Nel caso in esame, è stata esclusa l'applicazione della scriminante in quanto lo scritto anonimo costituiva quasi interamente l'oggetto dell'articolo pubblicato in una testata online.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza emessa il .24 maggio 2021, riformava parzialmente la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale dì Arezzo, che aveva mandato assolto P. C. perché il fatto non costituisce reato, dichiarando estinto per prescrizione il delitto di diffamazione a mezzo stampa e, ai soli effetti civili, condannando P. C. al risarcimento del danno nella misura dì euro 10.000 in favore di ciascuna delle parti civili E. s.p.a., D. S. e F. P..
C. era chiamato a rispondere del delitto previsto dall'art. 595, commi 1, 2 e 3, cod. pen. «per avere offeso la reputazione di D. S. e F. P. comunicando con più persone, attribuendo alle persone offese fatti determinati ed utilizzando per la divulgazione un mezzo pubblicitario. In particolare: redigeva e pubblicava nella testata on-fine "I." - pubblicata nella rete Internet - uno scritto dal titolo "E.: come lasciare sul lastrico 2500 lavoratori", che aveva ad oggetto le vicende della procedura di amministrazione straordinaria della E. spa, nella quale la S. e la P. avevano l'incarico di commissari straordinari: in tale scritto si affermava che i commissari predetti avevano lo scopo di vendere per 15 milioni di euro il patrimonio sociale che ne valeva, secondo una stima peritale, circa 205; ragione per cui i commissari avrebbero incaricato di una nuova stima il dottor A. M., e cioè un perito "molto amico di uno dei commissari", il quale "sembra centrare l'obiettivo dei commissari, la perizia redatta da quest'ultimo fa scendere il valore di E. fra i 22,5 e 32,5 milioni di euro... " consentendo infine la vendita sottocosto a un compratore, con ciò chiaramente insinuando la mancanza di specchiatezza ed imparzialità in capo ai commissari straordinari della procedura. Tale insinuazione era rafforzata dalla frase, in una parte precedente del testo, secondo cui, sulla base di uno scritto anonimo noto al redattore (che comprendeva carteggi riservati tra i protagonisti della vicenda, carpiti illecitamente secondo lo stesso indagato) "si potrebbe desumere che dietro l'operazione di vendita della E. non ci sia propria trasparenza". (omissis)».
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di P. C. consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il primo motivo deduce violazione degli artt. 25, comma 2, Cost., 125, 533 e 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione conseguente.
La Corte di appello avrebbe errato nel non riconoscere le scrirnìnanti del diritto di cronaca e di critica esercitate in ordine ad uno scritto anonimo, già diffuso in precedenza da altre agenzie informative, anonimo che scaturiva da corrispondenza privata della commissaria S., illecitamente acquisita, e che però diveniva solo spunto per il C. per l'esercizio del diritto di critica riguardo alle vicende ivi narrate.
C. faceva precedere alla riproduzione dello scritto anonimo un ampio preambolo dal quale sarebbe emerso, come ritenuto dal Tribunale di Arezzo e non dalla Corte di appello, la non adesione al contenuto dell'anonimo, la presa di distanza dallo stesso, invitando il lettore a mantenere un atteggiamento di severa critica.
In merito alla verità dello scritto, la Corte di appello avrebbe illogicamente richiesto a C. una spiegazione tecnica non dovuta per una testata on-line non specializzata, in ordine alle diverse perizie intervenute nel tempo; quanto al numero di dipendenti che rischiavano di perdere il lavoro - non 2500, bensì 400 - va contestualizzato il momento in cui interviene la pubblicaziorie e riconosciuto il diritto di riferire per il pericolo occupazionale complessivo; quanto ai rapporti fra la S. e il secondo consulente M., la S. stessa avrebbe riferito in dibattimento una pregressa conoscenza risalente al periodo degli studi, non valutata dalla Corte di appello.
In merito all'interesse pubblico errerebbe per illogicità manifesta la Corte di merito escludendolo, in quanto tale interesse scaturiva dalla vioenda rilevante di E., seguita in sede nazionale e locale, dovendo essere decise le sorti del comparto comunicazione di lì a poco.
Quanto alla continenza, la Corte di appello avrebbe illogicamente ritenuta apparente la presa di distanza di C. dallo scritto anonimo pubblicato, mentre invece l'imputato ebbe ad avvertire il lettore, nella premessa, del carattere ipotetico e dei giudizi di merito assolutamente soggettivi espreissi dall'anonimo autore, dovendosi anche ritenere che il titolo 'Lasciare sul lastrico 2500 lavoratori' esprima una stigmatizzazione, con tono sferzante e non nocivo, della situazione di difficoltà nella quale versavano i dipendenti di E. s.p.a., come osservato dal Tribunale di Arezzo.
4. Il secondo motivo deduce violazione degli artt. 25, comma 2, Cost., 595 cod. pen., 125, 533 e 546 cod. proc. pen. e vizio di motivazione conseguente.
Avrebbe errato la Corte di appello, nel ritenere, senza motivazione correlata, che la pubblicazione da parte di C. dello scritto anonimo, già diffuso tramite cinque siti internet e per buona parte sul C., potesse integrare un nuovo reato di diffamazione con nuova offesa ai commissari di E., tanto più che C. con la premessa introduttiva di fatto ne depotenziava il contenuto. Lo stesso sito I. risulterebbe poi avere una diffusione limitata, tanto più che la pubblicazione oggetto della imputazione avviene immediatamente dopo quelle pregresse. Infine, della precedente pubblicazione C. dava atto nel suo preambolo, con ciò dimostrando di non voler arrecare offesa alla reputazione altrui.
5. Il difensore della parte civile D. S. ha tempestivz1mente chiesto la trattazione orale ai sensi dell'art. 23, comma 8, di. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021.
6. Le parti concludevano come indicato in epigrafe.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso che in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase o l'articolo che si assumono lesivi della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145 - 01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284 - 01; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706 - 01).
3. Il primo motivo di ricorso.
3.1 Quanto al primo motivo, la Corte di appello ha ritenuto doversi applicare al caso in esame il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude la sussistenza di un diritto di cronaca qualora sia diffuso, anche 'on line', uno scritto anonimo.
Tale orientamento, espresso dalla Corte di legittimità, afferma come non operi la scriminante del diritto di cronaca quando la notizia sia proveniente da uno scritto anonimo, in quanto intrinsecamente inidoneo ad essere suscettibile di controlli circa la veridicità della notizia e, quindi, non meritevole dell'interesse pubblico (Sez. 5, n. 38746 del 03/04/2014, Bandinu, Rv. 262786; Sez. 5, n. 10964 del 11/01/2013, Rv. 255434 ha ritenuto che l'imputato che invochi il diritto di cronaca ha l'onere di provare la verità della notizia riportata, che non può soddisfare facendo riferimento ad una fonte anonima, confidenziale o non controllabile; Sez. 5, n. 46528 del 02/12/2008, Parlato, Rv. 242603, in una fattispecie di pubblicazione su quotidiano sportivo di un articolo in cui si riportava, senza commento, una lettera inviata da un anonimo contenente espressioni offensive e minacciose nei confronti dei destinatari; Sez. 5, n. 12024 del 31/03/1999, Liberatore, Rv. 215037 - 01, fattispecie relativa ad un articolo che riportava notizie attinte da una fonte anonima relativamente a fatti verificatisi in un piccolo centro che, in considerazione della ristrettezza dell'ambiente sociale, ben potevano essere agevolmente verificati; Sez. 5, n. 5545 del 05/03/1992, Mastroianni, Rv. 190091 - 01, che riteneva non è invocabile il diritto di cronaca quando la notizia è data attraverso uno scritto anonimo che, essendo come tale, insuscettìbile di controlli circa l'attendibilità della fonte e la veridicità della notizia stessa, non può ritenersi controllato per il solo fatto che sia stata eventualmente aperta una inchiesta giudiziaria sui fatti pubblicati; anche in sede civile la carenza di interesse pubblico per la non verificabilità dell'anonimo è stata affermato da Sez. civ. 3, n. 6784 del 07/04/2016, Rv. 639336 - 01; Sez. civ. 3, n. 11004 del 19/05/2011, Rv. 617848 - 01).
A fronte di tale consolidato orientamento, fatto proprio correttamente dalla Corte di appello, il ricorrente critica la sentenza, invocando invece i principi affermati da Sez. 5, ud. 12/11/2020 dep. 24/06/2021, Izzo, n. 24818, non massimata, che avrebbe ritenuto che, pur a fronte dello scritto anonimo, posto a base dell'articolo oggetto dell'imputazione, sia comunque possibile invocarsi il diritto dì cronaca e dì critica e come l'inapplicabilità dell'esimente presupponga il caso in cui lo scritto anonimo costituisca in sé stesso e da solo l'oggetto della pubblicazione, a differenza di quanto accade nel caso in esame, ove C. avrebbe utilizzato l'anonimo solo con la finalità di prendere spunto per l'articolo pubblicato sul web.
Tali argomentazioni sono però infondate, a parere di questa Corte, nel senso che il ricorrente non si confronta con il caso concreto oggetto del giudizio oggetto della citata sentenza Sez. 5, Izzo, che non rinnega l'orientamento consolidato, ma invita a escludere automatismi sul tema.
Dalla lettura della sentenza della Sez. 5, Izzo emergono due circostanze: in primo luogo il contenuto dell'anonimo risultava essere oggetto dell'articolo in misura non esclusiva, anzi la Corte indicava esserlo solo in minima parte, facendo propria la stima che il contenuto tratto dall'anonimo corrispondesse a circa il 18% dell'articolo: quest'ultimo risultava concentrato, invece, sulle iniziative che erano scaturite dall'anonimo, vale a dire sulle conseguenze giudiziarie e amministrative nell'ambito del Ministero dell'Interno e della Procura della Repubblica di Roma, in relazione all'assegnazione irregolare di appalti; in secondo luogo, l'esimente veniva ritenuta sussistente nella forma putativa, in quanto risultavano adeguate le verifiche e i controlli effettuati dal giornalista imputato.
Nel caso ora in esame non vi è dubbio alcuno che l'articolo di C.
riproduca per la sua quasi totalità l'anonimo, limitandosi ad apporre un preambolo che non ha un contenuto di cronaca in sé, ma si limita a esprimere una presa di distanza dallo scritto anonimo, non di meno però insinuando che se fosse vero il contenuto dell'anonimo, fondato per altro su corrispondenza trafugata, emergerebbero dubbi sulla 'trasparenza' dell'operato dei commissari per l'amministrazione controllata di E..
A ben vedere, quindi, lo scritto anonimo non viene inserito nell'ambito di una più ampia ricostruzione, che per un verso riferisca, ad esempio, delle conseguenze prodotte dalla precedente pubblicazione da parte di altre agenzie informative, e per altro verso attinga anche ad altre fonti, anche per verificare il contenuto di quella ignota: il contenuto dell'anonimo coincide in modo quasi esclusivo con la pubblicazione che C. opera su I., in ciò manifestandosi in tutta la sua evidenza la diversità rispetto al caso del precedente qiurisprudenziale invocato dal ricorrente.
Ciò rende oltremodo corretta, e in linea con gli orientamenti consolidati, la sentenza della Corte di appello, impugnata sul punto.
Per altro la Corte di appello rileva come C. sia ben conscio di dover riportare uno scritto fondato su documenti trafugati dalla corrispondenza elettronica del commissario S., ma anche indichi il rischio che tali informazioni siano state artatarnente manipolate. Nonostante ciò, però, non opera alcuna verifica sull'attendibilità delle notizie, limitandosi a 'prenderne le distanze'.
In vero a fronte di tali principi, ribaditi anche da Sez. 5, Izzo, la Corte di appello esclude a buona ragione l'applicazione della esimente del diritto di cronaca, proprio perché difetta qualsiasi accertamento sulla attendibilità della fonte, come pure nessuna informazione viene assunta da ulteriori fonti, quanto al merito del contenuto anonimo.
Per quanto riguarda in particolare il terna dell'esimente putativa del diritto di cronaca, essa può essere invocata in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, non solo se abbia proceduto a verificare i fatti narrati, ma quando abbia offerto prova della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità dei fatti (Sez. 5, n.27106 del 9/4/2010 Rv 248032; in senso conforme: Sez.5, n.51619/2017, Rv 271628 ha ritenuto configurabile la scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca quando, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare l'oggetto della sua narrativa al fine di vincere ogni dubbio.
Così anche Sez. 5, n. 14013/2020 Rv 278952, che ha puntualizzato la necessità di offrire la prova della cura posta negli accertamenti svolti dal cronista per stabilire la veridicità dei fatti anche in ipotesi di notizia non veritiera).
A tal riguardo non può valere a ritenere assolto l'obbligo dì verifica dei fatti narrati la circostanza che la 'notizia' sia stata utilizzata da altre fonti di informazione, come pure evidenziato da C., che riferiva di precedenti pubblicazioni aventi ad oggetto il contenuto dell'anonimo (Sez. 5, n. 7008 del 18/11/2019, dep. 21/02/2020, Frignani Rv. 278793 - 01), atteso che, in tal caso, l'agente si limita a confidare sulla correttezza e professionalità dei colleghi, chiudendosi in un circuito autoreferenziale (Sez. 5, n. 45813 del 14/06/2018, S., Rv. 274123 - 01).
3.2 Fin da Sez. U, n. 4950 del 26/03/1983, Narducci, Rv. 159240 - 01 si è affermato che, ai fini del reato di diffamazione a mezzo stampa, non può in difetto della corrispondenza tra fatti narrati e fatti realmente accaduti, invocarsi il legittimo esercizio del diritto di cronaca ex art. 51 cod. pen., risultando, in tal caso, del tutto insussistente l'anzidetto diritto che non si esplica in una qualunque narrazione dei fatti, bensì nella narrazione oggettiva e formalmente corretta di quelli veramente accaduti e socialmente rilevanti: sulla base dell'enunciato principio, le Sezioni Unite chiarivano i limiti del diritto dì cronaca, presidiato dalla garanzia costituzionale, puntualizzandosi l'esigenza della verità oggettiva e non già quella della verosimiglianza o veridicità, la necessità della correttezza delle espressioni, vale a dire la continenza, e, infine, la "pertinenza dei fatti narrati", nel senso che deve esservi correlazione tra gli accadimenti riferiti e l'interesse sociale alla conoscenza degli stessi.
Tale orientamento, cristallizzatosi fino ad oggi, rileva come il limite della continenza debba ritenersi superato quando le espressioni adottate risultino pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca del fatto e della sua critica: ne consegue che la verifica circa l'adeguatezza del linguaggio alle esigenze del diritto del giornalista alla cronaca e alla critica impone, innanzitutto, l'accertamento della verità del fatto riportato e la proporzionalità dei termini adoperati per rapporto all'esigenza dì evidenziare la gravità dell'accaduto quando questo presentì oggettivi profili di interesse pubblico (tra le altre, Sez. 5, n. 19381 del 20/04/2005, Marcenaro, Rv. 231562 - 01).
Nel caso in esame, C. rileva come vi sia stato il rispetto dei canoni predetti e come la Corte di appello li abbia disali:esi.
3.3 Pur dovendo ritenersi concludente il tema della fonte anonima, su esaminata, che esclude l'interesse pubblico perché la fonte non è in sé verificabile, questa Corte ad ogni buon conto procede a esaminare le singole censure.
Quanto alla verità, la Corte di appello evidenzia come non rispondeva al vero che 2500 dipendenti rischiassero il posto di lavoro (fol. 8 della sentenza impugnata), evidenziando che solo 400 lo avrebbero perso.
La censura del ricorrente, che fonda sulla circostanza che i lavoratori sarebbero stati assunti successivamente, non denuncia travisamento della prova né allega il dato dal quale comprendere quali siano stati i tempi cli assunzione dei dipendenti, il che rende il motivo sul punto generico e aspecifico. Infatti, il ricorso per cassazione, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, al fine di verificare la corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione (tra le altre, Sez. 3, n. 19957 del 21/09/2016 - dep. 27/04/2017, Saccomanno, Rv. 269801- 01).
Anche la censura su altro tema rìlevante, quale è quello dei rapporti fra S. e il consulente M. - che viene insinuato essere stato incaricato proprio per i suoi rapporti amicali con la S., con la finalità di giungere al risultato del deprezzamento che i commissari avrebbero voluto - si fonda sulla dichiarazione della stessa S., che nel corso dell'esame dibattimentale avrebbe riferito di «una pregressa conoscenza col Prof. M., risalente al periodo degli studi compiuti>> (il passo dell'anonimo come riportato nell'articolo sul punto in esame è il seguente: « .. ma pare che i commissari di E. abbiano ben altre idee da quelle che dovrebbero avere - mantenere il livello occupazionale e riassorbire i lavoratori finiti in Agile per la manovra scellerata dei Landi - ,ed anche questa valutazione viene ritenuta troppo alta, così incaricano un altro perito per una ulteriore perizia ... il professore non sembra avere specifiche competenze nel settore ma è molto amico di uno dei commissari... con cui collabora effettuando consulenze ininterrotte dal 2004 .. M. sembra centrare l'obiettivo dei commissari, la perizia redatta fa scendere il valore di E. tra i 22,5 e i 32,5 milioni di euro dagli iniziali 202 milioni..»).
E bene, la Corte di appello afferma che invece i rapporti di amicizia intrattenuti fra i commissari e M. sono stati smentiti dalla stessa S., in sede dibattimentale, e non emergono altrimenti. Lamenta il ricorrente che la pregressa e risalente amicizia sarebbe invece comprovata e non sarebbe stata valutata dalla Corte di appello per quanto emergesse dalla deposizione della S.: anche in questo caso, però, il ricorrente non denuncia travisamento per omissione né allega la testimonianza della S., al fine di consentire a questa Corte la verifica del vizio di motivazione, in difetto del principio di autosufficienza.
Né, tanto meno, può ritenersi, in punto di valutazione logica, che da una amicizia risalente ai tempi scolastici, per altro non meglio dettagliata quanto a costanza nel tempo, possa trarsi la insinuazione della parzialità di M. per la finalità indicata nell'articolo. Anche su questa circostanza va confermata la sentenza impugnata in quanto non vi è prova della verità dell'affermazione.
La Corte di appello rileva, poi, come l'incarico al primo esperto C. e quello al secondo, M., avessero come scopo non quello di far ridurre il valore della valutazione, bensì quello di integrare competenze tecniche diverse, che anche M. aveva, essendo professore ordinario di Economia Aziendale alla Università Luìss.
Tale circostanza, che collide con l'espressione «non sembra avere specifiche competenze>> non viene 'attaccata' dal ricorrente, mentre invece la circostanza che vi fossero competenze diverse fra consulenti poteva essere oggetto dì accertamento da parte del C. e non lo fu, cosicchè non è illogica la motivazione della Corte di appello che, evidenziando la diversa funzione delle due consulenze, rilevi come C. non ne abbia dato atto, di fatto non effettuando le necessarie verifiche.
Pertanto, non viene richiesta dalla Corte di appello, come invece sostiene il ricorrente, che si dia atto in un articolo non specializzato che M. aveva il compito di verificare il valore patrimoniale e quello reddituale del ramo telecomunicazioni, mentre C. verificò il valore complessive, dell'azienda. La Corte di appello rileva esclusivamente che il fatto nella sua storicità è ben diverso da quello affermato nell'anonimo pubblicato, senza alcun accertamento operato da C., che avrebbe potuto verificare la necessità della doppia consulenza.
Pertanto, le censure in tema di verità del contenuto della pubblicazione sono del tutto infondate.
3.4 Anche sul punto della continenza, altro requisito per l'esercizio del diritto di cronaca e di critica, la Corte di appello rileva come la 'presa di distanza' della prima parte dell'articolo non depotenzi la riproduzione dell'anonimo, che prospetta e insinua la volontà dei commissari di ridurre artatamente il prezzo di vendita, d'intesa con gli esperti.
Certamente il lettore viene avvertito dalle espressioni dubbiose di C., ma non di meno l'insinuazione complessiva si trae dalla letturz1 dell'articolo, né certamente la 'presa dì distanza' della prima parte, in vero parziale, esclude la forza diffamatoria dell'anonimo riportato, in quanto le notizie e le valutazioni esternate con espressioni dubitative o interrogative, se non corrispondenti al vero, possono ledere l'altrui reputazione quando le frasi utilizzate nel contesto della comunicazione, in quanto allusive, insinuanti e suggestive, siano idonee ad ingenerare nel lettore il convincimento dell'effettiva rispondenza a verità del fatto adombrato (Sez. 5, n. 8 del 12/11/2019, dep. 2020, Parovel, Rv. 278318 - 01: fattispecie relativa ad un articolo di stampa nel quale, sia pure in termini ipotetici, si veicolava il messaggio che un sindaco avesse potuto avallare una speculazione privata illecita mercificando la propria funzione; conf. N. 45910 del 2005 Rv. 233039 - 01, N. 41042 del 2014 Rv. 260772 - 01).
Pertanto infondata è anche la censura sul punto della continenza.
3.5 Quanto all'interesse pubblico, la Corte di appello lo esclude riferendo che la natura anonima dello scritto rendeva la notizia, per ciò sola <<intrinsecamente inidonea a meritare l'interesse pubblico>>, in ciò evidentemente ripercorrendo correttamente l'orientamento giurisprudenziale già citato in tema di pubblicazione di scritto anonimo.
Il motivo censura infondatamente tale affermazione, in quanto l'interesse pubblico non va riferito alla vicenda in sé, vale a dire alla cr'isi di E., la situazione di pericolo per i posti dei lavoratori, e quant'altro, che certamente ha rilievo pubblico e sociale. Ma l'interesse al quale occorre riferirsi e al quale si riferisce la Corte di merito è l'interesse sociale alla pubblicazione di una notizia vera o almeno verificata, contenuto dei diritti di cronaca e di critica, espressione della libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., che implicano un bilanciamento con i beni analogamente tutelati dalla Carta fondamentale dell'onore e della reputazione, riferibili alla persona e alla sua dignità sociale, ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost.
Proprio questo bilanciamento conduce a negare all'anonimo in sé il valore di interesse pubblico perché, non essendo controllabile la fonte, determina l'impossibilità dì attribuire rilievo pubblico e sociale alla notizia della quale non si conosce la paternità e per la quale non vi è alcuna assunzione cli responsabilità, anche penale, da parte di chi la rende.
E ciò a differenza di quanto accade nel caso in cui la pubblicazione abbia ad oggetto una intervista, nel corso della quale l'intervistato, noto e non anonimo, rende dichiarazioni delle quali si assume la responsabilità: in tal caso il giornalista può beneficiare dell'esimente del diritto di cronaca con riferimento al contenuto delle dichiarazioni ingiuriose o diffamatorie a lui rilasciate, se riportate fedelmente ed in modo imparziale, senza commenti e chiose capziose a margine - tali da renderlo dissimulato coautore - e sempre che l'intervista presenti profili di interesse pubblico all'informazione, in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, al suo oggetto e al contesto delle dichiarazioni rilasciate (Sez. 5, n. 41013 del 03/09/2021, Mulè, Rv. 282031 - 01; conf. N. 16959 del 2020 Rv. 279203 - 01;
nella specie la Corte di legittimità ha ritenuto immune da censure la condanna dell'imputato per la pubblicazione di un'inchiesta giornalistica frutto di assemblaggio di dichiarazioni di terzi, commentate con chiose ed amplificate nella loro portata, e di informazioni sul passato di un personaggio politico, senza previa verifica della serietà ed attendibilità delle fonti).
3.6 Pertanto può affermarsi il principio per cui, in tema ,ji diffamazione, attraverso il mezzo di pubblicità di un sito internet di tipo informativo, non opera la scriminante del diritto di cronaca quando la notizia sia proveniente da uno scritto anonimo, in quanto intrinsecamente inidoneo ad essere suscettibile di controlli circa la veridicità della notizia e, quindi, non meritevole dell'interesse pubblico, non potendo, per altro, l'obbligo di verifica ritenersi assolto dall'essere stata la 'notizia' riportata in precedenza da altre fonti di informazione.
4. Quanto al secondo motivo è anche infondato.
Per un verso il tema della capacità di diffusione del sito di C. risulta del tutto irrilevante, in quanto ai fini dell'integrazione del delitto di diffamazione (art. 595 cod. pen.), si deve presumere la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora il messaggio diffamatorio sia inserito in un sito internet, per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti, quale è il caso del giornale telematico, analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l'astratta e teorica possibilità che esso non sia acquistato e letto da alcuno (Sez. 5, n. 16262 del 04/04/2008, Tardivo, Rv. 239832 - 01; nello stesso senso, in relazione a pubblicazioni su internet o su registri destinati alla pubblica consultazione, Sez. 5, n. 3963 del 06/07/2015, dep. 2016, Fabia1ni Rv. 265815 - 01; Sez. 5, 06/04/2011, n. 29221, rv. 250459; Sez. 5, 16/10/2012, n. 44980, rv. 254044).
Quanto alla precedente diffusione del contenuto dell'anonimo da parte di altro quotidiano e altre agenzie informative, la Corte di appello ritiene a buona ragione che la seconda pubblicazione non esime dal controllo di attendibilità della notizia, il che si pone in sintonia con l'obbligo di verifica dell'attendibilità delle notizie, dovendo escludersi un affidamento alle verifiche svolte dai colleghi di C. (vedi par. 3.1 che precede), nonché, con motivazione logica e puntuale, che la pubblicazione sul sito da parte del ricorrente non esclude che qualcuno possa avere letto per la prima volta la notizia diffamatoria o chi l'abbia riletta si sia ulteriormente consolidato nella convinzione della verità di quanto ivi narrato, con aggravamento della lesione all'onore e alla reputazione dei destinatari della offesa.
5. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
6. Inoltre P. C. va condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge, per la difesa di E. Spa e F. P., nonché in euro 3.000,00 oltre accessori di legge in favore di D. S..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che liquida per E. Spa e P. F. complessivamente in euro 4.000,00 e per S. D. in euro 3.000,00, oltre accessori di legge.