Nel caso di specie, l'Amministrazione non aveva addotto prove gravi, precise e concordanti idonee a dimostrare che le agende rinvenute nello studio professionale, nel quale vi lavoravano diversi professionisti, appartenessero proprio al contribuente accertato.
L'Agenzia delle Entrate impugna dinanzi alla CGT di II grado della Puglia la sentenza di primo grado con cui era stato accolto il ricorso di un professionista contro un avviso di accertamento ai fini IRPEF e IRAP emesso a seguito di indagini finanziarie e del rinvenimento presso il suo studio (utilizzato anche da altri professionisti) di sette agende. Secondo gli accertatori, su tali agende erano stati annotati dati da cui si evincevano compensi in nero.
In particolare, il Giudice di primo grado aveva ritenuto che gli importi accertati erano stati giustificati dal professionista con la produzione delle relative fatture e che la documentazione extracontabile (agende) fosse priva dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, se è vero che il contribuente «ha espressamente disconosciuto la paternità di tali agendine e non pur non essendo contestata la circostanza che lo studio fosse utilizzato da altri professionisti, non è stata compiuta alcuna ulteriore indagine con gli stessi, con i pazienti indicati o anche grafologica utile a dirimere tali incertezze».
In sede di ricorso, l'Agenzia delle Entrate sostiene la validità delle agende quale elemento indiziario dotato dei requisiti prescritti dall'
Con sentenza n. 3633 del 16 novembre 2022, la CGT rigetta il ricorso. Nel confermare la decisione di primo grado, il Collegio pugliese ritiene che, a fronte dell'adempimento da parte del professionista dell'onere della prova sulle movimentazioni contestate mediante le indagini finanziarie, l'Amministrazione finanziaria non avrebbe addotto prove gravi, precise e concordanti atte per dimostrare che la documentazione extracontabile, rinvenuta in una stanza dello studio professionale utilizzato da diversi professionisti, appartenesse proprio al contribuente accertato.
Secondo l'
Commissione di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, sez. IV, sentenza (ud. 16 novembre 2022) 29 dicembre 2022, n. 3633
Svolgimento del processo
L'Agenzia delle Entrate - Direzione Provinciale di Bari, nella persona del Direttore pro-tempore, dott.ssa (...) impugna dinanzi alla presente Corte di Giustizia Tributaria di II grado in data 28/09/2018 la riforma della Sentenza n. 1680/2018 pronunciata il 23.05.2018 dalla Sez. 10A della Commissione Provinciale di Bari, depositata in data 03.07.2018 e notificata in data 09.08.2018.
La Sentenza 1680/2018 si espresse accogliendo il ricorso n 182/2018 avverso avviso di accertamento per IRPEF-ALTRO anno 2012 e avviso di accertamento IRAP 2012 annullandoli e condannando l'AdE al pagamento di spese di giudizio di euro 1.500,00 per compensi professionali, oltre oneri e accessori se è nella misura dovuti. Riportando come motivi della decisione " quanto agli importi accertati attraverso le indagini bancarie disposte ai sensi dell'art 32, n 2 e 7 D.P.R. n 600/73, il contribuente ha puntualmente comprovato la giustificazione di dette somme producendo le relative fatture, non potendo rilevare in senso contrario il fatto che taluni casi le somme siano accreditate sempre allo stesso soggetto (la compagnia assicurativa (...)) alcuni mesi dopo rispetto all'emissione dei documenti contabili, trattandosi di prassi notoria e comunque non certo imputabili al ricorrente.
Con riferimento agli importi accertati utilizzando la documentazione extracontabile rinvenuta presso lo studio professionale del C. nel corso della verifica fiscale, ovvero n 7 agendine manoscritte rinvenute nella stanza di sterilizzazione dello studio professionale.......Non si ritiene che data prova presuntiva dell'esistenza di attività non dichiarate possieda i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 39, lett. d) D.P.R. n. 600/73, se è vero che il (...) ha espressamente disconosciuto la paternità di tali agendine e non pur non essendo contestata la circostanza che lo studio fosse utilizzato da altri professionisti, non è stata compiuta alcuna ulteriore indagine con gli stessi, con i pazienti indicati o anche grafologica utile a dirimere tali incertezze".
L'appellante AdE avanzando tale richiesta riporta la seguente motivazione di legittimità: La violazione e falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, lett. d), d.p.r. 600/73 e artt. 2697 e 2727 c.c.
L'ADE, in merito, specifica che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, così come dell'Iva, il rinvenimento di una: "contabilità in nero" o "parallela", costituita da appunti personali (quali brogliacci, block notes, agende, ecc.), rappresenti un valido ed irrinunciabile elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, prescritti dall'art. 39 d.P.R. 600/73 specificando che, durante lo svolgimento delle verifiche , da parte dell'appellato non vi sia stato alcun cenno al disconoscimento della paternità delle agendine rinvenute, facendo venir meno in capo ai verificatori alcun onere aggiuntivo di ricerca o conferma della paternità certa di detti scritti, inoltre il dott. (...) non avrebbe mai riferito o documentato la presenza di altri professionisti nel proprio studio, sito in via (...) - (omissis). Al contrario dal p.v.c. dell'1.12.2016 (foglio n. 26) emergerebbe che, a fronte della richiesta dei verificatori di fornire chiarimenti la parte appellata, in data 25/11/2016, ha dichiarato quanto segue: "Data la mole dei dati ivi riportati e dalla difficoltà a riconciliare gli stessi con la contabilità in tempi brevi, tenuto conto che la stessa è da voi detenuta, mi riservo di fornire eventuali controdeduzioni nelle fasi successive alla chiusura della verifica". Presentando successivamente con le memorie difensive del 30/01/2017 smentita in merito a tali affermazioni e nelle quali, il medico avrebbe disconosciuto la paternità di tali scritti senza andando però a escludere, secondo l'Ufficio la possibilità che siano state scritte da terzi nei suoi interessi. In forza di tele tesi, l'appellata cita l'Ordinanza n. 10395 del 30.04.2018, dove i Giudici di legittimità, confermando il proprio orientamento (Cass., 24223/2017, 14150/2016, 4080/2015, 20094/2014), statuirono che : "La 'contabilità in nero', seppur rinvenuta presso terzi e costituita da appunti ed informazioni dell'imprenditore, integra un valido elemento indiziario, incombendo dunque sul contribuente l'onere di fornire la prova contraria, al fine di dimostrare l'infondatezza della pretesa impositiva" dando a tali scritti rilevanza nell'ambito dell'attività di verifica, affermando inoltre che ai sensi dell'art. 39, comma 1 - lett. d), d.p.r. 600/73 l'esistenza di attività non dichiarate o l'inesistenza di passività dichiarate può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
L'Ufficio per la motivazione suddetta chiede la riformulazione della sentenza impugnata, confermando per l'effetto la pretesa impositiva con vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio, per entrambi i gradi del giudizio, ex art. 15 D.Lgs. 546/92.
La parte appellata avverso tale richiesta ne eccepisce l'inammissibilità annotando in via preliminare sia la mancanza dell'attestazione di conformità ex art 25 bis del D.Lgs. 546/92, in quanto nella p.e.c. di notifica non sarebbe stato allegato l'attestato di conformità e sia la formazione del giudicato interno rispetto al capo della sentenza di primo grado con cui è stato annullato il recupero di euro 2.039,98.
Su quest'ultimo punto l'appellata riporta che i giudici di prime cure hanno statuito quanto segue " quanto agli importi accertati attraverso le indagini bancarie disposte ai sensi dell'art. 32, n. 2 e 7 D.P.R. N. 600/73, il contribuente ha puntualmente comprovato la giustificazione di dette somme producendo le relative fatture, non potendo rilevare in senso contrario il fatto che in taluni casi le somme siano state accreditate sempre dallo stesso soggetto (la compagnia assicurativa (...)), alcuni mesi dopo rispetto all'emissione dei documenti contabili, trattandosi di prassi notoria e comunque non certo imputabile al ricorrente".
L'appellata inoltre eccepisce, nell'atto di appello, un evidente contrasto con lo stesso modus operandi dei verificatori che appena dopo la richiesta di chiarimenti, avanzata in data 14/11/2016, procedevano alla chiusura delle indagini fiscali consegnando, in data 1/12/2016, il PVC per poi, emetter l'atto impositivo n. (...)/2016, successivamente annullato con procedimento n. (...)/2017 del 25/03/2017, poiché emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni ex art 12,comma 7, Legge n.212/2000. Precisando, inoltre, che le indagini fiscali prendevano avvio il 27/04/2016 quindi sette mesi prima della chiusura della verifica, dando alla GdF ampi tempi per espletare il suo incarico effettuando tutti i dovuti controlli.
Per quanto concerne l'onere probatorio dei dati contestati, l'appellato, rifacendosi alla sentenza impugnata della CTP di Bari, eccepisce che sarebbe dovuto ricadere sui verificatori stessi e non sull'appellato, che inoltre avrebbe palesato la sua disponibilità a fornire chiarimenti a seguito della chiusura delle indagini.
All'esito dell'odierna pubblica udienza, sentito il Giudice relatore l'appello è stato posto in decisione.
Motivi della decisione
La corte di Giustizia Tributaria di II grado osserva che gli accertamenti delle indagini bancarie sono state giustificate dalla produzione delle fatture emesse, mentre la documentazione extracontabile rinvenuta, presso una stanza di sterilizzazione dello studio professionale, il cui uso non sembra di esclusivo utilizzo del contribuente non rileva i requisiti di precisione e concordanza di redditi non dichiarati. I mancati riscontri presso terzi da parte dell'Ufficio finanziario in relazione ai nominativi e ai dati indicati nelle suddette agendine non contribuiscono ad assegnare il valore probatorio della contabilità a nero, a carico dell'appellato, anche in considerazione che la stanza di sterilizzazione sarebbe stata utilizzata da ben sei professionisti, esercitanti attività sanitarie. Tali considerazioni prescindono oltremodo, da qualsiasi sussistenza di certezza dei dati in essi contenuti. Non può trovare accoglimento, la presunzione della esistenza di attività non dichiarate che posseggano i requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti. La Corte ritiene che l'amministrazione finanziaria è comunque tenuta a provare la fondatezza della propria pretesa, quale onere di provare il fatto costitutivo della pretesa tributaria ai fini dell'accertamento di operazioni non contabilizzate, in considerazione del novellato art.7 comma 5 bis del Dlgs n 546/92 della Legge n 130/22.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria di II grado rigetta e condanna l'appellante alle spese di giudizio liquidate in euro 1.000,00