A nulla rileva la deduzione dell'imputato circa l'interruzione del canale comunicativo tra assistito e difensore di fiducia a causa della irripetibilità presso il domicilio dichiarato.
In un giudizio avente ad oggetto la condanna per stalking e violazione di corrispondenza
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 4 maggio 2021 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado, che aveva condannato M.D. alla pena di giustizia, avendolo ritenuto responsabile dei reati di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis, secondo comma, cod. pen. (capo b) e di violazione di corrispondenza di cui all'art. 616 cod. pen. (capo c).
2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta erronea applicazione della legge penale in punto di sussistenza della prova della conoscenza del procedimento di secondo grado da parte dell'imputato, rilevando come, nelle conclusioni scritte depositate ai fini della trattazione cartolare del procedimento d'appello, era stato dedotto che l'irreperibilità dell'imputato presso il domicilio dichiarato - che aveva condotto alla notifica del decreto di citazione in appello ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. - aveva anche impedito al difensore di raggiungerlo sia telefonicamente che mediante corrispondenza informatica, interrompendo in canale comunicativo che deve necessariamente intercorrere tra assistito e difensore di fiducia.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione
dell'art. 612-bis cod. pen., per difetto dell'elemento materiale e psicologico del reato, tenuto conto del fatto che, a seguito dell'iniziativa dell'imputato di interrompere la relazione con la moglie, quest'ultima aveva deciso di abbandonare la casa comune, portando con sé la figlia minore della coppia e impedendo per trentadue giorni al padre di vedere la stessa. Nel breve arco temporale in cui si erano sviluppate, le condotte dell'imputato, certo insistenti e fastidiose, non erano comunque state sorrette dalla volontà di molestare o minacciare la moglie nella consapevolezza di cagionarle timore, stress e ansia o di costringerla a mutare abitudini, ma dall'obiettivo di poter vedere la figlia. D'altra parte, il ricorrente era stato assolto già in primo grado dal delitto di maltrattamenti contestatogli al capo a).
Si osserva, altresì: a) che l'evento di danno richiesto dalla fattispecie incriminatrice non poteva essere ritenuto sussistente in ragione di un isolato episodio fondato sulla scelta della donna di farsi accompagnare dai genitori per la denuncia; b) che l'istruttoria dibattimentale non rivelava alcuna modificazione qualitativamente apprezzabile delle abitudini quotidiane né un grave stato di ansia e paura né un fondato timore per la propria incolumità personale; c) che neppure era sussistente l'elemento soggettivo del reato.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione dell'art. 616 cod. pen., giacché la ricostruzione dei fatti si basava unicamente sulle dichiarazioni della persone offesa, non accompagnate da ulteriori riscontri, laddove, secondo la versione dell'imputato, egli, senza necessità di inserire password o altre chiavi o di compiere altre particolari attività, con una semplice azione aveva avuto accesso, utilizzando il telefono cellulare che la moglie aveva regalato alla sorella dello stesso D. e che quest'ultimo aveva poi avuto, alla posta elettronica della moglie, peraltro leggendo solo il contenuto del ricorso per separazione del quale era il destinatario.
3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. ssa Sabrina Passafiume, la quale ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione, nonché memoria nell'interesse dell'imputato, con la quale si insiste per l'accoglimento del ricorso e, in subordine, per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per estinzione del reato per prescrizione.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.
Come emerge dal chiaro tenore dell'atto di impugnazione, non è in discussione la validità della notifica del decreto di citazione in appello, ma l'effettiva conoscenza del processo.
Secondo quanto riferisce lo stesso ricorso, il canale comunicativo tra difensore di fiducia e imputato durante tutto il corso del primo grado del giudizio aveva permesso al primo di informare l'assistito degli sviluppi processuali.
Ora, sia pure con riguardo alla distinta sede del rescissione del giudicato, ma affrontando tematiche identiche, questa Corte ha ritenuto che la nomina di un difensore di fiducia con elezione di domicilio presso il suo studio, alla quale abbia fatto seguito una dichiarazione di rinuncia al mandato, costituisce indice di effettiva conoscenza del processo che legittima il giudizio in assenza, salva l'allegazione, da parte del condannato, di circostanze di fatto che consentano di ritenere che egli non abbia avuto conoscenza della celebrazione del processo e che questa non sia dipesa da colpevole disinteresse per la vicenda processuale (Sez. 4, Sentenza n. 13236 del 23/03/2022, Piunti, Rv. 283019 - 01, con la quale la Corte ha escluso l'incolpevole mancata conoscenza del processo per la condotta negligente dell'imputato, resosi di fatto irreperibile anche con il suo difensore, tanto da rendere impossibile la comunicazione della rinuncia al mandato per l'interruzione del rapporto professionale).
Indipendentemente dal profilo dell'elezione di domicilio presso il difensore, che nel presente processo è addirittura resa meno garantita in relazione a notifiche eseguite presso la residenza dell'imputato, indicata come domicilio dichiarato da quest'ultimo, si osserva che l'art. 420-bis cod. proc. pen., al primo comma, prevede che si proceda in assenza se vi è stata espressa rinuncia da parte dell'imputato e, al secondo comma, individua i casi in cui si procede in assenza pur se non vi è stata alcuna manifestazione espressa da parte dell'imputato: « il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo».
Questo Collegio condivide l'orientamento, pur espresso in materia di rescissione del giudicato, secondo il quale l'effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vacatio in iudicium (v. di recente, anche Sez. 5, n. 19949 del 06/04/2021, Olguin Gonzales, Rv. 281256 - O).
La conclusione è fondata sulle indicazioni promananti da Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, Rv. 275716 e da Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, Ismail, Rv. 279420 - 01.
Quest'ultima decisione, in particolare, ha ricordato che l'art. 420-bis cod. proc.
pen., al primo comma, prevede che si proceda in assenza se vi è stata espressa rinuncia da parte dell'imputato e, al secondo comma, disciplina il caso in cui si procede in assenza pur se non vi è stata alcuna manifestazione espressa da parte dell'imputato. In quest'ultimo caso, il giudice procede in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è
volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.
In tale contesto, le Sezioni Unite, valorizzando la finalità dell'intervento normativo operato con la I. n. 67 del 2014, hanno chiarito che gli indici di conoscenza sopra ricordati creano una situazione che deve necessariamente essere verificata in termini di effettività, ossia di concreta idoneità a fondare la conclusione della conoscenza del processo.
Con riguardo all'indice rappresentato dalla nomina del difensore di fiducia, le Sezioni Unite hanno aggiunto che essa, per essere apprezzata in termini di effettività e di regolare rapporto informativo tra difensore ed assistito, va intesa quale nomina accettata.
In altri termini, l'art. 420-bis, comma 2, cod. proc. pen., nell'ottica di una comprensibile facilitazione del compito del giudice, ha tipizzato dei casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vacatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell'imputato; tuttavia, per quanto detto, devono ricorrere indici che dimostrino l'effettività degli indici di conoscenza.
Nel caso di specie, tuttavia, poiché l'irreperibilità presso il domicilio dichiarato non dimostra affatto l'impossibilità per il difensore di contattare l'assistito, deve registrarsi l'assoluta assenza di specificità della deduzione secondo la quale sarebbe stato impossibile raggiungere telefonicamente o a mezzo di corrispondenza informatica.
Nelle conclusioni depositate in sede di appello si indicano i recapiti e si menziona, oltre ai tentativi di contatto telefonico o a mezzo di posta elettronica, persino l'invio di una lettera, ma di tali iniziative non risulta traccia alcuna.
Ma v'è di più. Nella stessa prospettazione difensiva, i vani tentativi di contatto con l'assistito si collocano a valle della «notifica della fissazione dell'udienza del giorno 04.05.2021» ossia in epoca successiva alla predisposizione dell'appello da parte del difensore di fiducia, con la conseguenza che, a fronte di una indiscussa conoscenza della condanna in primo grado e della proposizione dell'atto di appello, la scelta di rendersi irreperibile implica ragionevolmente una volontaria sottrazione alla conoscenza del processo.
2. Il secondo motivo è inammissibile in quanto, del tutto assertivamente, ripropone la propria ricostruzione dei fatti e aspira ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie preclusa in questa sede.
Al riguardo, va ribadito (v., di recente, Sez. 5, n. 17568 del 22/03/2021) che è estraneo all'ambito applicativo dell'art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per "brani" né fuori dal contesto in cui è inserito, sicché gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell'apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sono, pertanto, inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, Ienco, Rv. 236540; conf. ex plurimis, Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168). Così come sono estranei al sindacato della Corte di cassazione i rilievi in merito al significato della prova ed alla sua capacità dimostrativa (Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, Bruzzese, Rv. 235510). Pertanto, il vizio di motivazione deducibile in cassazione consente di verificare la conformità allo specifico atto del processo, rilevante e decisivo, della rappresentazione che di esso dà la motivazione del provvedimento impugnato, fermo restando il divieto di rilettura e reinterpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167).
In questa prospettiva, ferma l'assoluta irrilevanza dell'assoluzione del ricorrente dal delitto di maltrattamenti - giacché il dato, in sé, è neutro, in mancanza delle ragioni giustificatrici della decisione, che l'atto di impugnazione omette di precisare - resta da considerare che razionalmente la dimostrazione della sussistenza dell'elemento psicologico e, a monte, dell'evento di danno è stato tratto dalle reiterate e gravi condotte del ricorrente, incurante persino dell'ammonimento ricevuto: ciò spiega il fondato timore della vittima. Ed è appena il caso di rilevare che la menzione, da parte della sentenza impugnata, del fatto che, per recarsi a sporgere denuncia, la donna si era fatta accompagnare dai propri genitori è un indice esteriore e univoco del grave timore indotto dalle condotte insistenti del ricorrente.
3. Il terzo motivo è inammissibile per assenza di specificità e manifesta infondatezza, in quanto la ricostruzione della Corte territoriale è fondata su quanto dichiarato dalla persona offesa. Tale profilo è del tutto sufficiente a rivelare la logicità delle conclusioni raggiunte, considerato che in definitiva il ricorrente ammette di avere letto la posta elettronica e che è del tutto ragionevole la cancellazione dei dati prima della consegna del telefono alla sorella dell'imputato.
Ciò posto, secondo la ferma giurisprudenza di questa Corte, nel caso di accesso abusivo ad una casella di posta elettronica protetta da "password", è configurabile il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico che concorre con quello di violazione di corrispondenza, in relazione all'acquisizione del contenuto delle "mail" custodite nell'archivio (Sez. 5, Sentenza n. 18284 del 25/03/2019, Zumbo, Rv. 275914 - 01; v. anche Sez. 5, n. 12603 del 02/02/2017, Segagni, Rv. 269517, secondo cui integra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 cod. pen.) la condotta di colui che prende cognizione del contenuto della corrispondenza telematica conservata nell'archivio di posta elettronica.
Ora, alla luce dei dati fattuali sopra ricordati, il volontario ripristino di dati cancellati integra appunto l'accesso ad un archivio riservato.
4. Con riferimento al tema dell'intervenuta prescrizione, si osserva che il termine ordinario di sette anni e mezzo, derivante dall'applicazione degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., sarebbe comunque decorso, anche al netto dei 154 giorni di sospensione, anche in relazione al più risalente dei reati (il delitto di cui all'art. 616 cod. pen. contestato come commesso nel gennaio 2014) il 1° luglio 2021, ossia in data successiva al quella della sentenza di secondo grado (4 maggio 2021).
Ora, l'inammissibilità del ricorso per cassazione non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 - 01, proprio con riguardo alla prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
5. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 del d. lgs. n. 196 del 2003.