Risposta affermativa dalla Cassazione, la quale richiama nella sentenza in commento l'art. 17 TUIR.
La contribuente riceveva un assegno di divorzio periodico a carico dell'ex marito, il cui importo era stato revisionato a seguito di un'azione giudiziaria. Proponeva inoltre azione di condanna per ottenere il pagamento di quanto rivalutato su ordine del giudice.
Successivamente, la contribuente ne richiedeva la tassazione separata e il rimborso di quanto versato in eccesso, e impugnava il rigetto dall'Agenzia delle Entrate sulla motivazione riguardante la «percezione in unica soluzione dalla differenza di quanto spettante in via definitiva e quanto percepito come assegno periodico in via provvisoria, cui affermava l'applicazione del regime fiscale previsto per gli assegni divorzili periodici».
Il Collegio del gravame riteneva che quanto ottenuto non fosse una somma una tantum, ma il versamento in unica soluzione di importi arretrati e per questo assoggetti a Irpef se pagati alla naturale scadenza. Dall'altra parte il Collegio di seconde cure riteneva che l'art. 17 D.Lgs. n. 917/1986 non menzionava espressamente questa tipologia, ma conteneva un riferimento generico ai compensi arretrati, richiamando anche le ipotesi dell'art. 47 (ora art. 50) ove sono assimilati ai redditi da lavoro dipendente anche gli assegni periodici previsti all'art. 10 sugli oneri deducibili, facendo rientrare anche gli assegni di mantenimento del coniuge (non dei figli) conseguente della separazione.
Svolgimento del processo
La contribuente è persona divorziata con assegno periodico a carico dell’ex coniuge. A seguito di azione giudiziaria, otteneva la revisione dell’importo ed esperiva azione di condanna per ottenere il pagamento di quanto rivalutato su ordine del giudice, donde percepiva in unica soluzione la rivalutazione degli arretrati, esponendone la somma nella dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2008, periodo di effettivo incasso. A seguire, non di meno, ne richiedeva la tassazione separata ed il rimborso di quanto in eccesso versato, impugnandone il rigetto oppostole dall’Agenzia delle entrate sulla motivazione trattarsi di percezione in unica soluzione della differenza fra quanto spettante in via definitiva e quanto percepito come assegno periodico in via provvisoria, cui affermava l’applicazione del regime fiscale previsto per gli assegni divorzili periodici.
Il ricorso di primo grado esitava in sentenza di rigetto, parzialmente riformata in appello, ove il collegio del gravame da un lato riteneva che quanto percepito non fosse somma una tantum, ma versamento in unica soluzione di importi arretrati, che sarebbero stati assoggettati a Irpef se pagati alla naturale scadenza. Per contro, poiché la somma riguarda un assegno divorzile riferito a differenze su annualità precedenti, come rideterminato per ordine del giudice, il collegio di seconde cure rilevava che l’art. 17 d.lgs. n. 917/1986 non facesse espressa menzione di una tale tipologia, ma contenesse generico riferimento agli emolumenti arretrati, richiamando anche le ipotesi dell’art. 47 (ora art. 50) ove sono assimilati ai redditi da lavoro dipendente anche gli assegni periodici di cui all’art. 10 sugli oneri deducibili, ove si trovano anche gli assegni di mantenimento del coniuge (non dei figli) in conseguenza di separazione legale, di fatto o divorzio, nella misura in cui risultano dell’autorità giudiziaria.
Avverso questa sentenza ricorre l’Avvocatura generale dello Stato affidandosi ad unico motivo di ricorso, cui replica con tempestivo controricorso la parte contribuente.
In prossimità dell’adunanza la parte privata ha depositato memoria a sostegno delle proprie ragioni.
Motivi della decisione
Viene proposto unico mezzo di impugnazione.
Con l’unico motivo si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 17, primo comma, lett. b), dell’art. 50, primo comma, dell’art. 10, primo comma, lett. c) del d.lgs. n. 917/1986, nella sostanza negando trattarsi di somma una tantum, ma altresì protestando che potesse essere equiparata a compenso o indennità ai fini della tassazione separata.
Il collegio d’appello ha correttamente riconosciuto non fosse il versamento in unica soluzione per assolvere e liquidare l’onere di mantenimento, bensì il versamento in unica soluzione di arretrati sui predetti assegni periodici, dovuti a seguito di rivalutazione disposta per ordine del giudice. Ha poi valorizzato la circostanza per la quale, se anche l’art. 17 TUIR non tratta degli arretrati divorzili versati in unica soluzione, non di meno viene fatto rinvio all’art. 47 (ora 50) del medesimo testo che, a sua volta, richiama l’art. 10, dove sono finalmente indicati in modo espresso gli assegni periodici corrisposti dal coniuge nella misura fissata per ordine del giudice, tale essendo la fattispecie in esame ove in unica soluzione sono state versate le somme (divenute) arretrate in forza di provvedimento giudiziario che ha fissato in misura definitiva l’assegno di mantenimento.
In altri termini, l’art. 17 prevede la tassazione separata per gli emolumenti arretrati riferibili ad anni precedenti, percepiti per sentenze, accordi collettivi o altri fatti estranei alla volontà delle parti, in questo modo escludendo la possibilità di scegliere l’anno di imposta dove far tassare i proventi; a tali proventi da lavoro dipendente sono assimilati anche le somme qualificate dall’art. 10 come oneri deducibili, ove sono infine espressamente individuati gli assegni di mantenimento del coniuge (non dei figli) fissati dal giudice a seguito di provvedimento di separazione o scioglimento del matrimonio. Ne consegue la corretta applicazione della tassazione separata all’assegno de quo.
In conclusione, il motivo è infondato ed il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 - quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese di lite del presente giudizio di legittimità a favore della parte contribuente, che liquida in €.7800,00, oltre ad €.200,00 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15 per cento, Iva e c.p.a. come per legge.