Il principio di assimilazione delle decisioni di condanna adottate dalle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro a quelle domestiche comporta che esse, ai soli fini degli effetti che il precedente giudicato spiega nell'ambito di un nuovo procedimento penale secondo la legge nazionale, possono essere utilizzate anche in assenza del loro riconoscimento.
La Corte d'Appello di Catania dichiarava inammissibile la richiesta di riconoscimento, ai fini della recidiva, dell'interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e di ogni altro effetto penale della condanna della sentenza straniera pronunciata nei confronti dell'interessato, condannato per delitti di omicidio doloso, tenendo conto della parziale capacità di intendere e di volere del...
Svolgimento dl processo
1. Con sentenza del 7 gennaio 2022 la Corte di appello di Catania ha dichiarato la inammissibilità della richiesta - presentata dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania ex artt. 730, 733 cod. proc. pen., 12 cod. pen. - di riconoscimento, ai fini della recidiva, dell'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni e di ogni altro effetto penale della condanna, della sentenza irrevocabile pronunciata il 31 gennaio 2003 nei confronti di F.G. dal Tribunale di Dortmund, con la quale egli veniva condannato alla pena detentiva di anni sette in ordine a delitti di omicidio doloso, ritenuta l'ipotesi meno grave e in condizioni di parziale capacità di intendere e di volere.
2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania, censurando con unico motivo l'inosservanza e l'erronea applicazione dell'art. 730 cit., in relazione all'art. 3, comma 1, d.lgs. 12 maggio 2016, n. 73 e all'art. 12 cod. pen., sul rilievo che gli effetti di una sentenza straniera devono essere espressamente riconosciuti dall'Autorità giudiziaria interna, poiché l'art. 3 cit. non ha implicitamente abrogato le disposizioni di cui agli artt. 730 ss. cit., ma assume una portata solo integrativa degli istituti processuali interni e deve essere interpretato congiuntamente agli altri provvedimenti normativi (d.lgs. nn. 74 e 75 del 2016) contestualmente emanati dal legislatore.
3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 24 novembre 2022 il Procuratore generale ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Nell'interesse di F.G. il difensore, Avv. F.R.M., ha trasmesso alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 6 dicembre 2022 una memoria in cui ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
2. In ordine ai rapporti fra l'istituto del riconoscimento delle sentenze penali ex art. 730 cod. proc. pen. e il meccanismo del mutuo riconoscimento delle decisioni di condanna tra gli Stati U.E., questa Suprema Corte ha già affermato il principio secondo cui, agli effetti della recidiva (art. 12, n. 1, cod. pen.), le sentenze di condanna pronunciate da autorità giudiziarie degli Stati membri dell'Unione europea hanno rilevanza, nel concorso dei presupposti di cui all'art. 3, d.lgs. 12 maggio 2016, n. 73, attuativo della decisione quadro 2008/675/GAI, senza necessità del previo giudizio di riconoscimento ex art. 730 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 29949 del 16/06/2022, Alesci, Rv. 283614; Sez. 6, n. 37718 del 22/09/2022, Bontorno, n.m.).
Il d.lgs. 12 maggio 2016, n. 73 (recante attuazione della decisione quadro 2008/675/GAI, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale) ha recepito nell'ordinamento italiano la decisione quadro 2008/675/GAI del Consiglio del 24 luglio 2008, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale.
Tale decreto è stato emanato congiuntamente ad altri due analoghi provvedimenti normativi, il d.lgs. 12 maggio 2016, n. 74 (recante attuazione della decisione quadro 2009/315/GAI, relativa all'organizzazione e al contenuto degli scambi fra gli Stati membri di informazioni estratte dal casellario giudiziario) e il d.lgs. 12 maggio 2016, n. 75 (recante attuazione della decisione 2009/316/GAI che istituisce il Sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS), emessi in pari data per dare attuazione, rispettivamente, alle decisioni quadro 2009/315/GAI e 2009/316/GAI, aventi entrambe ad oggetto gli scambi di informazioni tra i casellari europei.
In particolare, con la decisione quadro 2008/675/GAI del 24 luglio 2008 si è stabilito che ciascuno Stato membro assicuri che, nel corso di un procedimento penale nei confronti di una persona, le precedenti decisioni di condanna pronunciate in un altro Stato membro nei confronti della stessa persona per fatti diversi, riguardo alle quali sono state ottenute informazioni in virtù degli strumenti applicabili all'assistenza giudiziaria reciproca o allo scambio di informazioni estratte dai casellari giudiziari, «siano prese in considerazione nella misura in cui sono a loro volta prese in considerazione precedenti condanne nazionali, e che sono attribuiti ad esse effetti giuridici equivalenti a quelli derivanti da precedenti condanne nazionali conformemente al diritto nazionale».
In tal modo si è inteso stabilire il principio secondo il quale ad una decisione di condanna pronunciata in uno Stato membro dovrebbero attribuirsi negli altri Stati membri effetti equivalenti a quelli attribuiti alle condanne nazionali conformemente al diritto nazionale, sia che si tratti di questioni di ordine propriamente fattuale, sia che si tratti di effetti di diritto processuale o sostanziale esistenti nel diritto nazionale (cfr. il considerando n. 5).
Con la decisione quadro 2009/315/GAI del 26 febbraio 2009, inoltre, si è stabilito che in caso di condanna pronunciata da uno Stato dell'Unione europea nei confronti del cittadino di altro Stato membro, questa sia comunicata a tale ultimo Stato, che è tenuto a conservarla per fornire informazioni sul casellario giudiziario.
Con la decisione quadro 2009/316/GAI del 6 aprile 2009, infine, gli Stati dell'Unione europea hanno creato un sistema informatico decentrato basato sulle banche dati di casellari giudiziari di ciascuno Stato membro (ECRIS), per dare attuazione alla decisione 2009/315/GAI attraverso la creazione di un sistema informatizzato di scambio di informazioni tra Stati membri sulle condanne, sì da consentire la comunicazione delle informazioni sulle condanne in un modo facilmente comprensibile.
Secondo quanto chiarisce la Relazione al decreto legislativo n. 73 del 2016, la citata decisione quadro 2008/675/GAI, unitamente alle successive decisioni 2009/315/GAI e 2009/316/GAI, ha inteso migliorare la "circolazione" delle informazioni sulle condanne: con il sistema della c.d. recidiva europea, infatti, si permette l'utilizzo del certificato ECRIS (European Crimina! Records Information System) per ogni determinazione sulla pena, in particolare per l'applicazione della recidiva o per la dichiarazione di criminalità abituale del condannato, oltre che di ogni altra valutazione che il giudice abbia a compiere, dalla fase delle indagini preliminari a quella dell'esecuzione.
V'è ancora da osservare che con il d.lgs. n. 74 del 2016 sono state modificate le norme del T.U. n. 313 del 2002 in materia di casellario giudiziale e di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti.
In particolare, è stato aggiunto un nuovo Titolo (il Titolo II-bis) per il «casellario giudiziale europeo»: mentre l'art. 3, relativo al casellario giudiziale ordinario, prevede - salvo tale limitate eccezioni - l'iscrizione dei provvedimenti di condanna definitivi, anche pronunciati da autorità giudiziarie straniere «se riconosciuti ai sensi degli articoli 730 e seguenti del codice di procedura penale», l'art. 5-bis, relativo al Casellario giudiziale europeo, stabilisce la "diretta" iscrizione delle condanne pronunciate in un altro Stato membro dell'Unione europea nei confronti di cittadini italiani trasmesse all'Ufficio centrale (e delle successive decisioni concernenti l'esecuzione della pena o che modificano o eliminano le condanne iscritte).
In questo mutato contesto normativo si colloca la richiamata disposizione ex art. 3 d.lgs. cit., secondo cui «Le condanne pronunciate per fatti diversi da quelli per i quali procede l'autorità giudiziaria italiana, oggetto di informazioni nell'ambito delle procedure di assistenza giudiziaria o di scambi di dati estratti dai casellari giudiziali, sono valutate, anche in assenza di riconoscimento e purché non contrastanti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, per ogni determinazione sulla pena, per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna, ovvero per dichiarare l'abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere».
Il principio di assimilazione delle decisioni di condanna adottate dalle autorità giurisdizionali di un altro Stato membro a quelle domestiche, comporta, dunque, che esse, ai soli fini degli effetti che il precedente giudicato spiega nell'ambito di un nuovo procedimento penale secondo la legge nazionale, possono essere utilizzate anche in assenza del loro riconoscimento, richiesto dalla normativa italiana.
La "presa in considerazione" indicata dalla decisione quadro 2008/675/GAI e dal relativo decreto attuativo non significa, infatti, "automatico" riconoscimento, avendo i suddetti strumenti normativi stabilito unicamente il principio di "equivalenza" tra la precedente decisione di condanna emessa da uno Stato U.E. e quella emessa in ambito nazionale, rispetto agli effetti specificamente indicati dal decreto legislativo testé richiamato.
La limitata portata applicativa del nuovo strumento normativo è confermata sia dal considerando n. 5 - ove si chiarisce che la decisione quadro non mira ad armonizzare le conseguenze attribuite dalle diverse legislazioni nazionali all'esistenza di precedenti decisioni di condanna pronunciate in altri Stati membri - sia dal tenore del successivo considerando n. 6, ove si rimarca il fatto che essa non mira all'esecuzione in uno Stato membro di decisioni giudiziarie emesse in altri Stati membri, sicché l'obbligo di tenerne conto sussiste solo nella misura in cui esse siano prese in considerazione dal diritto nazionale.
Ne consegue che, nell'ambito di applicazione della decisione quadro in esame, come anche dei coevi atti normativi 2009/315/GAI e 2009/316/GAI, l'esistenza di una precedente condanna definitiva emessa in altro Stato membro può essere esaminata e valutata dall'autorità giudiziaria procedente non ai fini della sua esecuzione, ma esclusivamente come "fatto storico", per gli effetti che, in base al diritto interno, essa può esplicare nell'ambito di un nuovo procedimento penale, nei confronti della stessa persona, ma per "fatti diversi".
La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha già precisato che l'art. 3 d.lgs. n. 73 del 2016 esclude la necessità del previo giudizio di riconoscimento ai sensi dell'art. 730 cod. proc. pen. per far assumere rilevanza, in sede di esecuzione in Italia della pena inflitta da sentenza emessa da giudice dello Stato, alle statuizioni contenute nella sentenza estera ai soli fini indicati dalla stessa norma, coincidenti con quelli di cui art. 12, primo comma, n. 1), cod. pen. (Sez. 1, n. 25157 del 22/02/2017, dep. 2018, Cat Serro, Rv. 273049).
Deve infine rilevarsi che il precedente citato nel ricorso (Sez. 6, n. 47414 del 17/11/2021, Staiti, Rv. 282452) ha avuto ad oggetto l'istanza di riconoscimento di una sentenza penale straniera (già peraltro riconosciuta agli effetti dell'art. 12 cod. pen.), formulata al fine di ottenere l'applicazione del criterio moderatore previsto dall'art. 78 cod. pen. in relazione ad un'altra sentenza di condanna per un reato giudicato in Italia.
Il richiamo al precedente or ora citato, tuttavia, non può ritenersi conferente nel caso di specie, poiché questa Corte si è pronunciata soltanto sulla finalità oggetto dell'istanza (non prevista dal nostro ordinamento e quindi non ottenibile in via diretta dalla decisione quadro che espressamente rinvia agli effetti previsti dall'ordinamento nazionale) e non sulla necessità del riconoscimento (tema non devoluto all'esame della Corte).
3. Sotto altro profilo occorre considerare, per quel che attiene al riconoscimento della sentenza estera al fine di applicare al condannato le pene accessorie previste dal nostro ordinamento (ex art. 12, n. 2, cod. pen.), che l'istanza di riconoscimento, secondo quanto si legge nel ricorso, ha la finalità di applicare al G. la pena accessoria dell'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici in relazione ad una sentenza di condanna pronunciata in Germania alla pena detentiva di anni sette.
Ne consegue che dal riconoscimento si intende far derivare, per "gli stessi fatti" per i quali il predetto è stato già giudicato e condannato in Germania, l'applicazione di una ulteriore e diversa pena.
Ipotesi, questa, che non sembra rientrare nell'ambito di applicazione della decisione quadro in esame e del relativo decreto legislativo di attuazione, riferendosi entrambi alla presa in considerazione di precedenti decisioni di condanna pronunciate in un altro Stato membro nei confronti della stessa persona "per fatti diversi" da quelli per i quali procede l'autorità giudiziaria nazionale.
Occorre dunque stabilire se la forma di riconoscimento prevista dalla decisione quadro in esame esaurisca le possibilità di presa in considerazione della sentenza di condanna emessa nell'ambito dell'Unione europea, o se residui ancora uno spazio per l'applicazione di effetti penali previsti dal nostro ordinamento "per gli stessi fatti", da ottenere attraverso il tradizionale strumento del riconoscimento delle decisioni di condanna ex art. 730 cod. proc. pen.
Anche a voler accedere a tale seconda ipotesi, tuttavia, deve rilevarsi che il ricorso non si confronta con il divieto di bis in idem operante nell'ambito dell'Unione europea, che sembra aver limitato a monte la facoltà di utilizzare il precedente penale straniero per i soli "fatti diversi" (artt. 3, par. 1, della richiamata decisione quadro e 3, comma 1, d.lgs. n. 73 del 2016) e che, comunque, non potrebbe non rilevare - tenuto conto dell'epoca dei fatti - anche per la procedura di riconoscimento ex art. 730 cod. proc. pen. di una sentenza emessa da uno Stato membro dell'Unione europea.
Invero, il riconoscimento della sentenza straniera agli effetti dell'art. 12, n. 2, cod. pen., imponendo al condannato un'ulteriore pena per lo stesso fatto per il quale è stato già giudicato in Germania, verrebbe a porsi in contrasto con le garanzie fondamentali presidiate dal richiamato principio (ex artt. SO della Carta dei diritti fondamentali e 54 della Convenzione di applicazione degli Accordi di Schengen), che mira a tutelare l'individuo contro la prospettiva dell'irrogazione di una seconda pena e ancor prima contro la prospettiva di subire un secondo processo per il medesimo fatto, così da· evitare l'ulteriore sofferenza e i costi economici determinati dalla celebrazione di un nuovo processo in relazione a fatti per i quali quella persona sia già stata giudicata.
Se la condanna estera, peraltro, non fosse più eseguibile, non sarebbero neppure operative le pene accessorie da applicare all'esito dell'eventuale riconoscimento.
Nell'ipotesi contraria, il ricorrente non spiega affatto come possano ritenersi superati nel caso in esame i limiti indicati dalla giurisprudenza sovranazionale e costituzionale (da ultimo, v. Corte EDU, A e B c. Norvegia del 15 novembre 2016; Corte giust. UE, 20 marzo 2018, Menci, Garlsson Real Estate SA e altri, in causa C-537/16, e Di Puma e altri, in cause C-596/16 e C-597/16; Corte cast., sent. n. 149 del 2022 e n. 43 del 2018) al fine di rispettare il principio del ne bis in idem con riferimento alla possibilità di un doppio binario sanzionatorio per il medesimo tipo di illecito.
Nel ricorso, infatti, non si spiega su quali basi normative e fattuali poggi la «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta» che non darebbe luogo a violazione del ne bis in idem in presenza di diversi procedimenti sanzionatori.
Una violazione della richiamata garanzia fondamentale del cittadino europeo potrebbe infatti verificarsi allorché difetti, in concreto, una sufficiente connessione cronologica tra i procedimenti: requisito, quest'ultimo, funzionale a tutelare la persona da una, ingiustificatamente prolungata, situazione di incertezza circa la propria sorte.
Nel caso di specie, è sufficiente osservare che la sentenza di condanna tedesca oggetto dell'istanza di riconoscimento è divenuta definitiva nel lontano 15 aprile 2003.
4. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.