Decidendo sul ricorso di un uomo che aveva chiesto la revoca del sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto dei reati di evasione fiscale, la Cassazione risponde al quesito.
Svolgimento del processo
1. Decidendo in sede di rinvio, disposto dalla Seconda Sezione di questa Corte con sentenza n. 1740/2022, il Tribunale del riesame di Roma ha rigettato l'appello proposto da PG avverso l'ordinanza con la quale il Tribunale di Roma in composizione collegiale aveva respinto la richiesta di revoca del sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto dei reati di evasione fiscale, disposto con decreto del 16 novembre 2012 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale avente ad oggetto la polizza C gruppo B del valore di 999 mila euro e il conto corrente, accesso presso la B con saldo di 114.545,34 euro, intestati a PG , di cui la moglie MMA era rispettivamente beneficiaria e delegata ad operare.
Nel prendere atto che questa Corte aveva annullato con rinvio la precedente ordinanza emessa dal Tribunale del riesame per omessa motivazione sui profili della perdurante necessità e proporzionalità del vincolo reale, stante il decorso di un lasso di tempo assai significativo dall'applicazione della misura, persino eccedente il termine di prescrizione del reato al quale l'imputato aveva rinunciato, il Tribunale ha precisato che, preclusa ogni questione relativa al fumus del reato per essere ancora in corso il dibattimento, la valutazione era circoscritta al profilo del pericufum.
Richiamati i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 36959 del 2021, Ellade, Rv. 281848, quanto al primo profilo il Tribunale ha rimarcato: a) la natura dei beni sequestrati, consistente in somme di denaro, facilmente trasferibili o occultabili e, quindi, ad elevato rischio di dispersione; b) l'insufficienza della somma sequestrata a garantire per intero l'importo da confiscare come profitto del reato; c) la provenienza della provvista da plurime operazioni bancarie, essendo gli imputati titolari di numerosi conti correnti; d) la mancata indicazione di beni immobili da sottoporre eventualmente a vincolo ipotecario; e) la dedotta necessità delle somme sequestrate a soddisfare le esigenze di vita degli imputati, ritenuti elementi indicativi del concreto rischio di dispersione delle somme e della conseguente necessità di mantenere il sequestro.
Quanto al secondo profilo, il Tribunale ha ritenuto sussistente la proporzionalità della misura, nonostante il notevole lasso di tempo trascorso dall'applicazione della stessa.
In particolare, ha rilevato che: per nessuna delle imputazioni cui si riferiva il sequestro era intervenuta nelle more una sentenza di proscioglimento, sicché non vi era spazio per una riduzione del sequestro, atteso che il proscioglimento dall'evasione riferita agli anni di imposta 2007-2008 per mancato raggiungimento della soglia di punibilità, lasciava inalterate le altre imputazioni ancora pendenti; il P i aveva rinunciato alla prescrizione per i reati tributari contestatigli ai capi BBl), B82), BB4) e BBS) e, pur senza considerare l'importo evaso relativo al capo BBl)- non potendo applicarsi ratione temporis il sequestro funzionale alla confisca per equivalente esteso ai reati tributari dalla legge finanziaria del 2008, mentre il reato è stato commesso il 30 dicembre 2007-, l'importo dell'imposta evasa risultava ancora di molto superiore all'importo sequestrato, sicché doveva ritenersi sussistente la proporzionalità della misura cautelare reale. Quanto alla mancata previsione di un limite temporale in tema di sequestro e di una disciplina analoga a quella prevista per le misure cautelari personali, il Tribunale ha evidenziato che, sebbene indirettamente, un termine di durata massima per il sequestro funzionale alla confisca obbligatoria in caso di condanna è previsto e coincide con il termine di prescrizione del reato che impedisce l'ablazione definitiva del bene, ma nel caso di specie il P aveva rinunciato alla prescrizione.
2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore del P chiede l'annullamento per violazione degli artt. 321 e 322 cod. proc.
Con unico articolato motivo la difesa premette che l'istanza di revoca si fondava sulla deposizione del teste d'accusa M ,, operante della Guardia di Finanza, che aveva escluso di aver effettuato accertamenti sulla provenienza dei capitalì transitati sui conti del P e riferito dell'attribuzione al P delle movimentazioni bancarie attribuibili esclusivamente all'avv. G; mancava un'indagine sulla formazione dei capitalì sui conti dei coniugi e il notevole lasso di tempo dall'applicazione della misura ha determinato una compressione del diritto di proprietà dell'imputato per oltre nove anni, pur in presenza di un limite temporale previsto in materia di prevenzione o di sequestro, ma il Tribunale ha respinto immotivatamente la richiesta di sostituzione del sequestro preventivo del denaro con fideiussione o ipoteca su uno degli immobili dei coniugi e ha persino ritenuto congruo il periodo di tempo trascorso, anche dopo l'esame del teste di accusa, che ha ribaltato il quadro indiziario originario.
La difesa aveva segnalato l'irragionevolezza della mancata previsione di un termine di decadenza del sequestro preventivo, non ravvisata dal Tribunale per la ritenuta sussistenza dei presupposti della misura cautelare reale che ne giustificavano la permanenza; disposto il rinvio a giudizio per i reati di cui ai capi BB2, BB4 e BBS, aventi ad oggetto dichiarazioni omesse o infedeli relative agli anni 2007/2010 e 2011 con conseguente evasione di imposte per un ammontare di 1.765.132,03 euro, reati per i quali il P aveva rinunciato alla prescrizione, in dibattimento il teste di accusa ha dichiarato che non sono stati fatti accertamenti sulla provenienza dei capitali transitati sui conti del P , cosicché risulta incomprensibile l'esigenza del Tribunale di approfondimenti e di completezza e, soprattutto, la mancata risposta sulla permanenza di un provvedimento cautelare dopo oltre nove anni.
Si sostiene che la mancata previsione di un termine di scadenza rende incostituzionale l'art. 321 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede un limite di durata del sequestro preventivo prima di una pronuncia definitiva dell'autorità giudiziaria; si denuncia, pertanto: la violazione dell'art. 321 cod. proc. pen. per irragionevole durata del sequestro preventivo; la violazione dell'art. 507 cod. proc. pen., non essendo emerse circostanze nuove o in contrasto con quanto dichiarato dal M , che rendano necessari chiarimenti; l'incostituzionalità dell'art. 321 cod. proc. pen. in relazione dell'art. 42 Cast. nella parte in cui non prevede limiti temporali di durata della misura, punto sul quale il Tribunale ha omesso di motivare, non affrontando il tema della proporzionalità e della necessità della misura e del sacrificio eccessivo degli interessi dell'individuo conseguente alla protrazione del sequestro, non fissato in parametri predeterminati dal legislatore e rimesso alla valutazione giudiziale.
Si considera apparente e generica la motivazione del Tribunale, incorso in errore nel parificare la posizione del P a quella del coimputato G sommando l'importo dei tributi evasi dai due, imputandoli al ricorrente. Si ribadisce che il ricorrente si è dichiarato disposto a prestare idonea garanzia immobiliare o fideiussione; che mai si è sostenuto che l'ingente somma in sequestro sarebbe necessaria agli imputati per provvedere alle loro esigenze di vita; che il Tribunale ha escluso la violazione del principio di proporzionalità senza considerare l'abnorme periodo di tempo trascorso, addirittura affermando che il ricorrente, rinunciando alla prescrizione, ha rinunciato all'effetto favorevole indirettamente connesso a tale limite temporale.
Con memorie di replica alle conclusioni del P.G. i difensori del P hanno ribadito i motivi e chiesto l'accoglimento del ricorso, rimarcando che anche in sede fiscale nessuna richiesta era stata avanzata nei confronti del ricorrente.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
E' noto che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge e che in tale nozione rientra soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Zaharia, Rv. 269119) e nel caso in esame l'ordinanza impugnata ha reso una motivazione apparente nonché erronea sul tema demandato all'esame del giudice del rinvio.
Il tema centrale posto dal ricorso era ed è ancora quello della legittimità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto dei reati tributari contestati al P disposto ex art. 322 ter cod. pen. - 12 bis d.lgs. 74/2000, che si protrae da dieci anni in mancanza di una norma che preveda un limite di durata della misura cautelare, atteso che proprio sulla rilevanza del decorso del tempo dall'applicazione della misura cautelare reale la sentenza rescindente aveva segnalato, in linea con la giurisprudenza di questa Corte e con quella sovranazionale, come ineludibile il rispetto dei principi di proporzionalità e necessità della misura cautelare non solo nel momento applicativo, ma anche durante l'esecuzione della stessa, non potendo risultare indifferente l'incidenza del decorso del tempo sull'afflittività della misura, specie laddove la stessa si protragga, come nel caso di specie, per un notevole lasso di tempo, risultando preclusa ogni valutazione sul fumus.
2. Su quest'ultimo punto il Tribunale ha risposto correttamente alle censure difensive, ritenendo preclusa la valutazione sul fumus sia in applicazione dell'orientamento di questa Corte secondo il quale il decreto che dispone il rinvio a giudizio dell'imputato spiega efficacia preclusiva alla delibazione del fumus per essere già stato oggetto di un positivo scrutinio da parte di un organo giurisdizionale chiamato a vagliare la sostenibilità in giudizio dell'accusa e non può pertanto essere oggetto di successiva doglianza in sede cautelare (Sez. 3, n. 19991 del 23/06/2016, dep. 2017, Donnarumma, Rv. 269762; Sez. 3, n. 13509 del 10/02/2016 Zecconi e altro, Rv. 266762), sia alla luce della valutazione espressa da questa Corte, che nella sentenza di annullamento aveva ritenuto manifestamente infondata la doglianza con la quale si chiedeva la revoca della misura sulla base delle risultanze di un dibattimento ancora in corso (pag. 3 sentenza n. 1740/22).
Le censure sul punto, reiterate nel ricorso, sono, dunque, inammissibili per genericità, risolvendosi nella mera prospettazione della mancanza di fumus in base alle emergenze dibattimentali e in una critica al potere di integrazione probatoria del giudice del dibattimento, che ha considerato incompleta la deposizione dell'operante di p.g. e ritenuto necessaria l'audizione del teste in relazione al contenuto delle annotazioni prodotte dal P.m.
3. Circoscritto, pertanto, correttamente il perimetro del giudizio di rinvio al profilo del periculum e ai correlati profili di necessità e proporzionalità della misura cautelare reale, specificamente demandati all'analisi del Tribunale a fronte dell'anomala durata del sequestro preventivo e della potenziale violazione ad essa connessa del principio di proporzionalità, la valutazione del Tribunale sul punto non è corretta.
In primo luogo va precisato che i principi dì proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall'art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali e impongono al giudice di motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva (Sez. 2, n. 29687 del 28/05/2019, Frontino, Rv. 276979; Sez. 3, n. 21271 del 07/05/2014, Konovalov, Rv. 261509); in secondo luogo, va considerato che il principio di proporzionalità non è parametro da rispettare solo nella fase applicativa, ma deve persistere anche nella fase dinamica di esecuzione della misura al fine di evitare un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, affermato che ogni misura cautelare, per dirsi proporzionata all'obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco (Sez. U, n. 36072 del 19/04/2018, Botticelli, Rv. 273548).
Pertanto, il principio di proporzionalità non opera esclusivamente quale limite alla discrezionalità del giudice nella fase genetica della misura cautelare, ma gli impone durante tutta la fase applicativa di graduare e modulare il contenuto del vincolo imposto, anche in relazione a fatti sopravvenuti, affinché lo stesso non comporti limitazioni più incisive dei diritti fondamentali rispetto a quelle strettamente funzionali a tutelare le esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.
Ne deriva che in relazione al sequestro preventivo finalizzato alla confisca il canone di proporzionalità non esaurisce la sua rilevanza nel divieto di aggredire beni di valore superiore al profitto confiscabile (Sez. 3, n. 25448 del 23/07/2020, Carelli, Rv. 279867), ma impone al giudice di evitare che il vincolo, pur legittimamente adottato e funzionale a garantire l'effettività della confisca in attesa della definizione del giudizio di merito, ecceda quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito, non dovendo la misura risolversi in una eccessiva compressione di diritti fondamentali di rilievo costituzionale.
Alla luce di tali principi, che trovano riconoscimento anche nel diritto sovranazionale, il decorso del tempo e, in particolare, di un notevole lasso di tempo può determinare una esasperata compressione dei diritti fondamentali dell'imputato, come ritenuto dalla Corte EDU nel caso richiamato nella sentenza di annullamento, nel quale è stato considerato illegittimo il vincolo decennale derivante da un sequestro di beni di sospetta provenienza illecita di cui erano titolari soggetti terzi rispetto all'indagato, in quanto determinante un sacrificio eccessivo degli interessi dell'individuo rispetto a quelli della collettività (pag. 4-5 sentenza di annullamento).
Pur trattandosi di fattispecie diversa, la vicenda esaminata dalla Corte EDU non può essere trascurata, tant'è che il ricorso fonda proprio sull'anomala durata della misura cautelare le censure alla risposta resa dal Tribunale, che ha ritenuto legittima la protrazione del sequestro, nonostante la prescrizione dei reati, avendo l'imputato rinunciato alla prescrizione e conseguentemente anche al correlato effetto favorevole secondario.
La conclusione è errata e censurabile sia perché la rinuncia alla prescrizione, che è un diritto personalissimo dell'imputato ad ottenere il proscioglimento nel merito, finisce per risolversi in un pregiudizio per l'imputato, sia perché in assenza di una disciplina positiva che preveda un termine di durata del sequestro preventivo il vincolo è destinato a protrarsi per un tempo indeterminato in palese violazione dei principi prima indicati, e, in primo luogo, del principio di proporzionalità, privando ad oltranza l'imputato, che ha scelto di non avvalersi del decorso del tempo per ottenere un accertamento nel merito, del godimento dei beni sequestrati la cui ablazione definitiva è condizionata proprio al definitivo accertamento di responsabilità.
E' vero che, a differenza del sequestro probatorio per il quale è disciplinata la durata del vincolo (art. 262 cod. proc. pen.), per il sequestro preventivo non esiste una norma analoga, ma la mancata previsione di un termine è correlata alla natura anticipatoria del sequestro rispetto alla decisione di merito, che ne stabilirà la sorte, e, indirettamente, come ritenuto nell'ordinanza, alla prescrizione del reato, cui consegue la revoca della misura, essendo esaurita la sua funzione cautelare.
Tenuto conto della peculiarità della vicenda in esame e del notevole lasso di tempo intercorso dall'applicazione della misura mentre è ancora in corso il giudizio di primo grado, non può non essere avvertita l'esigenza di verifica della sussistenza di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra mezzo impiegato e scopo perseguito.
4. Ferma la natura obbligatoria della confisca per equivalente del profitto dei reati tributari contestati al P cui è funzionale il sequestro disposto, il Tribunale ha giustificato la necessità di protrazione del vincolo sulle somme di denaro perché ha ritenuto perdurante il periculum in mora sia in ragione della natura del sequestro che della natura dei beni sequestrati, fungibili e ad elevato rischio di dispersione, quindi, in grado di frustrare la finalità di confisca obbligatoria, specie considerando l'insufficienza delle somme sequestrate a garantire l'importo da confiscare di gran lunga superiore.
Nella stessa linea si iscrive il rigetto dell'istanza di sostituzione delle somme di denaro con altri beni mobili o immobili, in applicazione dell'orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 37660 del 17/05/2019) secondo il quale tale operazione si traduce in una sostanziale dispersione della garanzia, comportando la permuta di un bene di immediata escussione con un diritto di proprietà non immediatamente convertibile in un valore corrispondente al profitto del reato; è stata, inoltre, sottolineata la genericità di tale istanza per mancata indicazione e documentazione dei dati identificativi degli immobili su cui eventualmente trasferire il vincolo.
Tali argomenti non fanno corretta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, richiamata dalla sentenza di annullamento e dall'ordinanza impugnata.
In detta sentenza si argomenta che se è vero che il sequestro preventivo prodromico alla confisca è connotato da una tipica finalità "conservativa", in quanto volto ad assicurare la presenza dei beni di cui all'esito del giudizio, potrà o dovrà essere disposta la confisca e che alla natura anticipatoria del sequestro rispetto alla decisione finale deve essere parametrato l'onere di motivazione che giustifichi l'apprensione preventiva dei beni dell'indagato, è proprio la motivazione sul periculum in mora ad assicurare coerenza con i criteri di proporzionalità, adeguatezza e gradualità della misura cautelare reale, evitando un'indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica, e la trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, inutilmente vessatorio.
Se quindi, per il sequestro preventivo funzionale alla confisca del profitto del reato è necessario che il provvedimento impositivo si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato proprio in ragione della finalità del sequestro diretto a preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, se si attendesse l'esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo, non può trascurarsi che sempre in detta sentenza è stato individuato un chiaro parallelismo con il sequestro conservativo stante la analoga finalità di garantire l'effettività delle statuizioni relative "al pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato", anch'esse condizionate alla definitività della pronuncia cui accedono. Nell'esaminare i presupposti giustificativi dell'adozione del sequestro conservativo le Sezioni Unite hanno ribadito che è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l'adempimento delle obbligazioni di cui all'art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen.; in particolare, hanno spiegato che «le garanzie mancano quando sussista la certezza, allo stato, dell'attuale inettitudine del patrimonio del debitore a far fronte interamente all'obbligazione nel suo ammontare presumibilmente accertato; si disperdono, quando l'atteggiamento assunto dal debitore è tale da far desumere l'eventualità di un depauperamento di un patrimonio attualmente sufficiente ad assicurare la garanzia a causa di un comportamento del debitore idoneo a non adempiere l'obbligazione. I due eventi, come chiaramente espresso dall'art. 316, con la formula disgiuntiva rilevano (o possono rilevare) autonomamente>>.
Alla luce di tali precisazioni deve osservarsi che, sebbene sia stata correttamente evidenziata la differenza per difetto del quantum sequestrato rispetto all'importo complessivo delle imposte evase, assoggettabile a confisca all'esito del giudizio che accerti la responsabilità dell'imputato, per giustificare la necessità di protrazione della misura il Tribunale ha ancorato il pericolo di dispersione, occultamento o trasferimento unicamente alla natura dei beni sequestrati, costituiti da somme di denaro, senza che vi sia stata una valutazione della composizione del patrimonio dell'imputato o l'accertamento della presenza di altri beni mobili o immobili, il cui valore può eventualmente garantire in uguale misura il debito verso lo Stato proprio alla luce della proposta formulata dalla difesa, che alla stessa può conferire concretezza, producendo idonea documentazione della situazione reddituale, economica e fiscale dell'imputato.
Peraltro, il pericolo di dispersione non si fonda su fatti concreti o condotte fraudolente, sull'insufficienza del patrimonio o sullo stato di indigenza dell'imputato, avendo il ricorrente contestato l'affermazione contenuta nell'ordinanza (pag. 6), sostenendo di non aver mai richiesto il dissequestro delle somme per far fronte ai bisogni ordinari di vita.
Ne consegue la necessità di accertamento e approfondimento sui punti indicati, dovendo assicurarsi il rispetto del canone di proporzionalità e contemperare, a fronte dell'innegabile onerosità di un sequestro che si protrae da anni, i contrapposti interessi in gioco.
Per le ragioni esposte l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Roma che provvederà a colmare le lacune della motivazione sui profili critici rilevati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell'art. 324, co. 5, c.p.p.