Nel caso di pronuncia parziale di divorzio sullo status, con prosecuzione del giudizio al fine di attribuire l'assegno divorzile, il decesso del coniuge in corso di causa non ne comporta la declaratoria di improseguibilità, ma la prosecuzione nei confronti degli eredi per giungere all'accertamento della debenza dell'assegno dovuto sino al momento del decesso.
Con sentenza parziale, il Tribunale pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi, rimettendo con separata ordinanza la causa in istruttoria per l'assegno di divorzio. Sopraggiunta la morte del marito, la causa veniva interrotta e poi riassunta dalla moglie nei confronti degli eredi dell'ex coniuge divorziato, i...
Svolgimento del processo
Con sentenza parziale del 4 settembre 2013, il Tribunale di Macerata ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi B.S. e B.L., rimettendo, con separata ordinanza, la causa in istruttoria, al fine dell'accertamento del diritto a percepire l'assegno divorzile a carico di uno degli stessi; quindi, a se´guito del decesso del marito, nel corso del giudizio, in data 13 aprile 2014, con ordinanza dell' 8 maggio 2015 è stata dichiarata l'interruzione del processo, riassunto poi dalla ex moglie B. nei confronti degli «eredi» dell’ex coniuge divorziato, i figli e la sua seconda moglie, V.S., al fine di ottenere, oltre al pagamento dei ratei di assegno divorzile già maturati, una pronuncia di accertamento della debenza e quantificazione dell’assegno divorzile, anche strumentale all’accertamento della quota di pensione di reversibilità ex art.9 l.898/1970 .
Con sentenza del 26 giugno 2017, il Tribunale di Macerata ha accertato post mortem il diritto della ex moglie B. a percepire un assegno divorzile (€ 309,00 mensili) sino al decesso dell'ex coniuge.
La Corte d'appello di Ancona, adi`ta dalle parti soccombenti (gli eredi del de cuius B.), solo sulla decisione definitiva concernente l'assegno, con sentenza del 23 marzo 2018, n. 390, ha respinto l'impugnazione. La Corte territoriale ha ritenuto che l'atto di appello, proposto dagli eredi del marito, avesse omesso di censurare la mancata declaratoria di cessazione della materia del contendere e l'argomentazione del primo giudice, secondo cui il decesso di un coniuge non impedisce l'accertamento della debenza dell'assegno divorzile a quell'epoca, limitandosi il motivo di appello a sostenere la novita` della domanda, asseritamente proposta con l'atto di riassunzione di controparte, volta ad ottenere l'affermazione della spettanza dell'assegno divorzile strumentalmente all'ottenimento di una quota della pensione di reversibilita`, ai sensi dell'art. 9 I. 10 dicembre 1970, n. 898. Al contrario, La Corte d’appello ha ritenuto che la domanda, proposta con l'atto di riassunzione dalla ex moglie contro gli eredi dell'ex coniuge, fosse diretta solo all'accertamento della debenza dell'assegno divorzile (ovvero alla conferma della spettanza dell’assegno divorzile, gia` chiesta nei confronti del coniuge poi deceduto), limitatamente al periodo dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio a quella del decesso del coniuge obbligato, e che, quindi, tale domanda non fosse nuova, ma ammissibile, laddove tale non sarebbe stata solo quella, non proposta, di ottenere, dagli eredi, un contributo al mantenimento per il periodo successivo al decesso (non essendo la relativa obbligazione trasmissibile agli eredi). Nel merito, la Corte territoriale ha affermato la sussistenza dei presupposti per l'assegno divorzile, rilevando che la B. risulta priva di adeguati mezzi (percependo la stessa il solo assegno sociale INPS dell’importo di € 400,00 mensili), sia obiettivamente in situazione di estrema difficoltà di procurarsi ulteriori redditi in considerazione della sua età e quindi non sia autosufficiente economicamente, mentre il B. era titolare di un immobile, poteva contare su disponibilità derivanti dal precedente svolgimento di attività lavorativa, percepiva una pensione lorda di € 777,83, nel 2012.
Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione, fondato su cinque motivi, notificato il 9/7/2018, nei confronti di B.S. e degli eredi di B.L., B. A., B. N. e B. S. (che non svolgono difese).
Pervenuta alla Prima Sezione civile, con ordinanza interlocutoria del 29 ottobre 2021, n. 30750, la causa e` stata rimessa al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite. Il Procuratore Generale ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
Le Sezioni Unite si sono quindi pronunciate con sentenza n. 20494/22, respingendo i primi due motivi di gravame, enunciando il principio di diritto sulla questione posta con gli stessi e con l’ordinanza interlocutoria citata, rimettendo alla Sezione prima civile la decisione con riguardo ai rimanenti motivi di ricorso.
La ricorrente S. ha depositato ulteriore memoria.
Motivi della decisione
1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, a violazione o la falsa applicazione degli artt. 81, 300 e 303 cod. proc. civ., 5, comma 6, e 9-bis I. 10dicembre 1970, n. 898, in quanto il decesso del coniuge aveva determinato la cessazione della materia del contendere sin da tale evento, con riguardo a tutte le domande svolte dalla ex moglie: il giudizio non poteva, infatti, essere definito nel merito, in ragione del decesso in corso di causa dell'eventuale obbligato e della intrasmissibilita` dell'obbligo agli eredi. Inoltre, il de cuius non aveva nessun debito verso la ex moglie, dal momento che questa riceveva l'assegno mensile direttamente a carico dell'Inps: onde la causa attiene non a debiti maturati e non pagati, ma alla domanda dell'assegno di mantenimento solo quale strumentale all'ottenimento della pensione di reversibilita`. La sentenza impugnata sarebbe dunque abnorme, in quanto, invece di dichiarare cessata la materia del contendere, ha disposto post mortem la debenza a carico del marito di un assegno di mantenimento, in una causa di riassunzione in cui le parti sono gli eredi, i quali, tuttavia, non ereditano affatto l'obbligo di mantenimento, mai disposto dal giudice con la sua sentenza.
Con il secondo motivo, si deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 183, 303 cod. proc. civ. e 5, comma 6, 9-bis I. n. 898 del 1970, in quanto la domanda proposta con il ricorso in riassunzione era nuova, essendo volta ad ottenere l'accertamento della debenza di un assegno divorzile al solo scopo di acquisire la pensione di reversibilita`: in tal caso, la natura della domanda sarebbe mutata, mirando essa ad ottenere un bene della vita del tutto diverso da quello oggetto dell'originaria domanda verso l'ex coniuge. Posto che la finalita` della domanda si concreta in un petitum diverso, cio` la rende nuova ed inammissibile nell'atto di riassunzione, trattandosi di un'azione di mero accertamento circa l'astratta debenza dell'assegno, a quel dichiarato fine: laddove la domanda originaria era di condanna al mantenimento, al fine di costituire i mezzi adeguati alla stessa condizione di vita goduta durante il matrimonio. Avrebbe errato, dunque, la corte territoriale a negare la novita` della domanda, per il solo fatto che la domanda era volta al mantenimento non per il periodo successivo, ma per quello anteriore al decesso: tale pretesa non avrebbe potuto comunque rivolgersi agli eredi, non essendo piu` in vita l'unico legittimato passivo titolare dell'obbligo.
Con il terzo motivo, si deduce poi la violazione o la falsa applicazione delle regole sull'onere della prova, quanto all'accertamento dello stato di bisogno previsto dall'art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1970, onere che grava sul richiedente l'assegno divorzile. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta ancora la violazione o la falsa applicazione dell'art. 5, comma 6, I. n. 898 del 1970, avendo la corte territoriale omesso ogni giudizio comparativo tra le posizioni economiche e patrimoniali degli ex coniugi. Con il quinto motivo, si censura l'omesso esame di fatto decisivo, consistente nel mancato esame dei documenti prodotti con la memoria depositata nel corso del primo grado di giudizio, concernenti lo stato di salute del marito.
2. Nel respingere i primi due motivi di ricorso, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 20494/22, hanno enunciato il seguente principio di diritto:
«Nel caso di pronuncia parziale di divorzio sullo status, con prosecuzione del giudizio al fine dell'attribuzione dell'assegno divorzile, il venir meno di un coniuge nel corso del medesimo non ne comporta la declaratoria di improseguibilita`, ma il giudizio puo` proseguire nei confronti degli eredi, per giungere all'accertamento della debenza dell'assegno dovuto sino al momento del decesso».
La soluzione optata dalle Sezioni Unite trova fondamento anche processuale, potendosi la domanda sull'assegno ritenersi scindibile e quindi autonoma rispetto a quella sullo status: il decesso, pur implicando l'estinzione dello status coniugale, comporta una limitata ultrattività dell'obbligo di versamento dell'assegno, connessa anche alla definitività della sentenza sullo status da cui trae origine.
Nel caso, che qui interessa, in cui la morte intervenga nel corso del procedimento di divorzio, proseguito, a seguito di pronuncia sullo status, in punto di spettanza o meno dell'assegno divorzile, il subentro degli eredi dell'ex coniuge deceduto opera sia sul piano sostanziale che processuale: il credito sarà quello maturato nell'arco temporale compreso tra la data del passaggio in giudicato del provvedimento (sentenza sullo status o diversa decorrenza stabilita) sino al decesso dell'ex coniuge e gli eredi sono portatori di diritti e interesse ad agire, poiché, in caso di revoca o modifica dell'assegno, essi subentrerebbero anche nell'azione di ripetizione di indebito, ex art. 2033 c.c., per la restituzione delle somme non dovute; vi è poi l'interesse dell'avente diritto all'assegno a proseguire il processo, trattandosi di un diritto soggettivo la cui tutela verrebbe altrimenti violata se, anche dopo la sentenza parziale di divorzio, non possa essere invocata contro gli eredi, nuovi legittimati passivi.
3. I restanti motivi di ricorso sono inammissibili.
La ricorrente, lamentando, con il terzo motivo, che l’onere di provare la mancanza di mezzi adeguati ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile spettava alla ex moglie, deduce che la sola percezione di pensione sociale non può integrare la prova richiesta ma semmai il contrario. Assume la ricorrente, con il quarto motivo, che sarebbe mancata una corretta valutazione comparativa della situazione economica e reddituale degli ex coniugi, considerato che il de cuius B. disponeva di un reddito da pensione di € 700,00 mensili ed aveva la proprietà di soli due immobili (uno, ereditato, destinato a sua residenza ed altro, di proprietà dei figli, adibito a residenza della S., seconda moglie del B.) improduttivi di reddito. Infine, con il quinto motivo si sostiene che sarebbe stato omesso l’esame (oggetto di motivo di appello) di documentazione medica prodotta attestante che il B., a causa di diverse patologie, doveva sostenere maggiori spese, mentre la Corte di merito aveva motivato solo sullo stato di malattia della B..
Ora, alcuna violazione del riparto dell’onere probatorio emerge dalla sentenza impugnata, che ha proceduto, nell’esame del merito della vicenda ed al vaglio completo della situazione reddituale degli ex coniugi quale emergente dall’istruttoria espletata in primo grado .
La Corte d’appello ha compiuto una corretta valutazione dei presupposti dell’assegno divorzile, non piu` parametrato come quello di mantenimento in sede di separazione al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, valorizzando, ai fini del riconoscimento dell’assegno alla B., considerata l’inadeguatezza dei suoi redditi, la sua funzione assistenziale.
Non vi e` stata alcuna violazione dell’art.5, comma 6, L.898/1970, quale interpretato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, che ne ha chiarito il contenuto, con riferimento ai dati normativi già esistenti.
Ne´ ricorre l’omesso esame lamentato di fatti decisivi, avendo la Corte d’appello esposto le varie ed esaustive ragioni per le quali riteneva adeguata la conferma in € 309,00 dell’assegno divorzile dovuto alla B. fino al decesso del B.. Quanto alla documentazione medica relativa alle spese sostenute dal de cuius a causa delle sue condizioni di salute la doglianza, assolutamente generica, non consente a questa Corte di apprezzarne la necessaria decisività ai sensi dell’art.360 n. 5 c.p.c..
Con il vizio motivazionale, in realtà, ci si limita a criticare l'apprezzamento delle risultanze processuali operato dal giudice di merito, contrapponendo a tale apprezzamento quello ritenuto piu` corretto dalla parte e sviluppando argomenti di mero fatto che non possono essere scrutinati in sede di legittimità.
4. Per tutto quanto sopra esposto, vanno respinti anche i motivi terzo, quarto e quinto del ricorso, con statuizione conseguente di rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti per la metà, essendosi pronunciate, nel corso del presente giudizio, le Sezioni Unite sulla questione posta dai primi due motivi del ricorso, e poste a carico della soccombente, come liquidate in dispositivo, per la restante parte.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; compensa tra le parti, per la metà, le spese del presente giudizio di legittimità e condanna la ricorrente al rimborso della restante parte di spese, liquidate in complessivi € 2.000,00, a titolo di compensi, oltre € 100,00 per esborsi, nonché al forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, da` atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.