’accertamento giudiziale della genitorialità gli è direttamente rimessa ed egli può esprimere il suo consenso ai sensi dell'art. 273 cod. civ. “per promuovere e proseguire l'azione” (Cass. n.3935/2012).
3.3.5.- Sia per l'azione promossa dal genitore, sia per quella promossa dal tutore, si è ritenuto dalla giurisprudenza prevalente che si tratta di un'ipotesi di sostituzione processuale, con il conferimento di un potere di azione a soggetti diversi dal titolare del diritto (Cass. n. 10131/2005; Cass. n. 2970/1993; Cass. n. 5411/1985) e non di rappresentanza (Cass. n. 32309/2018).
3.3.6.- Una disposizione similare si ritrova nell'art.250 cod.civ., dettata in tema di azione di riconoscimento della genitorialità, che prevede la prestazione dell'assenso al riconoscimento da parte del minore che abbia compiuto i quattordici anni di età: in proposito è stato affermato che «il compimento del quattordicesimo anno di età determina in capo al minore la titolarità di un autonomo diritto di natura sostanziale nonché il correlativo potere di natura processuale di determinare l'esito della domanda di riconoscimento proposta da uno dei due genitori» (Cass. 781/2017).
3.3.7.- Tornando all’art.273 cod.civ., riguardo alla natura del “consenso del minore”, prima ultra sedicenne ed oggi ultra quattordicenne, parte della dottrina aveva sostenuto che esso costituisse un presupposto processuale e che dovesse sussistere al momento della costituzione del rapporto processuale; altra parte ha ritenuto, al contrario, che esso avesse natura di condizione dell'azione, per cui avrebbe potuto sopravvenire in qualsiasi momento del processo, e ne sarebbe stata sufficiente l'esistenza in concreto al momento della decisione.
La prevalente ed oramai consolidata giurisprudenza di legittimità, alla quale si intende dare continuità, si è attestata sulla natura processuale del consenso quale condizione dell’azione (in questi sensi, Cass. n. 10131/2005; Cass. n. 2572/1999; Cass. n. 4982/1995; Cass. n. 2576/1993, mentre per la natura di presupposto processuale si rammenta Cass. n.1771/1988).
Va, comunque, evidenziato che il “consenso” ex art.273 cod.civ., come l’”assenso” di cui all’art.250 cod.civ., determina in capo al minore anche la titolarità di un autonomo diritto di natura sostanziale.
Il consenso del minore che abbia compiuto i quattordici anni può quindi validamente sopravvenire nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto integrando esso un requisito del diritto di azione attinente alla legittimazione, del quale il giudice deve verificare la sussistenza al momento della decisione (Cass. n.5291/2000; Cass. n. 4982/1995; Cass. n. 9277/1994; Cass. n. 7761/1990; v. inoltre, in fattispecie particolare, Cass. n. 2572/1999); ne consegue che non comporta alcuna nullità dell’attività istruttoria svolta in precedenza.
Il consenso non può ritenersi validamente prestato dal minore fuori dal processo, né può essere desunto da fatti e comportamenti estranei ad esso, come, ad esempio, dal mero fatto di "portare" il cognome del presunto padre naturale (Cass. n. 10131/2005).
Il difetto di consenso toglie pienezza alla legittimazione processuale del genitore (pur senza neutralizzarla, come nel caso del raggiungimento della maggiore età) e si traduce in un ostacolo all'esame del merito della domanda (Cass. n. 1771/1988). Tale difetto, che comporta l’improcedibilità della domanda, può essere accertato anche d'ufficio dal giudice con una pronuncia meramente processuale (Cass. n. 3721/1998; Cass. n. 2970/1993).
3.4.- In sintesi, il consenso del figlio che ha compiuto gli anni quattordici di età, necessario per promuovere o proseguire l'azione, è configurabile come un requisito del diritto di azione, integratore della legittimazione ad agire del genitore, sostituto processuale del figlio minorenne, la cui mancanza verifica una situazione di improponibilità o d'improseguibilità dell'azione (a seconda che l’età in questione sia stata raggiunta prima della notificazione della citazione introduttiva ovvero in corso di causa), la quale toglie pienezza alla legittimazione processuale del genitore, senza peraltro neutralizzarla come nel caso si raggiungimento della maggiore età, ed è rilevabile anche d'ufficio; detto consenso può sopravvenire in qualsiasi momento ed è necessario che sussista al momento della decisione; in mancanza il giudice deve dichiarare anche d'ufficio l'improcedibilità del giudizio e non può pronunciare nel merito; il consenso non può ritenersi validamente prestato dal quattordicenne fuori dal processo, né può essere desunto da fatti o comportamenti estranei ad esso.
3.5.- Affermata l’indefettibilità dell’acquisizione del consenso, una volta raggiunta dal minore l’età a ciò deputata prima della decisione, è necessario considerare come si esplica l'esigenza dell’acquisizione del consenso del minore nel giudizio di legittimità.
In proposito, va osservato che il principio espresso nel precedente di legittimità che consta in materia (Cass. n. 9829/1990) non può condurre al medesimo esito, stante il differente atteggiarsi della vicenda processuale all’esame, anche se i criteri in esso delineati risultano comunque pertinenti.
Con la sentenza n. 9829/1990, questa Corte ha escluso che dovesse essere acquisito il consenso nel caso in cui il compimento della specifica età a ciò fissata da parte del figlio fosse sopravvenuta, nel corso del giudizio di cassazione, dopo la notifica del ricorso e del controricorso avverso la sentenza di appello sul rilievo che il giudizio di legittimità è caratterizzato dall'impulso d'ufficio e resta insensibile alle vicende inerenti alla capacità processuale della parte; a tale approdo si è pervenuti, dopo avere espressamente puntualizzato che, in quel caso concreto, l'evento suddetto si era verificato dopo la pubblicazione della sentenza impugnata e dopo la notificazione, non solo del ricorso, ma anche del controricorso da parte della originaria genitrice-attrice di talché questa era ancora nella pienezza della sua legittimazione processuale, essendo stata raggiunta solo in un successivo momento dal figlio l’età richiesta per l’espressione del consenso.
Nel caso in esame, al contrario, il raggiungimento dell’età deputata da parte della minore in epoca anteriore alla notifica del ricorso e del controricorso di legittimità esclude la ricorrenza della piena legittimazione processuale della madre, rilevabile e rilevata d’ufficio, ed impone il compimento dell’incombente previsto dall’art.273 cod.civ., a cui dovrà provvedere la Corte di merito in diversa composizione in sede di rinvio nel rispetto dei principi del contraddittorio.
4. Resta assorbito l’esame di tutti i motivi, tra cui quello relativo al mancato compimento dell’ascolto del minore, istituto che pur nella sua autonomia (perché non richiede una manifestazione di volontà del minore – diversamente dall’istituto del “consenso”- e non è vincolante, nel suo esito, per il giudice) e nella diversa funzione ad esso riservato, necessariamente costituisce un minus rispetto alla prestazione o meno del consenso, dal quale, in concreto, viene ad essere assorbito.
5. In conclusione, decidendo sul ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente grado.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
- Decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente grado;
- Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52.