Come prevede anche il CDF, la difesa congiunta comporta un dovere del difensore di consultare il codifensore su ogni scelta processuale, come la partecipazione all'udienza del giudizio di impugnazione, anche se camerale, allo scopo di condividere la strategia processuale.
Con il ricorso in esame, il ricorrente lamenta la mancata notifica al difensore del decreto di citazione in giudizio di primo grado poiché effettuata in favore di un avvocato omonimo, eccezione che era stata fatta valere in appello, visto che del processo di primo grado egli era venuto a conoscenza solo attraverso la notifica della fissazione del processo di secondo grado...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 6 dicembre 2021 confermava la sentenza del tribunale di Napoli del 10 dicembre 2019, con la quale F. R. era stato condannato in relazione ai reati di cui ai capi a), b), c) ed).
2. Avverso la pronuncia sopra indicata della Corte di appello, propone ricorso F. R. mediante il proprio difensore, deducendo quattro motivi di impugnazione.
3. Rappresenta il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen., in relazione alla mancata notifica al difensore del decreto di citazione in giudizio di primo grado, siccome effettuata in favore di un avvocato omonimo. Mancata notifica eccepita all'udienza di appello del 30 settembre 2021, atteso che del processo di primo grado si aveva contezza solo con la notifica della fissazione del processo di appello a seguito di impugnazione proposta dal difensore d'ufficio. Si aggiunge che, a fronte della mancata partecipazione al giudizio anche da parte del secondo avvocato di fiducia nominato, e previamente avvisato, il difensore di ufficio non avrebbe potuto avere contezza della esistenza del caso di omonimia, così da poter eccepire la irregolarità della notifica. E si contesta quindi, come illogica e in violazione di legge, la decisione della corte di appello circa la mancata tempestiva eccezione della questione da parte del difensore di ufficio a fronte di un caso di nullità a regime intermedio, trattandosi di decisione che esige conoscenze impossibili in capo al difensore di ufficio del caso concreto, quali quelle inerenti i dati reali dell'effettivo titolare del mandato difensivo fiduciario.
4. Con il secondo motivo, rappresenta il vizio di mancanza e illogicità della motivazione, atteso che la sentenza impugnata, limitandosi ad un richiamo per relationem della prima non conterrebbe l'esame delle censure difensive, e considerato altresì che la struttura contestata come abusiva non sarebbe contra legem, in quanto mirava ad assicurare una copertura per proteggere l'utenza del locale dagli agenti atmosferici. Il carattere retrattile della tenda non permetterebbe la creazione di uno spazio chiuso, stabilmente configurato. Tale censura assorbirebbe anche i reati di cui ai capi b) e c), siccome attengono a condotte connesse alla relativa realizzazione dell'opera.
5. Con il terzo motivo deduce l'intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi a) e b), a fronte del momento di consumazione corrispondente al 31 gennaio 2017 a seguito del sequestro dell'area. Con maturazione della prescrizione all'8 aprile del 2022. E tenuto conto di un periodo di sospensione dal 30 settembre 2021 al 6 dicembre 2021.
6. Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in relazione agli artt. 62 bis cod. pen., 81 cpv. e 133 cod. pen. A fronte degli argomenti proposti dalla difesa per il contenimento del trattamento sanzionatorio, la corte di appello si sarebbe limitata a riportarsi agli argomenti dedotti dal primo giudice, con motivazione pertanto mancante ed illogica, nel punto in cui ritiene le conclusioni difensive svolte in udienza come ulteriori e fuori termine rispetto al motivo ilio tempore presentato.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo è inammissibile. È condivisibile la scelta della corte di appello circa l'intempestiva proposizione della eccezione presentata in secondo grado, a fronte di un caso di nullità a regime intermedio, come tale sanata in ragione della mancata eccezione dell'omessa notifica da parte del difensore di ufficio presente in giudizio, a fronte della intervenuta corretta notifica del decreto di citazione al secondo difensore di fiducia, anche egli non comparso. Come riconosciuto dalla Suprema Corte (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, dep. 01/06/2011, Rv. 249651) "... i due difensori costituiscono un unico soggetto processuale e cioè il "difensore" di cui al Titolo 7^ del Libro 1^ c.p.p., che si contrappone in tale unità agli altri e segnatamente al pubblico ministero. Pertanto, allorché l'avviso sia stato dato ad uno dei due difensori di fiducia nominati, questi, anche se non compaia in udienza (sostituito o meno, a seconda dei procedimenti, da un difensore di ufficio) formalmente è come se fosse presente: in conseguenza non si potrà parlare di "assenza" della difesa (la sola che darebbe luogo a nullità insanabile ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 179 cod. proc. pen.) per il mancato avviso all'altro difensore, ma deve ritenersi sussistente una nullità di ordine generale a cosiddetto regime intermedio di cui all'art. 180 cod. proc. pen. La nullità a regime intermedio, derivante dall'omesso avviso dell'udienza ad uno dei due difensori dell'imputato, è sanata dalla mancata proposizione della relativa eccezione ad opera dell'altro difensore comparso, pur quando l'imputato non sia presente, ovvero anche del difensore nominato d'ufficio in sostituzione di quello di fiducia regolarmente avvisato e non comparso, il quale ha l'onere di verificare se sia stato avvisato anche l'altro difensore di fiducia ed il motivo della sua mancata comparizione, eventualmente interpellando il giudice. Questa Corte ha in proposito già precisato (Sez. 2, Sentenza n. 28563 del 12/06/2015 Rv. 264142 - 01) che difesa tecnica significa collegialità dei due difensori di fiducia, con la conseguenza che anche un solo difensore, tra due di fiducia dell'imputato o un sostituto dello stesso difensore, è sufficiente per costituire la "parte" di cui all'art. 182 c.p.p., comma 2. Sussiste un dovere di leale collaborazione del difensore al regolare svolgimento del procedimento, muovendo anche dal presupposto di vincoli di solidarietà fra i codifensori (Sez. 6, n. 1671 del 06/05/1998; Sez. 4, n. 37471 del 09/07/2003, Massari). La giurisprudenza di questa Suprema Corte ha già avuto modo di affermare che tra i difensori non deve mancare quel reciproco obbligo di comunicazione che è aspetto tipico e istituzionale della cooperazione nell'esercizio della difesa (Sez. 4, n. 44551 del 18/09/2009, Rv. 245502; Sez. 2, n. 44363 del 26/11/2010, in motivazione). Anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha avuto modo di occuparsi del necessario rapporto informativo che deve intercorrere all'interno della posizione difensiva (il caso riguarda i rapporti tra l'imputato e il suo difensore, ma, a maggior ragione, deve ritenersi applicabile analogo principio per quanto riguarda il rapporto tra difensori). Essa pone a carico del difensore uno specifico onere informativo, deplora la mancanza di comunicazione, nel caso esaminato, tra l'imputato e i suoi avvocati, e conclude che "non si può tuttavia imputare ad uno Stato la responsabilità di tutte le lacune di un avvocato" (Grande Camera, 18/10/2006, Hermi contro Italia; nonché 28/02/2008, Demebukov contro Bulgaria). E' stato opportunamente rilevato da questa Corte (Sez. 2, n. 28563 del 12/06/2015 Rv. 264142 - 01) che anche il codice deontologico forense (art. 48 comma 6) prevede, nel caso di difesa congiunta, il dovere del difensore di consultare il codifensore "in ordine ad ogni scelta processuale", quale è certamente la partecipazione all'udienza del giudizio di impugnazione, anche se camerale, "al fine della effettiva condivisione della strategia processuale". L'esistenza di un collegamento informativo tra difensori costituenti la medesima "parte" deve essere apprezzata con riferimento anche a dati normativi di natura deontologica, che caratterizzano l'esercizio della professione forense (Sez. 6, n. 66 del 2/12/2009, dep. 07/01/2010, Sez. 6, n.21454 del 23/02/2010). L'approccio deontologico nella interpretazione delle norme processuali assume un particolare rilievo nella dimensione di un processo accusatorio; esso riguarda tutti i soggetti processuali e, per quanto concerne il ruolo del difensore, si concentra soprattutto nel dovere di lealtà, anche sancito in una norma di diritto processuale (art. 105 c.p.p., comma 4). Se il processo penale è contraddistinto dalla dialettica delle parti (art. 111 Cost., commi 1 e 2), la lealtà del difensore diventa un canone di regolarità della giurisdizione. Il dovere di lealtà implica, tra l'altro, che una norma processuale non possa essere utilizzata, e, quindi, anche interpretata, per raggiungere finalità diverse da quelle per le quali è stata dettata, con il risultato non solo di tutelare interessi non meritevoli di protezione, ma anche di ledere interessi costituzionalmente protetti. La stessa Corte costituzionale ha avuto modo di utilizzare il bene costituzionale dell'efficienza del processo quale parametro per censurare la razionalità di norme processuali che consentivano il perseguimento di intenti dilatori (sentenze n. 353 del 1996 e n. 10 del 1997). La lealtà non implica collaborazione con l'autorità giudiziaria per il raggiungimento di uno scopo comune, ma certamente comporta che anche l'attività della difesa debba convergere verso la finalità di un processo di ragionevole durata, poiché si tratta di un risultato il cui perseguimento deve essere a carico di tutti i soggetti processuali, una volta rispettate le insopprimibili garanzie difensive, le quali perdono il loro connotato di garanzie se sono interpretate in modo distorto rispetto alla loro essenza ... ".
2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato. Va premesso che la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) l'atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l'esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell'organo della valutazione o dell'impugnazione (cfr. da ultimo Sez. 2 - n. 55199 del 29/05/2018 Rv. 274252 - 01.). I predetti requisiti appaiono rispettati nel caso in esame, in cui la corte ha richiamato gli argomenti sviluppati nella prima sentenza mostrando di averli valutati e quindi condivisi, posto che essa ha specificamente anche precisato, con riferimento alla contravvenzione edilizia, che l'opera, per le considerevoli dimensioni e le caratteristiche costruttive - trattandosi di una rilevante struttura in alluminio ancorata al suolo e coperta da teloni - richiede il permesso di costruire a fronte di una stabile presenza sul suolo e di un notevole incremento volumetrico. Non manca, invero, a conferma della assenza di un mero pedissequo quanto acritico rinvio ad argomentazioni altrui, anche una puntuale considerazione della assenza di ogni carattere precario della struttura nonché la specifica considerazione della non pertinenza di un precedente giurisprudenziale ammnistrativo siccome inerente - secondo i giudici - ad una tettoia, assieme alla rilevazione esplicita di una continuativa occupazione del suolo pubblico, con mutamento dello stato dei luoghi e intervenuta violazione di sigilli.
E' peraltro corretta la considerazione della abusività dell'opera per come contestata, quale struttura verticale sorretta e delimitata da elementi in alluminio, alla luce dei rilievi sopra sintetizzati, trattandosi di intervento che appare riconducibile alla previsione di cui all'art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380 del 2001, quale nuova costruzione esplicantesi in un manufatto edilizio fuori terra, per la quale ciò che rileva in maniera determinante è l'alterazione stabile dello spazio, laddove poi, il volume costituisce misura già di per sé definibile con riferimento all'area delimitata dalla struttura verticale, a prescindere dalla presenza o meno di teli o ulteriori elementi di chiusura.
3. Quanto al terzo motivo, inerente l'intervenuta maturazione della prescrizione all' 8 aprile del 2022, esso conferma la correttezza della decisione, in assenza di prescrizione al momento della pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta il 6 dicembre 2021, mentre l'inammissibilità del presente ricorso con assenza della instaurazione di un regolare rapporto processuale impedisce a questa Corte di rilevare d'ufficio la prescrizione determinatasi medio termine, nelle more della proposizione del presente atto di impugnazione.
4. Riguardo al quarto motivo, esso è manifestamente infondato: a fronte di una richiesta, avanzata in sede di conclusioni, di contenimento della pena nel minimo edittale, accompagnata da richiesta di concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione e di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena, e per la quale altresì non emerge la proposizione in quella sede di specifiche deduzioni giustificative di quanto domandato, prospettazioni invero solo asseritamente illustrate in ricorso come formulate in appello, la decisione della corte, che rinvia alle argomentazioni del primo giudice, articolate nonché riferite ad una pena complessiva alquanto contenuta, nel quadro della continuazione, appare del tutto corretta. In particolare, il motivo in esame appare del tutto destituito di fondamento con riferimento alla concessione delle attenuanti generiche, che risultano già applicate, peraltro nella massima estensione, dal primo giudice, come del resto con riguardo anche al beneficio della sospensione condizionale della pena, anche esso applicato. Quanto al rilievo della corte, della rilevanza della mancata proposizione di apposito motivo di gravame finalizzato ad una rimodulazione della pena finale, circostanza invero non espressamente confutata dal ricorrente, esso appare corretto, atteso che in mancanza di uno specifico motivo (come tale non surrogabile in punto di trattamento sanzionatorio con richieste di tale tipo in sede di conclusioni), il giudice d'appello non può procedere d'ufficio alla riduzione della pena, anche perchè la facoltà riconosciutagli dal quinto comma dell'art. 597 cod. proc. pen. è circoscritta all'applicazione di ufficio dei benefici e delle attenuanti ivi indicate (dr. Sez. 6, n. 7994 del 17/06/2014 (dep. 23/02/2015 Rv. 262455 - 01).
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.