Una volta instaurato il giudizio di revisione, il giudice deve procedere alla valutazione, in diritto, dei “giustificati motivi” che ne consentono la revisione sulla base del “diritto vivente”, tenendo conto della interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili corrente al momento della decisione.
In un giudizio avente ad oggetto la domanda di modifica delle condizioni di divorzio, Tizio ricorre in Cassazione lamentando, tra i motivi di doglianza, la violazione e falsa applicazione dell'
Svolgimento del processo
1. – La Corte d'appello di Bologna ha respinto il reclamo proposto da M.Z. contro il decreto con cui il Tribunale di Bologna, da egli adito nel 2019 con ricorso ex art. 9, legge n. 898 del 1970, aveva rigettato la domanda di modifica delle condizioni del divorzio intercorso con G.G. (originariamente definite con sentenza di primo grado del 2015, modificate dalla sentenza d’appello del 2016 e rimaste immutate dopo il giudizio di cassazione del 2018), fondata sul fatto che la G. a dicembre 2018 aveva cessato di abitare, insieme ai tre figli, nella casa coniugale a lei assegnata.
1.1. – In particolare, il tribunale: aveva revocato l’assegnazione della casa coniugale alla G., che se ne era allontanata, con decorrenza da gennaio 2019; aveva dato atto che lo Z. corrispondeva direttamente a tutti i figli, maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, la somma mensile di euro 1.000,00 ciascuno - con conseguente revoca dell’obbligo di corrispondere tali somme alla madre - e che lo stesso Z. aveva rinunciato alla richiesta di un contributo da parte della G. al mantenimento dei figli; aveva rigettato la domanda dello Z. di revoca o riduzione dell’assegno divorzile di euro 7.000,00 mensili.
2. – Per quanto rileva ancora in questa sede, la Corte territoriale, premesso che la revisione dell’assegno divorzile è possibile solo a fronte di un sopravvenuto mutamento delle «condizioni economico-patrimoniali dell’uno e/o dell’altro coniuge», ha osservato: i) che la situazione reddituale della G. (giornalista) negli anni successivi al 2015 è rimasta pressoché invariata, tenuto conto che la stessa, pur liberandosi delle esose spese di gestione dell’abitazione familiare, deve farsi carico dei costi di locazione (euro 1.400,00 mensili, comprese le spese condominiali) e delle utenze della nuova sistemazione abitativa (un appartamento ammobiliato di mq. 80 nel centro di Bologna), essendo rimasto privo di riscontri l’assunto per cui la stessa avrebbe potuto trovare una soluzione meno costosa; ii) che viceversa la situazione reddituale dello Z. (noto oculista di fama internazionale) si è notevolmente incrementata, anche grazie alla quota di utili non tassabili tratti dall’attività del poliambulatorio privato Centro (omissis) s.r.l. di Bologna, di cui è socio unico: iii) Che gli ulteriori dati relativi alle proprietà immobiliari dei coniugi sono del tutto irrilevanti, essendo stati già ampiamente valutati nell’ambito del giudizio di divorzio; iv) che irrilevanti sono anche le spese che ciascuno dei due genitori ha documentato di sostenere per i figli maggiorenni (pendendo cause reciproche per il recupero della rispettiva quota-parte), fermo restando che la cessazione della convivenza non comporta un esonero della madre dall’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, che potranno agire direttamente nei suoi confronti, senza che ciò interferisca con l’ammontare dell’assegno divorzile; v) che il richiamo ai nuovi principi in tema di natura e funzione dell’assegno divorzile (Cass. Sez. U, 18287/2018) è «inappropriato», poiché, non essendo stato rilevato, per quanto detto sopra, «un peggioramento della situazione economica dell’obbligato all’erogazione dell’assegno divorzile», né «un miglioramento delle condizioni economiche della beneficiaria di tale assegno», tale mutamento di orientamento giurisprudenziale non può integrare l’ipotesi della sopravvenienza di “giustificati motivi” (Cass. 1119/2020).
3. – Avverso detta decisione lo Z. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui la G. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
3.1. – Con il primo motivo si denuncia «Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 898/1970» (art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte d'appello «travisato i fatti» e «omesso di considerare fatto rilevante, idoneo ai sensi dell'art. 9 legge 898/1970 a modificare il diritto e l’entità dell’assegno divorzile», una serie di circostanze sopravvenute, quali il venir meno a carico della G. delle gravose spese di gestione della casa familiare (domestica, giardiniere ecc.) e la stabilizzazione del suo reddito sui cinquanta mila euro annui, peraltro senza valutare «l’opportunità dell’elevato costo e l’unilateralità della scelta» relativa alla nuova sistemazione abitativa della stessa, ed ignorando infine «l'assenza di alcun obbligo scritto in capo alla G. in ordine al mantenimento dei figli».
3.2. – Il secondo mezzo denuncia «Omesso esame della variazione di abitazione della signora G. e del venir meno dei costi di gestione, utenze e manutenzione della ex casa familiare, e dei minori costi a suo carico, rispetto alla situazione precedente come verificata nel giudizio di divorzio» (art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere «il giudice di appello indubbiamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova» con riguardo alle predette circostanze.
3.3. – Il terzo motivo lamenta «Errato esame delle variazioni reddituali delle parti rispetto ai redditi presi a base nel giudizio di divorzio» (art. 360 n. 5 c.p.c.).
3.4. – Con il quarto mezzo si lamenta «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. 1° comma n. 5: scelte individuali e oneri di spesa, ruolo avuto dai coniugi nella conduzione della vita familiare e nullità della decisione impugnata ex art. 132 c.p.c. comma 1, n. 4».
3.5. – Il quinto motivo deduce «Violazione e falsa applicazione dell'art. 5 della legge 898/1970 in ragione del mutamento interpretativo dei criteri che presiedono al riconoscimento dell'assegno divorzile», poiché, pur avendo la giurisprudenza sempre ritenuto “giustificati motivi” ai sensi dell’art. 9, l. divorzio solo i “fatti” nuovi sopravvenuti, occorrerebbe «affermare con chiarezza che, una volta accertato il verificarsi di mutamenti nella situazione di fatto, la valutazione sul permanere o meno di un assegno divorzile a favore dell'ex coniuge, e di quale entità, non possa prescindere da una valutazione del diritto alla luce dei criteri espressi in base all'ultimo orientamento giurisprudenziale a sezioni unite» (Cass. Sez. U, 18287/2018), che «ha individuato la motivazione dell'assegno divorzile non più nel mantenimento del tenore di vita, e tantomeno nel riequilibrio economico delle parti, ma nella funzione assistenziale compensativa e perequativa che gli compete».
4. – Il quinto motivo è fondato e va accolto, con assorbimento dei restanti quattro.
5. – La correlata ratio decidendi del decreto impugnato si fonda sull’impossibilità di individuare nel sopravvenuto mutamento della giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile il presupposto dei “giustificati motivi sopravvenuti”, necessario, ai sensi dell’art. 9, comma 1, della legge n. 898 del 1970, per poter ottenere la revisione dell’assegno divorzile.
5.1. – Nel fare questa affermazione i giudici d’appello invocano il precedente di Cass. 1119/2020, così massimato: «In tema di revisione dell'assegno divorzile, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perché possa procedersi al giudizio di revisione dell'assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei vigenti principi giurisprudenziali. Ne consegue che consentire l'accesso al rimedio della revisione attribuendo alla formula dei "giustificati motivi" un significato che includa la sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere un interesse ad agire per conseguire la modifica dell'assegno, ricomprendendo tra essi anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è opzione esegetica non percorribile poiché non considera che la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della "regula iuris", non già creativa della stessa. (Fattispecie relativa a una domanda di revisione dell'assegno divorzile determinato prima di Cass., Sez. 1, n. 11504/2017 e Sez. U, n. 18287/2018)».
5.2. – Ad avviso del Collegio, quel precedente non è idoneo a sorreggere la decisione impugnata.
6. – In primo luogo, il principio affermato nella citata sentenza n. 1119 del 2020 riguarda una fattispecie in cui i giudici di merito avevano espressamente affermato che le circostanze di fatto allegate «non erano sopravvenute» (così a pag. 13 della sentenza citata), e come tali non potevano essere prese in considerazione ai fini dell’invocata revisione, alla luce della «consolidata giurisprudenza di questa Corte» per cui, «in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile» (Cass. 787/2017 e 11177/2019, richiamate a pag. 8 e s.); è dunque questo il presupposto fondamentale su cui si basa la negazione che «il mutamento di natura e funzione dell'assegno divorzile, affermato da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, costituisca ex se giustificato motivo valutabile ai sensi dell'art. 9 legge divorzio».
6.1. – Al contrario, nella fattispecie in esame è pacifico che la revisione sia stata invocata sulla base di circostanze di fatto sopravvenute (tra cui, in particolare, l’allontanamento della ex coniuge dalla casa familiare a lei assegnata, con tutti gli effetti conseguentemente determinatisi in punto di valutazione comparativa dei costi correlati alla vecchia e nuova sistemazione abitativa), tanto che i giudici di appello, dopo aver ampiamente motivato sui «miglioramenti della situazione reddituale di G. Gaia negli anni successivi alla sentenza di divorzio» (a loro avviso erroneamente accertati dal tribunale) e sull’incremento del reddito dello Z. «successivamente alla sentenza di divorzio» (da essi invece confermato), hanno riservato alle ulteriori circostanze una distinta (e ben più sintetica) motivazione, proprio in quanto «già ampiamente valutate nell’ambito del procedimento di divorzio».
6.2. – E’ dunque evidente che la Corte territoriale ha registrato (in fatto) la presenza di circostanze sopravvenute, ed ha proceduto alla loro valutazione (in diritto), escludendo la sussistenza di giustificati motivi per procedere alla revisione dell’assegno divorzile in ragione della ritenuta «assenza di significative modificazioni della situazione economica delle parti in causa».
6.3. – La questione, diversa da quella affrontata in Cass. 1119/2020, è quindi se, una volta appurata la sopravvenienza di circostanze «potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, a modificare i termini della situazione di fatto e quindi ad alterare l'equilibrio economico esistente tra gli ex coniugi, come accertato al momento della pronuncia di divorzio, e pertanto a giustificare l'introduzione del giudizio di revisione dell'assegno» (così Cass. 11787/2021, che ad es. ha ritenuto tale l’assegnazione in proprietà esclusiva di un immobile, conseguita dall'ex coniuge beneficiario dell'assegno divorzile in sede di scioglimento della comunione legale dei beni, o la sua rinuncia gratuita a diritti ereditari), quella valutazione della domanda di revisione debba essere condotta alla stregua dei criteri giurisprudenziali vigenti all’epoca del divorzio, ovvero alla stregua del “diritto vivente” al momento della decisione sulla domanda di revisione.
7. – Il Collegio ritiene che sia corretta la seconda soluzione, e che ad essa possa pervenirsi anche muovendo dal precedente evocato dal giudice a quo (Cass. 1119/2020).
7.1. – E’ nota la consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui «la revisione dell'assegno divorzile di cui all'art. 9 della L. n. 898 del 1970 postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti», dovendo in quel caso il giudice «verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e adeguare l'importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata» (Cass. 11177/2019, 787/2017; conf. Cass. 14143/2014, 8754/2011, 18/2011, 10133/2007, 9056/1999, 8654/1998).
7.2. – Orbene, la stessa Cass. 1119/2020, dopo aver rammentato che, «in tema di statuizioni c.d. determinative, il giudicato si forma sempre rebus sic stantibus», aggiunge assai significativamente che, una volta accertato dal giudice, in fatto, il sopravvenuto mutamento delle condizioni patrimoniali delle parti, è possibile procedere al giudizio di revisione dell'assegno divorzile, da rendersi proprio «al lume dei rinnovati principi giurisprudenziali», ossia quelli di cui al revirement delle Sezioni Unite poco prima richiamato (sentenza n. 18287 del 2018), in base ai quali:
«a) all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate;
b) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi;
c) il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto».
7.3. – Sempre con riguardo al nuovo diritto vivente in materia di assegno divorzile, Cass. 1119/2020 precisa che gli orientamenti del giudice della nomofilachia non sono assimilabili allo ius superveniens e non soggiacciono al principio di irretroattività, ma hanno carattere retroattivo, «in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali», cessando di esserlo solo quando «si verta in materia di mutamento della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo» (cd. Prospective overruling: v. Cass. Sez. U, 4135/2019) «e non anche nella specie, su disposizioni di natura sostanziale».
8. – Orbene, nel momento in cui l'art. 9, comma 1, della l. n. 898 del 1970 dispone che «Qualora sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, in camera di consiglio ... può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni ... relative alla misura e alle modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli articoli 5 e 6», è evidente che i fatti sottesi alla nozione di “giustificati motivi” rilevano non già in senso meramente naturalistico, bensì secondo l’evidenza giuridica loro attribuita dalle stesse norme implicate, nella lettura datane, all’attualità della decisione, dal “diritto vivente”.
8.1. – Ciò significa che uno stesso fatto rileva diversamente in base al “filtro” giuridico dettato dall’opera della nomofilachia, e che, una volta dato legittimamente ingresso alla valutazione dei fatti sopravvenuti, secondo il meccanismo proprio del giudicato “rebus sic stantibus”, quella valutazione non può non informarsi alla diversa lettura nomofilattica che sia nel frattempo maturata.
8.2. – Va pertanto affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di revisione dell'assegno divorzile, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 898 del 1970, una volta accertata, in fatto, la sopravvenienza di circostanze potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, ad alterare l'assetto economico stabilito tra gli ex coniugi al momento della pronuncia sulle condizioni del divorzio, quale presupposto necessario per l’instaurazione del giudizio di revisione dell'assegno, il giudice deve procedere alla valutazione, in diritto, dei "giustificati motivi" che ne consentono la revisione sulla base del “diritto vivente”, tenendo conto della interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili corrente al momento della decisione”.
9. – Il decreto impugnato va quindi cassato in accoglimento del quinto motivo, con assorbimento dei restanti quattro, e la causa va rimessa alla Corte d’appello di Bologna, per nuova valutazione alla luce dell’enunciato principio di diritto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.