Inoltre, esse trovano applicazione anche per l'azione esercitata al di fuori del fallimento quando il giudizio promosso dal singolo creditore sia proseguito dal curatore.
Il Tribunale di Perugia accoglieva parzialmente l'opposizione della banca contro lo stato passivo del fallimento di una società, ammettendo al passivo in via chirografaria un credito a titolo di restituzione del mutuo fondiario concesso alla società fallita da un pool di banche ai sensi dell'
Svolgimento del processo
1. Con decreto del 17 febbraio 2015, il Tribunale di Perugia ha parzialmente accolto l'opposizione proposta dalla Banca di M. e di P. – C. C. U. Soc. coop. avverso lo stato passivo del fallimento della C. S.p.a., ammettendo al passivo in via chirografaria, anziché in grado ipotecario, un credito di Euro 152.282,73, a titolo di restituzione di un mutuo fondiario concesso alla società fallita da un pool di banche, ai sensi dell'art. 38 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, con atto del 29 luglio 2009. Premesso che l'esclusione del credito dallo stato passivo non è censura- bile per insufficienza della motivazione, la quale non determina la nullità del provvedimento adottato dal Giudice delegato, e ritenuta ammissibile la riproposizione nel giudizio di opposizione delle eccezioni già sollevate dal curatore in sede di verificazione, nonché la proposizione di eccezioni nuove, il Tribunale ha innanzitutto precisato che l'esenzione prevista dall'art. 67, terzo comma, lett. d), del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 non trova applicazione alla revocatoria ordinaria, essendo prevista soltanto per la revocatoria fallimentare, nell'ambito della quale costituisce un contrappeso alle agevolazioni probatorie accordate al curatore, e dovendosi altrimenti ritenere che la medesima esenzione spetti anche all'imprenditore in bonis convenuto in giudizio ai sensi dell'art. 2901 cod. civ. Ha aggiunto che nella specie il piano e l'attestazione risultavano privi di data certa, non essendo la stessa desumibile dal contratto di finanziamento, recante un generico riferimento ad un piano di risanamento, ed essendo comunque il piano inidoneo ad assicurare il risanamento dell'impresa.
Il Tribunale ha escluso inoltre la nullità del mutuo sia per superamento del limite di finanziabilità che per illiceità della causa, rilevando che la violazione dell'art. 38 del d.lgs. n. 385 del 1993 non comporta alcuna nullità, mentre l'intento delle parti di recare pregiudizio ad altri non è di per sé illecito; ha ritenuto altresì insussistente la simulazione, essendo la concessione del mutuo sicuramente voluta dalle parti, ed aggiungendo che, ove il risultato pratico dalle stesse perseguito consista nella trasformazione di un pregresso credito chirografario in un credito ipotecario e nel pagamento di un debito scaduto ed esigibile con un mezzo anormale, l'operazione deve considerarsi in frode ai creditori, e quindi revocabile ai sensi degli artt. 66 e 67 della legge fall.
Ciò posto, e precisato che la revocabilità può essere opposta in via incidentale anche in sede di verificazione del passivo, ha rilevato che il credito azionato costituiva la quota spettante all'opponente nell'ambito di un mutuo dell'importo complessivo di Euro 8.619.050,00 stipulato dalla società fallita con un pool di banche costituito anche dalla Banca delle M. S.p.a., dalla Banca di S. M. S.p.a., dalla Banca M. dei P. di S. S.p.a., dall'U. C. B. S.p.a., dalla Banca Popolare di A. S.p.a., dalla Banca Popolare di S. S.p.a. e dalla S. B. S.p.a., e garantito da ipoteca su un opificio industriale sito in B., nonché da un pegno in favore della Banca di S. M. e della S. B.. Pur dando atto che l'importo erogato era stato utilizzato in gran parte per l'estinzione di esposizioni debitorie pregresse nei confronti di vari istituti di credito, tra i quali non figurava l'opponente, ha ritenuto che l'operazione, da valutarsi nel suo complesso, fosse finalizzata al pagamento soltanto di alcuni creditori, la cui posizione era stata rafforzata in pregiudizio di altri, mediante la concessione dell'ipoteca: ha evidenziato in proposito la situazione debitoria della Cost all'epoca della stipulazione del contratto, nonché il successivo aggravamento della stessa, aggiungendo che dai dati della Centrale dei Rischi e dall'analisi dei bilanci emergeva che lo stato di decozione era conoscibile da soggetti qualificati come gl'istituti di credito fin dal 2006.
Premesso infine che la concessione d'ipoteca costituisce un atto dispositivo idoneo a determinare una diminuzione della garanzia patrimoniale, ed esclusa l'applicabilità dell'art. 2901, terzo comma, cod. civ., il Tribunale ha ritenuto provato il pregiudizio arrecato agli altri creditori, affermando che la Banca non poteva non esserne consapevole, in quanto in grado di valutare i sintomi dello stato di dissesto, e ritenendo sussistente anche il requisito temporale prescritto dall'art. 2901 cod. civ. Ha concluso pertanto per l'ammissione al passivo del credito in via chirografaria, ritenendo non ostativo, a tal fine, il c.d. consolidamento breve dell'ipoteca, opponibile soltanto nel caso in cui lo scopo complessivo del negozio consista nel consentire al mutuatario l'acquisto, la costruzione o la ristrutturazione d'immobili.
2. Avverso il predetto decreto la Banca ha proposto ricorso per cassazione, articolato in dieci motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore del fallimento ha resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo ed anch'esso illustrato con memoria.
Per la decisione del ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l'intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8- bis, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, in combinato disposto con l'art. 16, comma primo, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228 (che ne ha prorogato l'applicazione alla data del 31 dicembre 2022).
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente denuncia la nullità del decreto impugnato per grave contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. e dell'art. 99, ultimo comma, della legge fall., rilevando che l'esclusione della natura fondiaria dell'ipoteca, in quanto non avente lo scopo di consentire al mutuatario l'acquisto, la costruzione o la ristrutturazione d'immobili, oltre a non trovare giustificazione in alcun elemento di fatto, si pone in contrasto con la qualificazione del con- tratto come mutuo fondiario, in virtù della quale il Tribunale ne ha escluso la nullità per difetto o illiceità della causa.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 38 e 39, quarto comma, del d.lgs. n. 385 del 1993, osservando che tali disposizioni, nell'escludere la revocabilità dell'ipoteca, se il fallimento non interviene entro dieci giorni dall'iscrizione, non richiedono che le somme mutuate siano destinate all'acquisto, alla costruzione o alla ristrutturazione d'immobili, non essendo il mutuo fondiario inquadrabile nella categoria del mutuo di scopo.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell'art. 67, terzo comma, lett. d) della legge fall., censurando il decreto impugnato per aver escluso che l'esenzione prevista da tale disposizione si applichi alla revocatoria ordinaria, senza tener conto del tenore letterale della norma, che non prevede limitazioni, della finalità perseguita attraverso l'introduzione della stessa, consistente nel favorire il superamento della crisi aziendale attraverso l'attuazione del piano di risanamento, e del contrasto di tale finalità con il più lungo termine previsto per l'esercizio della revocatoria ordinaria e per i più ristretti limiti di operatività di quest'ultima rispetto alla revocatoria fallimentare.
4. Con il quarto ed il quinto motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'art. 2704, secondo comma, cod. civ., nonché l'apparenza, l'insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell'art. 111 Cost. e dell'art. 99, penultimo comma, della legge fall., e l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nell'escludere l'opponibilità al fallimento del piano di risanamento e della relativa attestazione, in quanto privi di data certa, il decreto impugnato non ha considerato che quest'ultima poteva essere accertata in via presuntiva sulla base della data di perfezionamento del contratto, recante il richiamo al piano di risanamento, della coincidenza dell'importo erogato e della composizione del pool con quelli indicati dal piano, nonché della mancata dimostrazione dell'esistenza di un piano diverso e di un'altra attestazione. Aggiunge che il Tribunale ha immotivatamente rigettato l'istanza di ammissione della prova testimoniale da essa dedotta al riguardo, senza tener conto né della sua qualità di terzo rispetto al piano ed alla relativa attestazione, né della natura di questi ultimi, qualificabili come atti unilaterali aventi destinatario indeterminato.
5. Con il sesto motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2697 cod. civ., nonché l'apparenza, l'insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell'art. 111 Cost. e dell'art. 99, penultimo comma, della legge fall., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto il piano inidoneo ad assicurare il risanamento dell'impresa, senza darne alcuna giustificazione. Premesso che in proposito il Tribunale si è limitato a richiamare la relazione tecnica depositata dal curatore, formata senza alcun contraddittorio con la controparte, invece di disporre una c.t.u., osserva che le conclusioni cui la relazione è pervenuta sono fondate su un ragiona- mento svolto a posteriori, anziché in riferimento all'epoca di formazione del piano, e comunque sfornito di qualsiasi supporto probatorio. Sostiene infatti che, per effetto dell'erogazione delle somme mutuate, la società fallita non ha subìto alcuna contrazione delle proprie disponibilità, avendo potuto anzi far fronte alle proprie obbligazioni e continuare ad operare sul mercato per altri quattro anni, prima della dichiarazione di fallimento. Aggiunge che, nel dare atto dell'aggravamento del dissesto in epoca successiva, il decreto impugnato non ha addotto alcun elemento idoneo ad evidenziare il nesso eziologico tra lo stesso e l'erogazione del mutuo.
6. Con il settimo e l'ottavo motivo, la ricorrente deduce la violazione dello art. 112 cod. proc. civ. e dell'art. 2697 cod. civ., nonché l'apparenza, l'insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell'art. 111 Cost. e dell'art. 99, penultimo comma, della legge fall., e l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel dichiarare l'ipoteca inefficace anche nei confronti di essa ricorrente, il decreto impugnato ha omesso di esaminare specificamente la sua posizione nell'ambito dell'operazione realizzata in pool. Sostiene infatti di aver agito in totale buona fede, nella convinzione che il mutuo avrebbe consentito il riequilibrio finanziario della Cost, conformemente al piano di risanamento, non vantando essa ricorrente alcun credito pregresso nei confronti della società fallita, e non avendo pertanto tratto alcun vantaggio dalla stipulazione del contratto, né arrecato alcun pregiudizio agli altri creditori. Aggiunge che l'asserita utilizzazione dell'importo erogato per estinguere anticipatamente esposizioni pregresse nei confronti delle altre banche era rimasta assolutamente indimostrata, mentre il mancato pagamento degli altri debiti pregressi risultava del tutto irrilevante ai fini dell'accoglimento della revocatoria.
7. Con il nono ed il decimo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., nonché l'apparenza, l'insufficienza e/o la contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell'art. 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., dell'art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell'art. 111 Cost. e dell'art. 99, penultimo comma, della legge fall., sostenendo che, nel dichiarare l'ipoteca inefficace anche nei confronti di essa ricorrente, il decreto impugnato ha omesso d'individuare il pregiudizio arrecato agli altri creditori e di accertare la sussistenza del consilium fraudis. Premesso infatti che non era stata in alcun modo dedotta l'insufficienza del patrimonio della società fallita a garantire la soddisfazione di tutti i creditori, sostiene che non era stata provata neppure la riconducibilità di tale insufficienza alla concessione dell'ipoteca, mentre era risultato che i beni ipotecati erano già gravati da un'altra iscrizione a favore della Banca M.. Quanto alla consapevolezza del predetto pregiudizio, afferma che la possibilità di accedere ai bilanci della società fallita comportava una conoscibilità meramente potenziale, aggiungendo che, nell'evidenziare l'aggravamento della situazione debitoria della C., il decreto impugnato non ha dato conto né dei debiti accertati, né delle risultanze contabili prese in considerazione, essendosi limitato a richiamare le relazioni tecniche prodotte dal curatore, non aventi valore probatorio.
8. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, il controricorrente deduce la violazione degli artt. 1344 cod. civ. e dell'art. 216 della legge fall., censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha escluso la configurabilità del contratto come negozio in frode alla legge, senza considerare che tra le ipotesi di indebita preferenza sanzionate dall'art. 216 cit. può rientrare anche la concessione di una prelazione idonea ad alterare la par condicio creditorum.
9. I primi due motivi del ricorso principale, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto questioni strettamente connesse, sono inammissibili.
Le censure proposte dalla ricorrente hanno infatti ad oggetto un passo della motivazione del decreto impugnato che, in quanto non riferibile direttamente alle domande e alle eccezioni proposte dalle parti, né chiaramente riconducibile alle problematiche in discussione, risulta estraneo alla ratio della decisione, e deve quindi considerarsi svolto soltanto ad abundantiam, nonché improduttivo di effetti giuridici, con la conseguenza che la ricorrente non ha alcun interesse ad impugnarlo (cfr. Cass., Sez. I, 10/04/2018, n. 8755; Cass., Sez. lav., 22/10/2014, n. 22380; 22/11/2020, n. 23635).
Nel dichiarare inefficace l'ipoteca iscritta a garanzia del credito fatto valere con l'istanza di insinuazione al passivo, il Tribunale ha infatti ricondotto espressamente l'eccezione sollevata dal curatore all'art. 2901 cod. civ., richiamato dall'art. 66 della legge fall., qualificando quindi la domanda dallo stesso proposta sotto la predetta forma come azione revocatoria ordinaria: quest'ultima, com'è noto, esula dall'ambito applicativo dell'esenzione prevista dall'art. 39, comma quarto, del d.lgs. n. 385 del 1993, che, nel sottrarre alla revocatoria le ipoteche iscritte a garanzia di mutui fondiari ed i pagamenti effettuati dal debitore a fronte dei relativi crediti, si riferisce alla sola revocatoria fallimentare, come conferma l'espresso richiamo all'art. 67 della legge fall.
10. Il terzo motivo è fondato.
La questione sollevata dalla ricorrente è stata già ripetutamente affrontata da questa Corte, in epoca successiva alla proposizione dell'impugna- zione, e risolta nel senso dell'inapplicabilità all'azione revocatoria ordinaria, ancorché esercitata dal curatore fallimentare, delle esenzioni contemplate dall'art. 67, terzo comma, della legge fall. (cfr. Cass., Sez. I, 8/02/2019, n. 3778, relativa all'esenzione prevista dalla lett. e) per gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato; nel medesimo senso, Cass., Sez. III, 24/02/2020, n. 4796 e Cass., Sez. I, 14/01/2021, n. 571, relative all'esenzione prevista dalla lett. c) per le vendite ed i preliminari di vendita conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo o destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente). A fondamento di tale soluzione, sono stati addotti cinque ordini di considerazioni, fondate rispettivamente a) sulla formulazione letterale dell'art. 67, terzo comma, il quale, escludendo la soggezione degli atti da esso indicati all'«azione revocatoria» genericamente indicata, si riferisce evidentemente a quella disciplinata dai due commi precedenti, e non anche a quella ordinaria, disciplinata dall'art. 66 con rinvio alle norme del codice civile, b) sulla diversa formulazione dell'art. 69-bis, il quale, nel disciplinare la decadenza dall'azione, si riferisce invece espressamente a tutte quelle «disciplinate dalla presente sezione», ovverosia dagli artt. 64-71, c) sull'analoga disciplina dettata dall'art. 12, comma quinto, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 per i procedimenti di composizione delle crisi da sovraindebitamento, la quale, nel sottrarre all'azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo omologato, fa espresso riferimento all'art. 67 della legge fall., in tal modo escludendo l'applicabilità dell'esenzione all'azione revocatoria ordinaria di cui all'art. 2901 cod. civ., richiamato dall'art. 66 della legge fall., d) sull'art. 18 del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, il quale, nel modificare l'art. 12, comma quinto, cit., ha contestualmente modificato l'art. 217-bis della legge fall., estendendo le esenzioni dai reati di bancarotta all'accordo di composizione della crisi omologato ai sensi dell'art. 12, in tal modo confermando la piena autonomia dei due ambiti di tutela, civilistico e penalistico, riguardanti i pagamenti effettuati in violazione della par condicio creditorum, e) sulla diversità dei due tipi di azione revocatoria, ritenuta idonea ad escludere l'arbitrarietà di un trattamento differenziato, essendo gli stessi volti a colpire rispettivamente atti idonei ad indurre l'insolvenza del debitore ed atti compiuti dallo stesso quando era già insolvente, nonché riferibili ad ambiti temporali diversi e caratterizzati da un differente regime probatorio, più gravoso per quella ordinaria, dal momento che in quella fallimentare il curatore può avvalersi anche di presunzioni juris tantum.
10.1. In contrario, è stata peraltro evidenziata la portata tutt'altro che risolutiva dell'interpretazione letterale, osservandosi per un verso che il rinvio dell'art. 66 alla disciplina del codice civile non esclude qualsiasi interferenza con quella dettata dalla legge fallimentare, a sua volta fatta salva dall'art. 2904 cod. civ., e per altro verso che la maggiore genericità della formulazione dell'art. 67, terzo comma, sia rispetto a quella dell'art. 69-bis che rispetto a quella dell'art. 12, comma quinto, della legge n. 3 del 2012 potrebb3 consentire di pervenire a conclusioni esattamente opposte; in linea più generale, è stato posto in risalto il carattere tutt'altro che rigoroso della formulazione delle norme in materia, esprimendosi dubbi anche in ordine alla validità teorica di una distinzione così netta tra l'azione revocatoria fallimentare e quella ordinaria, aventi una matrice indubbiamente comune. La consistenza di tali obiezioni, volte a porre in risalto la fragilità degli argomenti di ordine testuale e sistematico addotti a sostegno della soluzione negativa, impone di procedere in questa sede ad un approfondimento della questione, tenendo conto anche delle opinioni manifestatesi in dottrina in ordine all'ambito applicativo della norma in esame.
10.2. Sotto il profilo letterale, va innanzitutto confermata l'ambivalenza della formulazione letterale dell'art. 67, terzo comma, della legge fall., la quale, a dispetto della collocazione della norma, inserita nella disciplina della revocatoria fallimentare, non autorizza conclusioni sicure né nel senso dell'applicabilità, né in quello dell'inapplicabilità delle esenzioni alla revocatoria ordinaria. Nell'ambito del medesimo articolo, alla generica formulazione del terzo comma, il cui riferimento all'«azione revocatoria» potrebbe testimoniare anche l'intento del legislatore di estenderne l'ambito applicativo ad entrambe le azioni, si contrappone infatti la specificità del quarto comma, che nell'escludere l'applicabilità della revocatoria all'istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario, fa puntuale riferimento alle «disposizioni di questo articolo», e quindi alla sola revocatoria fallimentare. Analoghe considerazioni possono svolgersi con riguardo alla differente formulazione dell'art. 69-bis, il cui specifico riferimento a tutte le «azioni revocatorie disciplinate dalla presente sezione», idoneo ad abbracciare sia quella fallimentare che quella ordinaria, non rappresenta un indice sicuro della volontà del legislatore di limitare alla prima l'ambito applicativo delle esenzioni previste dall'art. 67, terzo comma: si è anzi rilevato che, in presenza di una più generica formulazione di quest'ultima disposizione, costituirebbe un evidente paradosso l'attribuzione alla stessa di una portata più circoscritta di quella di altre norme, aventi un ambito di applicazione rigorosamente individuato. Non può ritenersi infine determinante neppure il confronto con l'art. 12, comma quinto, della legge n. 3 del 2012, il cui puntuale riferimento «all'azione revocatoria di cui all'art. 67 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267» potrebbe essere interpretato come espressione tanto della volontà di esplicitare meglio la regola generale enunciata da tale disposizione, quanto della volontà di discostarsene, dettando una disciplina dall'ambito applicativo più ristretto.
Sotto il profilo logico-sistematico, poi, avuto riguardo alla ratio dell'art. 67, terzo comma, della legge fall., le segnalate differenze tra la disciplina della revocatoria fallimentare e quella della revocatoria ordinaria non possono ritenersi idonee a giustificare l'esclusione dell'applicabilità alla seconda delle esenzioni previste per la prima, correndosi altrimenti il rischio di vanificarne l'efficacia, e quindi di impedire il perseguimento delle finalità avute di mira dal legislatore mediante l'introduzione della norma in esame. In quest'ottica, è stata peraltro evidenziata la difficoltà di ricondurre ad unità le fattispecie di esenzione, osservandosi che, mentre alcune delle stesse (lett. a, b) mirano a consentire la prosecuzione dell'attività produttiva, evitando che il timore della revocatoria scoraggi altri operatori dall'entrare in rapporti con l'imprenditore in difficoltà, altre (lett. d, e, g) sono volte ad agevolare il ricorso alle procedure di composizione negoziale della crisi d'impresa, sottraendo alla revocatoria gli atti compiuti in funzione o in esecuzione delle stesse, ed altre ancora trovano giustificazione nell'appartenenza del creditore o dell'altro contraente a particolari categorie di soggetti ritenute meritevoli di tutela (lett. c, f). Si è quindi prospettata la possibilità di dare al quesito riguardante l'ambito di operatività della norma in esame risposte differenziate, anche con riguardo alla revocatoria fallimentare, correlando l'applicabilità dell'esenzione alla categoria di atti cui si riferiscono le singole fattispecie: si è ritenuto, in particolare, che l'operatività del primo gruppo di esenzioni dovrebbe essere subordinata alla riconducibilità dell'atto alla normale gestione dell'impresa ed al compimento dello stesso con modalità ordinarie, con la conseguente inapplicabilità delle esenzioni agli atti di cui all'art. 67, primo comma, n. 1, mentre quella del secondo e del terzo gruppo andrebbe riconosciuta alle condizioni di volta in volta previste, e tale ragionamento è stato esteso anche alla revocatoria ordinaria, osservandosi che la sottrazione della stessa all'ambito di applicabilità della norma in esame comporterebbe la sostanziale elisione della portata delle esenzioni.
Tale opinione merita di essere condivisa, proprio in considerazione delle finalità perseguite dal legislatore mediante la previsione delle singole fattispecie di esenzione, che inducono a ravvisare nella soluzione adottata dai precedenti giurisprudenziali citati una risposta eccessivamente semplificata ad una problematica nella realtà assai complessa e variegata. Nel primo gruppo di ipotesi, infatti, l'esenzione si pone in collegamento con l'ordinaria gestione dell'impresa, e può trovare giustificazione soltanto a condizione che, per tipologia e modalità di effettuazione, da valutarsi caso per caso, l'opera- zione sia riconducibile alla stessa: in tal senso depone la stessa formulazione letterale delle lett. a) e b) dell'art. 67, terzo comma, la quale richiede che i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'impresa abbiano avuto luogo «nei termini d'uso», e che le rimesse effettuate su conto corrente bancario «non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca» (cfr. Cass., Sez. I, 7/07/2021, n. 19373; 7/12/2020, n. 27939; 18/03/2019, n. 7580). Negli altri due gruppi di ipotesi, invece, la finalità di agevolare il ricorso ad accordi per la regolazione della crisi d'impresa e quella di garantire la tutela di soggetti appartenenti alle categorie indicate comporta la necessità di riconoscere comunque l'esenzione, in presenza delle condizioni richieste dalla norma, e cioè, rispettivamente, del compimento dell'atto in esecuzione di un piano di risanamento, del concordato, dell'amministrazione controllata o dell'accordo omologato, oppure dell'effettuazione del pagamento a fronte di un servizio prestato in funzione delle predette procedure, o ancora dell'effettuazione dello stesso per una prestazione di lavoro.
In termini sostanzialmente non diversi deve ritenersi operante l'esenzione dalla revocatoria ordinaria, rispetto alla quale occorre tuttavia tenere presente che i pagamenti e le rimesse di cui alle lettere a), d), f) e g) dell'art. 67, terzo comma, sono già sottratti alla revoca, ai sensi dell'art. 2901, terzo comma, cod. civ., costituendo adempimento di debiti scaduti. Quanto agli atti ed alle garanzie di cui alle lettere c), d) ed e), occorre invece considerare che per le vendite immobiliari l'applicabilità dell'esenzione trova giustificazione nella corrispondenza dell'atto ad una situazione di normale esercizio dell'attività d'impresa, comprovata dalla subordinazione della sua operatività alla condizione che la vendita sia stata conclusa «a giusto prezzo»; per gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione o in funzione della regolazione concordata della crisi d'impresa, la riferibilità dell'esenzione alla revocatoria ordinaria trova a sua volta giustificazione nell'osservazione che altrimenti l'operazione non potrebbe mai sottrarsi alla dichiarazione d'inefficacia, avuto riguardo alla consapevolezza da parte del terzo dello stato di crisi in cui versava l'impresa all'epoca del compimento dell'operazione e dell'oggettiva idoneità della stessa ad arrecare pregiudizio alle ragioni degli altri creditori. Va infine precisato che la medesima disciplina deve considerarsi applicabile anche nel caso in cui l'azione revocatoria ordinaria venga esercitata al di fuori del fallimento, non ravvisandosi alcuna ragione che possa giustificare, in tal caso, l'assoggettamento dell'operazione ad una disciplina più severa di quella applicabile nell'ambito del fallimento, la cui apertura determina, d'altronde, l'improcedibilità della domanda proposta dal singolo creditore, salva l'eventuale prosecuzione del giudizio da parte del curatore (cfr. Cass., Sez. Un., 17/12/2008, n. 29420; Cass., Sez. III, 6/07/2020, n. 13862).
In conclusione, la questione sollevata dalla ricorrente va risolta mediante l'enunciazione del principio di diritto secondo cui «in tema di fallimento, le esenzioni previste dall'art. 67, terzo comma, della legge fall. trovano applicazione non soltanto all'azione revocatoria fallimentare, ma, alle condizioni per la stessa previste, anche all'azione revocatoria ordinaria esercitata dal curatore, nonché a quella esercitata al di fuori del fallimento, nel caso in cui il giudizio promosso dal singolo creditore sia proseguito dal curatore».
10.3. Alla stregua del predetto principio, non possono pertanto condividersi le conclusioni cui è pervenuto il decreto impugnato, nella parte in cui, pur avendo accertato che il credito fatto valere con l'istanza d'insinuazione al passivo traeva origine da un mutuo ipotecario concesso alla società fallita in esecuzione di un piano di risanamento dell'impresa stipulato con un pool di banche, ivi compresa la ricorrente, ha ritenuto revocabile la garanzia, in accoglimento dell'eccezione proposta dal curatore del fallimento, ed ha ammesso il credito al passivo in via chirografaria, escludendo l'applicabilità della esenzione prevista dall'art. 67, terzo comma, lett. d), della legge fall., in considerazione dell'avvenuta proposizione dell'eccezione ai sensi dell'art. 66 della legge fall., in combinato disposto con l'art. 2901 cod. civ.
11. Il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso principale, aventi ad oggetto rispettivamente la certezza della data del piano di risanamento e della relativa attestazione e l'idoneità del piano a consentire il raggiungimento dello obiettivo prefissato, sono invece inammissibili, riguardando anch'essi argomentazioni del decreto impugnato che risultano estranee alla ratio della decisione impugnata, essendo state svolte, come espressamente precisato dal Tribunale, soltanto ad abundantiam, in conseguenza della ritenuta inapplicabilità dell'esenzione, avente carattere assorbente.
Resta ferma, ovviamente, la necessità di un riesame delle predette questioni, essendo l'operatività dell'esenzione di cui all'art. 67, terzo comma, lett. d), della legge fall. espressamente subordinata alla condizione che il piano in esecuzione del quale è stata concessa la garanzia «appaia idoneo a consentire il risanamento dell'esposizione debitoria dell'impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria». Ai fini di tale accertamento, dovrà tenersi conto dei principi, ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui a) in assenza delle situazioni tipiche di certezza contemplate dall'art. 2704 cod. civ., la data della scrittura privata può essere desunta da un fatto idoneo a stabilire in modo certo l'anteriorità del documento, la cui prova può essere fornita anche per testimoni o in via presuntiva (cfr. Cass., Sez. VI, 12/09/ 2016, n. 17926; Cass., Sez. I, 1/10/2015, n. 19656; 22/10/2009, n. 22430), b) la consulenza di parte costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valore probatorio (cfr. Cass., Sez. Un., 3/06/2013, n. 13902; Cass., Sez. II, 19/01/2022, n. 1614; 24/08/2017, n. 20347). L'idoneità del piano andrà inoltre valutata necessariamente ex ante, cioè alla stregua della situazione esistente alla data della sua adozione (cfr. Cass., Sez. I, 10/02/ 2020, n. 3018; 5/07/2016, n. 13719).
12. L'accoglimento del terzo motivo, determinando la caducazione della sentenza impugnata anche nella parte riguardante la sussistenza dei presupposti necessari per l'accoglimento della revocatoria ordinaria, comporta infine l'assorbimento degli altri motivi del ricorso principale, volti a censurare il relativo accertamento.
13. Quanto al ricorso incidentale, si rileva innanzitutto che la difesa del fallimento, pur avendo dichiarato nella memoria depositata ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. di non aver interesse a coltivare l'impugnazione, in conseguenza delle contrarie decisioni adottate da questa Corte con ordinanze del 22 febbraio 2021, nn. 4694 e 4695, non ha depositato un formale atto di rinuncia notificato alla controparte, con la conseguenza che non può ritenersi esclusa la necessità di pronunciare al riguardo.
13.1. L'unico motivo, con cui il curatore insiste sulla nullità del contratto di mutuo, ribadendone la configurabilità come contratto in frode alla legge, è peraltro infondato.
In tema di nullità del contratto, questa Corte ha infatti affermato ripetutamente che, in assenza di una norma che vieti in via generale di porre in essere attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori non può considerarsi di per sé illecito, sicché la sua conclusione non comporta una nullità per illiceità della causa, per frode alla legge o per motivo illecito determinante comune alle parti, dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l'ordinamento appresta rimedi speciali, i quali comportano, in presenza di particolari condizioni, l'applicazione della sola sanzione dell'inefficacia (cfr. Cass., Sez. III, 31/ 10/2014, n. 23158; Cass., Sez. II, 11/10/2013, n. 23158; Cass., Sez. I, 4/ 10/2010, n. 20576). Tale principio, correttamente richiamato dal decreto impugnato, è stato ribadito anche in riferimento all'ipotesi di stipulazione di un mutuo ipotecario in violazione dell'art. 216, terzo comma, della legge fall., che punisce il reato di bancarotta preferenziale: in linea generale, si è infatti osservato che la violazione di una norma imperativa non dà luogo necessariamente alla nullità del contratto, dal momento che l'art. 1418, primo comma, cod. civ., facendo salva l'ipotesi in cui la legge disponga diversamente, impone all'interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso d'inosservanza del precetto, abbia voluto salvaguardare la validità del negozio, mediante la predisposizione di un meccanismo alternativo idoneo a realizzare gli effetti della norma; nel caso in cui il debitore abbia effettuato pagamenti o simulato titoli di prelazione con l'intento di favorire uno o più creditori a danno di altri, il predetto meccanismo è stato poi individuato nell'esercizio dell'azione revocatoria, la quale, comportando la dichiarazione d'inefficacia dell'atto, in quanto lesivo della par condicio creditorum, consente di escludere l'applicabilità della sanzione di nullità per illiceità della causa, ai sensi dell'art. 1344 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. I, 22/02/2021, n. 4694 e 4695; 28/09/2016, n. 19196).
14. Il decreto impugnato va pertanto cassato, in accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Perugia, che provvederà, in diversa composizione, anche al regola- mento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
dichiara inammissibili il primo, il secondo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale, accoglie il terzo, dichiara assorbiti gli altri motivi, rigetta il ricorso incidentale, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Perugia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale dal comma 1-bis dello stesso art. 13.