Svolgimento del processo
1. Con sentenza dell'11 marzo 2022 la Corte di appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, in riforma della sentenza, appellata ai soli fini civili, del Tribunale di Taranto del 20 luglio 2021 nei confronti della ricorrente, ha dichiarato B.S. colpevole del reato originariamente ascrittole e l'ha condannata al risarcimento dei danni, oltre spese processuali.
Il Tribunale in composizione monocratica con la sentenza di primo grado, aveva assolto l'imputata dal reato di cui all'art. 595 terzo comma cod. pen. per la condotta di diffamazione posta in essere mediante pubblicazioni delle seguenti frasi sul profilo facebook e riferite alla persona offesa costituita parte civile D.G.A. " ...maleodorante, incapace, fallito, pregiudicato, picchia con quelle mani dalle unghie sporche sulla tastiera annaspando la bava della sua invidia e del suo rancore .. Signora dovrebbe dirgli di lavarsi un po' più spesso.. "
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso, attraverso il difensore di fiducia, deducendo i motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo si denunziano violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza della fattispecie di cui all'art. 595, terzo comma, cod. pen.
La Corte territoriale ha ritenuto di individuare il destinatario del post, benché non vi fosse alcun esplicito riferimento alla persona offesa.
Secondo i principi affermati da questa Corte, richiamati con numerose sentenze nel ricorso, l'individuazione della persona offesa deve avvenire attraverso elementi concreti e riferimenti personali che debbono consentire l'inequivoca e immediata individuazione dell'offeso.
La sentenza impugnata non ha correttamente applicato siffatti principi, affermando che l'individuazione era possibile in ragione di un lungo contrasto noto in città tra i due giornalisti conosciuti da non poche persone, omettendo, peraltro, di considerare che il conflitto non era tra la ricorrente e la persona offesa, ma tra quest'ultimo e il coniuge della B..
Le dita sporche e il lavoro di tastiera non sono sufficienti per individuare un giornalista. La sentenza inoltre ritiene che siffatti elementi siano accompagnati da riscontri individualizzanti senza però indicarli.
Né la circostanza che alcuni soggetti abbiano commentato il post consente di ritenere che i commentatori avessero identificato il destinatario delle espressioni ivi contenute.
I principi fissati dalla giurisprudenza penale di questa Corte trovano conforto nella giurisprudenza civile delle Sezioni Unite (S.U. 13/06/2019 n. 15897), secondo la quale è necessario, in relazione alle espressioni in incertam personam, che le stesse di fatto siano tali da consentire al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia è riferita.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso la sussistenza dell'esimente della provocazione.
Nel richiamare precedenti post scritti dalla persona offesa sulla rubrica di gossip "Tutto quello che vorreste sapere" della testata on line "Il corriere del giomo.it ", la ricorrente sottolinea che nei giorni precedenti il D.G. aveva utilizzato espressioni fortemente provocatorie nei suoi confronti.
A ciò si aggiunge un procedimento penale a carico del D.G. per atti persecutori e un procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione della sospensione dall'albo negli anni 2015/2016.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La sentenza impugnata ha motivato sullo specifico punto e, dopo avere richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di individuazione del destinatario dell'offesa, ha, con motivazione logica e non contraddittoria, in primo luogo contestualizzato i fatti evidenziando che:
- sussisteva un risalente contrasto tra le parti e più precisamente tra il marito della ricorrente e la persona offesa D.G.;
- il contrasto era noto a non poche persone trattandosi di due giornalisti noti in città.
Quindi, ha espressamente analizzato il contenuto del post, sottolineando che lo stesso operava dei riferimenti:
- ad alcuni tratti fisici del D.G. che, se in astratto potevano considerarsi generici, alla luce della cornice in cui si inseriva la vicenda assumevano un connotato individualizzante (... picchia con quelle mani dalle unghie sporche la cui foto ha orgogliosamente condiviso in rete.. canuto e obeso);
- al lavoro dallo stesso svolto (... duro lavoro di dieci minuti di tastiera... ) che consente di individuare il lavoro del giornalista.
Le singole circostanze di fatto indicate sono state quindi valutate dalla motivazione della sentenza unitariamente. Rileva al riguardo il passaggio motivazionale con il quale la sentenza impugnata offre le decisive ragioni del capovolgimento dell'epilogo decisorio laddove sottolinea che gli elementi di fatto che conducono alla individuazione della persona offesa non devono essere valutati isolatamente l'uno dall'altro e non devono essere decontestualizzati "[ ... ]risultando palese che almeno ad alcuni lettori, il D.G. fosse chiarissimo obiettivo del post in questione[ .. ]."
Peraltro la sentenza impugnata offre un concreto e valido riscontro alla ravvisata individuazione non solo nei like espressi in relazione al post, ma anche nel commento di uno dei lettori, R.V., dal cui contenuto risulta chiaro chi fosse il destinatario dell'offesa.
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, dunque, la sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte quanto all'individuazione del soggetto passivo nella ipotesi in cui non venga indicato il nome dello stesso: " In tema di diffamazione a mezzo stampa, l'individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così da potersi individuare, con ragionevole certezza, l'offeso e desumere la piena e immediata consapevolezza, da parte di chiunque abbia letto l'articolo, dell'identità del destinatario della diffamazione". (Sez. 5, n. 8208 del 10/01/2022, Rv. 282899).
2. Manifestamente infondato il secondo motivo.
Il motivo introduce un tema non solo nuovo e inedito, mai affrontato nelle sentenze di primo e secondo grado, ma anche irrilevante nel caso in esame, in cui la condanna del Tribunale è avvenuta a seguito di impugnazione della parte civile, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui: "In tema di diffamazione, la causa di non punibilità della provocazione non ha natura di scriminante ma di scusante, idonea ad eliminare solo la rimproverabilità della condotta dell'autore in ragione delle motivazioni del suo agire, ferma restando l'illiceità del fatto, imputabile a titolo di dolo, e la conseguente obbligazione risarcitoria nei confronti del soggetto leso." (Sez. 5,n. 26477 dE I 08/03/2021, Rv. 281653).
Al rigetto del ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza processuale nei confronti della parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 4.000,00, oltre accessori di legge.