Essa si estende infatti a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo, a prescindere dal livello di posa ed elevazione dell'opera.
Gli attori convenivano in giudizio la società di costruzioni, chiedendo al Tribunale di accertare la avvenuta violazione delle distanze minime legali tra la costruzione realizzata dalla convenuta e il fabbricato degli attori.
Il Tribunale, dopo aver disposto una CTU, accoglieva le domande ma, a seguito di gravame, la Corte di Appello riformava parzialmente la...
Svolgimento del processo
1.1. G. A. e A. M. M. hanno convenuto in giudizio la G. Costruzioni s.p.a. chiedendo che il tribunale accertasse: - l'avvenuta violazione delle distanze minime legali di dieci metri tra la costruzione realizzata dalla società convenuta, emergente per due piani fuori terra, ed il loro fabbricato; - l'avvenuta violazione delle distanze minime legali della porzione emergente sino al primo piano fuori terra, posizionata a meno di tre metri dalla veduta esistente sul loro fabbricato, che presenta una parete finestrata; - la violazione della distanza legale di cinque metri del manufatto costituente copertura dei box seminterrati e il piano di imposta del fabbricato sovrastante, emergente per circa trenta centimetri, della balconata e dalla falda del tetto di copertura di parte del fabbricato, tutte distanti poco più di quattro metri; ordinando alla convenuta l'arretramento delle porzioni entro i limiti di legge e condannando la stessa al risarcimento dei danni subiti.
1.2. La società convenuta ha contestato la fondatezza della domanda chiedendo in via riconvenzionale di ordinare agli attori la regolarizzazione dell'apertura posa nel fabbricato di loro proprietà in quanto luce e non veduta.
1.3. Il tribunale, espletata una consulenza tecnica d'ufficio, con sentenza del 2014, ha accolto le domanda proposte dagli attori ed ha, quindi, condannato la società convenuta: - ad arretrare la porzione di edificio antistante il fabbricato di parte attrice sito sul mappale 516 alla distanza di 10 metri da quest'ultimo; - ad arretrare la balconata di cemento armato e il seminterrato alla distanza di 5 metri dal confine con il fondo di proprietà della parte attrice di cui ai mappali 516 e 6776, rigettando tutte le altre domande.
1.4. Il tribunale, inoltre, ha accolto la domanda riconvenzionale della convenuta ordinando agli attori di rendere conformi alle prescrizioni dell'art. 905 c.c. l'apertura posizionata sul lato est dell'edificio sito sul mappale 516.
1.5. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto, per un verso, che, come emerso dalla consulenza tecnica d'ufficio espletata nel corso del giudizio, il lato ovest dell'edificio costruito dalla società convenuta è stato eretto sul confine con la proprietà attorea e soltanto a 10 cm. da altro edificio di proprietà degli attori, senza che fosse possibile affermare che la costruzione in oggetto era stata realizzata in aderenza, avendo la convenuta posizionato materiale poliuretanico nell'interstizio determinatosi, che aveva, anzi, comportato l'illecita sottrazione di una porzione del fondo limitrofo, e, per altro verso, che tanto la balconata quanto il seminterrato, costituendo corpi di fabbrica dotati di propria autonomia funzionale, non potevano non essere considerati ai fini del calcolo delle distanze.
1.6. La G. Costruzioni s.p.a. ha proposto appello.
1.7. G. A. e A. M. M. hanno resistito al gravame.
1.8. La corte d'appello, con la sentenza in epigrafe, ha, in parte, accolto l'appello ed ha, per l'effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, ha respinto le domanda con le quali gli attori avevano chiesto l'arretramento del fabbricato di proprietà della società convenuta fino a 10 metri dalla parte est del fabbricato di proprietà degli attori e l'arretramento del seminterrato alla distanza di 5 metri dal confine, confermando per il resto la sentenza impugnata.
1.9. La corte, infine, ha dichiarato la compensazione tra le parti metà delle spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio, condannando gli attori alla refusione della residua metà.
1.10. La corte, in particolare, ha ritenuto, che il tribunale aveva erroneamente omesso di considerare che, ai fini di cui all'art. 877 c.c., "la costruzione in aderenza al muro posto al confine" dev'essere ravvisata anche in presenza di modeste intercapedini ove queste derivino da mere anomalie edificatorie e siano altresì agevolmente colmabili senza appoggi e spinte sul manufatto preesistente, e che, di conseguenza, in caso di non perfetta aderenza della costruzione del prevenuto a quella del preveniente, dovuta ad un'anomalia nella realizzazione della costruzione del preveniente, il giudice non può disporre l'arretramento della costruzione del prevenuto senza accertare che l'intercapedine possa essere colmata mediante opportuni accorgimenti tecnici atti a perfezionare l'aderenza senza determinare spinte in danno del muro del vicino poiché, in tal caso, non si verifica violazione del principio di prevenzione, posto che il prevenuto esercita, seppure con l'adozione di cautele rese necessarie da anomalie a lui non imputabili, la facoltà di costruire in aderenza riconosciutagli dalla legge.
1.11. Nel caso in esame, ha osservato la corte, i due edifici sono distanti 10 cm., per la sola porzione a piano terra dell'edificio sul lato ovest, ravvisandosi, quindi, una modestissima intercapedine eliminabile con l'adottato accorgimento, tanto più che, in difetto di qualsiasi allegazione, la violazione delle distanze non costituisce di per sé pericolo di danno, mentre la "perfetta aderenza" non era stata possibile per cause indipendenti dalla società costruttrice e invece riconducibili ai "fori di esalazione irregolarmente presenti sulla parete del fabbricato attoreo".
1.12. La corte, poi, ha ritenuto che: a fronte dell'indeterminatezza del regolamento edilizio, che non contiene specifiche definizioni, il tribunale aveva correttamente qualificato la balconata realizzata dalla convenuta come una costruzione sul rilievo che, per la sua struttura ed estensione, rappresenta un'estensione del fabbricato che ne impone la considerazione ai fini del calcolo delle distanze; - come emerge dalla consulenza tecnica d'ufficio, il seminterrato emerge di non oltre 30 cm. rispetto alla quota del terreno lungo il lato sud e che, come chiarito dallo stesso consulente, la parte sottostante al piano terra, seguendo la definizione del piano di fabbricazione del Comune, dev'essere considerata come interrata "in quanto si trova completamente al disotto del piano marciapiede".
1.13. La corte, infine, ha ritenuto che, in considerazione dell'esito finale del giudizio e alla luce della proposta transattiva avanzata dalla società, che avrebbe ragionevolmente posto fine al contenzioso, di innegabile complessità, le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio dovevano essere compensate tra le parti per la metà ed ha, quindi, condannato gli appellati al pagamento delle spese residue.
2.1. G. A. e A. M.M., con ricorso notificato il 16/1/2018, hanno chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza, dichiaratamente notificata, come da relazione agli atti, il 17/11/2017.
2.2. La G. Costruzioni s.p.a. ha resistito con controricorso notificato il 2/3/2018 nel quale ha proposto, per due motivi, ricorso incidentale, illustrare da memoria.
2.3. I ricorrenti principali hanno, a loro volta, resistito con controricorso con il quale hanno eccepito l'irregolarità della notifica del controricorso, e depositato memoria.
Motivi della decisione
3.1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione del comb.disp. di cui agli artt. 875 e 877 c.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che, ai fini previsti dall'art. 877 c.c., la costruzione in aderenza al muro posto al confine dev'essere ravvisata anche in presenza di modeste intercapedini ove queste derivino, come nel caso in esame, da mere anomalie edificatorie e siano altresì agevolmente colmabili senza appoggi e spinte sul manufatto preesistente.
3.2. La corte d'appello, tuttavia, hanno osservato i ricorrenti, così facendo, non ha considerato che, a norma dell'art. 875 c.c., il proprietario prevenuto, ove ritenga di costruire in aderenza, deve comunicarlo formalmente all'altra parte prima della realizzazione dell'immobile, laddove, nel caso in esame, tale contegno non era stato in alcun modo manifestato dalla G. Costruzioni s.p.a. prima della costruzione del relativo edificio.
3.3. D'altra parte, hanno aggiunto i ricorrenti, il principio invocato dalla corte d'appello non può trovare applicazione poiché lo stesso presuppone l'esistenza di fabbricati con talune irregolarità, mentre, nel caso in esame, tali irregolarità non sono presenti posto che il muro perimetrale dell'immobile di proprietà degli attori è perfettamente lineare.
3.4. La corte d'appello, del resto, hanno concluso i ricorrenti, ha accolto la domanda della società convenuta senza indicare la misura dell'indennità dovuta dalla stessa in corrispondenza del valore del suolo occupato.
4.1. Il motivo è infondato. I ricorrenti, in effetti, pur lamentando la violazione di norme di legge, hanno finito, in sostanza, per censurare la ricognizione asseritamente erronea dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, facendo testuale riferimento ad una "costruzione in aderenza al muro posto al confine': hanno inequivocamente ritenuto, in fatto, che l'edificio della società convenuta era stato costruito in aderenza al muro di quello già realizzato dagli attori prevenienti sul confine tra le rispettive proprietà.
4.2. Ed una volta che tale apprezzamento non sia stato dai ricorrenti utilmente censurato (nell'unico modo possibile, e cioè, a norma dell'art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di una o più circostanze decisive risultanti dagli atti di causa), non si presta, evidentemente, a censure la decisione che la corte d'appello ha ritenuto di trarne, e cioè l'applicazione della norma prevista dall'art. 877 (comma 1°) c.c., la quale, invero, proprio sul presupposto che il muro dell'edificio dei proprietari prevenienti sia "posto sul confine" (e che, a differenza di quella prevista al secondo comma dello stesso articolo, non vi sia alcuna occupazione di suolo altrui), consente al proprietario prevenuto di "costruire' come aveva fatto la società convenuta, "sul confine stesso in aderenza", senza, peraltro, che possa in senso contrario rilevare il fatto che la "perfetta aderenza" tra i due edifici non era stata possibile per i "fori di esalazione irregolarmente presenti sulla parete del fabbricato attoreo".
4.3. Questa Corte, invero, ha già avuto modo di affermare che, ai fini dell'art. 877 c.c., la costruzione in aderenza al muro posto sul confine dev'essere ravvisata anche in presenza di modeste intercapedini ove queste derivino da mere anomalie edificatorie e siano, altresì, agevolmente colmabili senza appoggi o spinte sul manufatto preesistente (Cass. n. 3601 del 2016; Cass. n. 5894 del 2004). La costruzione in aderenza alla fabbrica altrui, prevista dall'art. 877 c.c., in effetti, postula l'assenza di qualsiasi intercapedine rispetto al preesistente muro del vicino e la piena autonomia, statica e funzionale, nei riguardi dello stesso ed è, quindi, consentita, salvo l'obbligo di pagamento nascente dall'eventuale occupazione di suolo altrui, anche quando tale muro presenti irregolarità (quali rientranze, sporgenze, riseghe e simili) nel suo ulteriore sviluppo in altezza, purché l'intercapedine possa ugualmente colmarsi mediante opportuni accorgimenti tecnici a cura del costruttore prevenuto (Cass. n. 25495 del 2021).
4.4. Ai sensi dell'art. 877 c.c., del resto, il diritto di costruire in aderenza può essere esercitato esclusivamente nelle ipotesi di cui: a) al primo comma, che (come visto) attribuisce al proprietario del suolo sul cui confine il vicino abbia in precedenza edificato la possibilità, se non intende avvalersi della facoltà di chiedere la comunione del muro, di realizzare la propria fabbrica in aderenza allo stesso; b) al secondo comma, in relazione all'art. 875, comma 1°, c.c., il quale prevede (nei casi, nella specie non ravvisabili, in cui il vicino abbia edificato a distanza inferiore alla metà di quella legale o regolamentare) la possibilità di chiedere l'acquisizione in proprietà, previo indennizzo, della parte di suolo compresa tra il confine ed il muro del vicino, occupata ai fini dell'edificazione in aderenza alla fabbrica del confinante (Cass. n. 14658 del 2006).
5.1. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 873 c.c., in relazione al regolamento urbanistico del Comune, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che il locale seminterrato, pur essendo costituito da un manufatto che emerge rispetto alla quota del terreno, doveva essere considerato, alla luce delle definizione contenuta nel programma di fabbricazione, come interrata poiché si trova completamente al disotto del piano marciapiede.
5.2. Così facendo, tuttavia, hanno osservato i ricorrenti, la corte d'appello non ha considerato che, ai fini previsti dall'art. 873 c.c. e dalle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina privatistica, la nozione di costruzione si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato che, indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, abbia caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo.
6.1. Il motivo è fondato. In tema di distanze legali, infatti, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa (Cass. n. 23856 del 2018, che ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso di potere ravvisare una costruzione nell'opera costituita da un basamento in calcestruzzo, posizionato 20 cm. al di sotto del circostante piazzale, sul quale erano stati installati nove profilati in acciaio dell'altezza di 1.50 m. circa e delle pareti lignee, senza valutarla nella sua interezza né considerare la sua parziale sporgenza dal suolo e il livello del fondo contiguo; Cass. n. 21173 del 2019; Cass. n. 4277 del 2011; Cass. n. 22127 del 2009, per cui, ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall'art. 873 c.c. o da norme regolamentari integrative, la nozione di "costruzione" comprende qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo: nella specie, si è ritenuto che integrasse la nozione di "costruzione", ai predetti fini, una baracca di zinco costituita solo da pilastri sorreggenti lamiere, priva di mura perimetrali ma dotata di copertura).
6.2. Né può rilevare in senso contrario il fatto, dedotto dai controricorrenti (v. il controricorso, p. 10), che la costruzione in questione, alla luce della normativa regolamentare applicabile, deve ritenersi come completamente interrata, se non altro perché, in tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell'art. 873 c.c., una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata. I regolamenti comunali, pertanto, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell'art. 873 c.c. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass. n. 23843 del 2018; Cass. n. 144 del 2016; Cass. n. 14530 del 2005).
6.3. La corte d'appello, quindi, lì dove ha ritenuto che il seminterrato, pur emergendo (di non oltre 30 cm.) rispetto alla quota del terreno lungo il lato sud, non doveva essere computato ai fini del calcolo delle distanze sul rilievo che, come chiarito dallo stesso consulente, la parte sottostante al piano terra, in ragione della definizione contenuta nel piano di fabbricazione del Comune, doveva essere considerata come interrata "in quanto completamente al disotto del piano marciapiede", non si è, evidentemente, attenuta ai principi esposti e si espone, come tale, alle censure svolte sul punto dai ricorrenti.
7. Con il terzo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 907 c.c. e l'omesso esame di un fatto decisivo, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha completamente omesso di considerare le doglianze che gli stessi avevano sollevato in ordine al fatto che la costruzione realizzata dalla società convenuta, edificata ad una distanza non sufficiente rispetto alla luce presente e minuziosamente descritta in perizia, abbia precluso, in violazione della norma dell'art. 907 c.c., l'esercizio del loro diritto di veduta.
8. Il motivo è inammissibile. I ricorrenti, infatti, lamentano, in sostanza, l'omessa pronuncia, da parte della corte d'appello, su un motivo d'appello. La censura che hanno formulato, tuttavia, difetta della necessaria specificità, non avendo ricorrenti riprodotto in ricorso, con la necessaria specificità, il motivo di gravame sul quale sarebbe stata omessa ogni pronuncia, ottemperando a quanto previsto dagli artt. 366 n. 6 c.p.c.. E' stato, infatti, ritenuto "inammissibile, per violazione del criterio dell'autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano «nuove» e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte" (Cass. n. 17049 del 2015). Si tratta, peraltro, di un'esigenza che, come è stato osservato, "non è giustificata da finalità sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attività d'esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge" ma che "risulta, piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilità della redazione dell'atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell'individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura" (così, in motivazione, Cass. n. 82 del 2012).
9. Con il primo motivo di ricorso incidentale, la controricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 873 c.c., in relazione all'art. 16 del regolamento urbanistico del Comune, l'errata interpretazione ed applicazione dell'art. 16 del regolamento edilizio allegato al programma di fabbricazione previgente nel Comune, e la violazione dell'art. 905 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha ritenuto che la balconata realizzata dalla società convenuta doveva essere considerata, ai fini del calcolo delle distanze, come una costruzione sul rilievo che, per la sua struttura ed estensione, la stessa rappresenta una estensione del fabbricato, ed ha, pertanto, confermato la sentenza con la quale il tribunale, in accoglimento della domanda proposta dagli attori, ne aveva disposto l'arretramento alla distanza di cinque metri dal confine, senza, tuttavia, considerare che, come lamentato dalla società nell'atto d'appello, la normativa comunale in vigore esclude che ai fini delle distanze dai confini possano rilevare i balconi che non sono idonei ad ampliare gli spazi e le superfici abitabili del fabbricato e che, pertanto, la balconata realizzata dalla stessa, sporgente dal filo del muro dell'edificio per 1,18 m., come accertato dal consulente tecnico d'ufficio, non costituisce una costruzione e non può essere, quindi, calcolata ai fini del calcolo delle distanze dal confine.
10.1. Il motivo (escluso ogni rilievo alla eccepita inammissibilità della notifica del controricorso: l'irritualità della notificazione del controricorso in cassazione a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto, come nel caos in esame, il risultato della conoscenza dell'atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale: Cass. n. 31779 del 2021) è infondato. La corte d'appello, infatti, ha ritenuto che, a fronte dell'indeterminatezza del regolamento edilizio, che non contiene specifiche definizioni, il tribunale aveva correttamente qualificato la balconata realizzata dalla convenuta come una costruzione sul rilievo che, per la sua struttura ed estensione, rappresenta una estensione del fabbricato che ne impone la considerazione ai fini del calcolo delle distanze.
10.2. La corte, così facendo, si è attenuta al principio (più volte affermato da questa Corte) per cui, in tema di distanze legali fra edifici, non sono computabili le sporgenze esterne del fabbricato che abbiano funzione meramente artistica o ornamentale, mentre costituiscono corpo di fabbrica le sporgenze degli edifici aventi particolari proporzioni, come i balconi sostenuti da solette aggettanti, anche se scoperti, ove siano (come nella specie la corte d'appello ha inequivocamente accertato in fatto) di apprezzabile profondità e ampiezza, giacché, pur non corrispondendo a volumi abitativi coperti, rientrano nel concetto civilistico di costruzione, in quanto destinati ad estendere ed ampliare la consistenza dei fabbricati (Cass. n. 18282 del 2016; Cass. n. 17242 del 2010; di recente, Cass. n. 25191 del 2021).
10.3. Né può rilevare in senso contrario il fatto, dedotto dalla ricorrente incidentale, che la balconata in questione, alla luce della normativa regolamentare applicabile, deve ritenersi irrilevante ai fini del calcolo delle distanze, poiché, come detto, in tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell'art. 873 c.c., una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata. I regolamenti comunali, pertanto, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell'art. 873 c.c. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass. n. 23843 del 2018; Cass. n. 144 del 2016; Cass. n. 14530 del 2005).
11. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la controricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l'illogicità, la motivazione apparente e il contrasto tra affermazioni inconciliabili e la violazione degli artt. 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d'appello ha disposto la compensazione delle spese processuali del primo e del secondo grado.
12. Il motivo è assorbito.
13. Il ricorso principale dev'essere, quindi, accolto, nei limiti esposti, e, per il resto rigettato, al pari del primo motivo del ricorso incidentale.
14. La sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, dev'essere, quindi, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d'appello di Milano che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il secondo motivo del ricorso principale, respinti gli altri, al pari del primo motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo di quest'ultimo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d'appello di Milano che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.