Per la Cassazione, tale questione non può costituire oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 c.p.p. anche se l'interrogatorio è svolto in udienza di convalida ex art. 391 c.p.p..
In un giudizio avente ad oggetto l'applicazione della misura degli arresti domiciliari in relazione a fattispecie di detenzione di arma comune da sparo e ricettazione di quattro autocarri di provenienza delittuosa, l'indagato ricorre in Cassazione lamentando, tra i motivi di doglianza, che al difensore non era stato consentito, prima dello...
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Bari - sezione riesame misure cautelari - ha confermato l'ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Foggia in data 21 febbraio 2022 applicativa, a carico dell'odierno ricorrente, della misura degli arresti domiciliari in relazione a fattispecie di detenzione di arma comune da sparo e ricettazione di quattro autocarri di provenienza delittuosa.
2. Contro il predetto provvedimento, propone ricorso per cassazione l'indagato F.V., deducendo:
- con il primo motivo, violazione di legge e vizi di motivazione: lamenta che al difensore ritualmente officiato non sia stato consentito, prima dello svolgimento dell'interrogatorio di convalida, di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fondava la richiesta di convalida dell'intervenuto arresto in flagranza e di applicazione di misura cautelare coercitiva. Rappresenta, in particolare, che l'avviso di fissazione dell'udienza di convalida è stato comunicato a mezzo PEC al difensore nominato alle ore 15:46 di sabato 19 febbraio 2022 (l'udienza di convalida era stata fissato per lunedì 21 febbraio 2022, ore 9: 30), e che il difensore aveva trovato chiusa la cancelleria del GIP sia il sabato pomeriggio che la domenica. Successivamente, a fronte delle richieste inviate a mezzo PEC il lunedì successivo, immediatamente prima dell'inizio dell'udienza di convalida, il cancelliere competente ed il GIP avevano comunicato al difensore che non era possibile inviare alcuna copia, e non gli avevano diversamente consentito di estrarre copia od almeno prendere visione di alcuna documentazione. Ne deriverebbe la nullità di tutti gli atti successivi per violazione del diritto di difesa: tuttavia, a fronte di tali eccezioni, il Tribunale aveva osservato che la nullità dell'interrogatorio della convalida dell'arresto avrebbe dovuto formare oggetto di autonomo ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 391, comma 4, cod. proc. pen. "non potendo formare oggetto di riesame", in tal modo omettendo di pronunciarsi sull'istanza di nullità degli atti successivi per omesso, rituale interrogatorio nei termini di legge.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per effetto della lamentata inesistenza grafica della motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui avrebbe dovuto giustificare il prescritto divieto di comunicare telefonicamente o con altri mezzi con persone diverse da quelle che assistono l'indagato o convivono con lui. Peraltro, il pubblico ministero aveva chiesto la misura della custodia in carcere, e non anche l'applicato divieto di comunicare di cui al secondo comma dell'art. 284 cod. proc. pen.: ne conseguirebbe, a parere della difesa, un ulteriore profilo di nullità per difetto dell'istanza cautelare, trattandosi di prescrizione non applicabile l'ufficio.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per insussistenza della necessaria gravità indiziaria. Infatti, il fucile a pompa ritrovato dagli operanti era effettivamente di proprietà della madre del ricorrente medesimo, come del resto documentato in sede di riesame, tanto che si trovava in una cassaforte all'interno dell'azienda agricola di famiglia. Per altro verso, gli autocarri che si assumono ricettati risultavano parcheggiati nel medesimo luogo, ed il ricorrente si sarebbe limitato a custodirli ed a ricevere dai soggetti che se ne erano dichiarati proprietari la somma di 100 € ciascuno, ponendo in essere così una mera detenzione temporanea che impedirebbe di ipotizzare alcuna ricettazione. Non vi sarebbe poi motivazione alcuna in punto di dolo e non sarebbe indicato quale sarebbe il profitto del reato, avendo il Tribunale fatto riferimento a profili del tutto ipotetici ed illazioni.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla scelta della misura ed alla ritenuta sussistenza dellle esigenze cautelari, posto che il Tribunale del riesame avrebbe fatto riferimento ad una condotta di favoreggiamento non oggetto della contestazione: i fatti sarebbero stati erroneamente addebitati all'indagato ed il paventato pericolo di reiterazione risulterebbe del tutto sganciato da effettivi parametri di concretezza ed attualità, tanto più in riferimento ad un soggetto incensurato, e difettando la prova del profitto.
3. La trattazione del ricorso è avvenuta con le forme previste dall'art. 23, comma 8, del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
Motivi della decisione
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, e va, pertanto, rigettato.
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. Il ricorrente lamenta la nullità dell'interrogatorio di convalida, facendone conseguire la nullità dell'ordinanza coercitiva genetica, e chiedendo, pertanto, la caducazione della misura in atto, per omesso legittimo interrogatorio di garanzia nei termini di rito.
1.2. Il collegio è consapevole del fatto che, secondo un non recente orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 36212 del 30/09/2010,, G., in motivazione), non è consentito il motivo di ricorso avente ad oggetto l'inefficacia della misura coercitiva emessa all'esito dell'udienza di convalida dell'arresto in flagranza o del fermo per mancanza di valido interrogatorio, nei casi in cui il ricorrente non abbia impugnato l'ordinanza con la quale il giudice, disattendendo l'eccezione di nullità dell'interrogatorio, tempestivamente sollevata in sede di udienza di convalida, abbia ciononostante provveduto alla convalida dell'arresto o del fermo.
Accogliendo tale orientamento, l'odierno motivo - in difetto del previo ricorso dell'indagato contro la convalida dell'intervenuto arresto in flagranza - non sarebbe consentito.
1.2.1. L'orientamento non può, peraltro, essere condiviso.
1.2.2. Deve premettersi che, come già chiarito dalla giurisprudenza (Sez. 1, n. 49744 del 07/12/2022, Petrillo, Rv. 283840 - 02), con orientamento che il collegio condivide e ribadisce, in tema di giudizio di legittimità, il vincolo derivante dal principio di diritto affermato, ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, cod. proc. pen., dalle Sezioni Unite della Corte riguarda esclusivamente l'oggetto del contrasto interpretativo rimesso e non si estende ai temi accessori o esterni (costituenti, nel caso di specie, oggetto del citato precedente giurisprudenziale).
1.2.3. Ciò premesso, deve rilevarsi che, ai sensi dell'art. 302, comma 1, prima parte, cod. proc. pen., "la custodia cautelare disposta nel corso delle indagini preliminari perde immediatamente efficacia se il giudice non procede all'interrogaltorio entro il termine previsto dall'art. 294".
Questa chiara previsione, che attribuisce all'indagato sottoposto a cautela detentiva in carcere o domiciliare il diritto all'immediata rimessione in libertà in caso di omesso legittimi interrogatorio di garanzia nei termini di rito evidenzia l'improponibilità dell'assunto che, all'uopo, ove la misura de qua sia stata emessa c1ll'esito dell'udienza di convalida celebrata ex art. 391 cod. proc. pen., sarebbe necessario ottenere la caducazione del provvedimento di convalida della misura precautelare emessa, in ipotesi disposto ad onta del vizio sussistente.
In tali casi, infatti, l'interessato, lungi dal riacquistare immediatamente la libertà personale, come previsto dall'art. 302 cod. proc. pen., sarebbe costretto a patire il perdurare della custodia cautelare indebita:
- per tutto il corso del termine per l'impugnazione dell'ordinanza cli convalida;
- nelle more della trasmissione degli atti in Cassazione;
- nelle more della fissazione del procedimento;
- per tutto il corso del termine a comparire (pari a giorni trenta, ex art. 611 cod. proc. pen.) e fino alla conclusiva decisione.
Il tutto in evidente pregiudizio ex art. 13 Cost. dell'inviolabilità della libertà personale, sottoposta a restrizione fuori dai casi previsti dalla legge, ed anzi in violazione della norma di garanzia di cui all'art. 302 cod. proc. pen., nonché dei principi di ragionevolezza ed uguaglianza consacrati dall'art. 3 Cost., risultando l'avversato regime immotivatamente deteriore rispetto a quello previsto per l'indagato assoggettato a cautela in via ordinaria, ovvero fuori dai casi in cui la custodia cautelare venga disposta dopo l'applicazione di una misura precautelare convalidata.
1.3. Ritenuta l'ammissibilità della odierna doglianza, pur in difetto d'impugnazione del provvedimento di convalida ex art. 391 cod. proc. pen., si pone il problema ulteriore di valutare la deducibilità del vizio de quo, non attinente al momento genetico del titolo cautelare, ma sopravvenuto ad esso, in sede riesame ex art. 309 cod. proc. pen.
1.3.1. In argomento, una non recente decisione delle Sezioni Unite di questa Corte Suprema (Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, Galletto, Rv. 202015) ebbe modo di chiarire che, «poiché il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare, e non anche cli quelli incidenti sulla sua persistenza, non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti; ne consegue che esulano dall'ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 cod. proc. pen., le quali, inerendo a vicende del tutto avulse dall'ordinanza oggetto del gravame, si risolvono in vizi processuali che non ne intaccano l'intrinseca legittimità ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica che deve essere disposta, in un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 cod. proc. pen., suscettibile di appello ai sensi dell'art. 310 dello stesso codice».
1.3.2. Una successiva decisione (Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Mani, Rv. 205255), peraltro relativa a fattispecie diversa, precisò che «le cause che determinano la perdita di efficacia dell'ordinanza cautelare, secondo le previsioni contenute nel titolo primo del libro quarto del codice di procedura penale, non intaccando l'intrinseca legittimità del provvedimento ma agendo sul piano della persistenza della misura coercitiva, devono essere fatte valere avanti al giudice di merito in un procedimento distinto da quello di impugnazione, attraverso la richiesta di revoca contemplata dall'art. 306 cod. proc. pen.; tuttavia, allorché la questione di inefficacia sia stata proposta, insieme ad altre concernenti l'originaria legittimità del provvedimento, con il ricorso per cessazione, deve ritenersi attratta da questo e può quindi essere direttamente esaminata dal giudice di legittimità affinché non sia ritardata la decisione de libertate che si sarebbe dovuto richiedere in altra sede». In applicazione di detto principio, la Corte ritenne di poter esaminare - respingendola peraltro per motivi diversi - la questione concernente la perdita di efficacia della misura cautelare per inosservanza del termine di cui all'art. 309, nono comma, cod. proc. pen., prospettata nel ricorso insieme a varie censure di violazione di legge; ma precisò, altresì, che non ci sarebbe spazio per il dispiegarsi della descritta vis attractiva del ricorso proposto nel procedimento di impugnazione della misura ove, con esso, si denunciasse esclusivamente la sopravvenuta inefficacia del provvedimento coercitivo.
Richiamata la sentenza Galletto, le Sezioni Unite, con la sentenza Moni, osservarono, inoltre, che «Questi principi, scaturiti dall'esame di una fattispecie diversa - si discuteva, in allora, se il tribunale del riesame possa porsi il problema della perdita di efficacia della ordinanza del g.i.p. per non avere questi, in violazione delle norme degli articoli 294 e 302 c.p.p., proceduto all'interrogatorio della persona in stato di custodia nel termine di cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia - debbono essere ribaditi, con la puntualizzazione, però, mutuata da Cass. sez. I, 8 agosto 1995, Franco, sentenza, quest'ultima, che, In una fattispecie simile a quella oggetto dell'odierno ricorso, ha sottolineato la vis attractiva del ricorso per cessazione, quando, come nel caso in esame, oltre che l'inefficacia vengano prospettate questioni relative alla legittimità del provvedimento. Questa precisazione fa sì, tra l'altro, che, specialmente se l'assunto della perdita di efficacia del provvedimento è fondato, non si ritardi ulteriormente una decisione che si sarebbe dovuto richiedere in altra sede subito dopo l'intervento della ordinanza del tribunale. È del tutto ovvio, peraltro, che non vi sarebbe spazio per il dispiegarsi della vis attractiva ove, con il ricorso per cassazione, si denunciasse unicamente la perdita di efficacia del provvedimento». Si ritenne, pertanto, consentita la deduzione in sede di legittimità anche della tardività del provvedimento impugnato per violazione del termine di giorni dieci previsto dall'art. 309, comma 9, c.p.p., purché unitamente a censure direttamente inerenti all'ordinanza resa dail giudice del riesame ex art. 309 c.p.p.
1.3.3. Il principio è stato ribadito da Sez. U. n. 25 del 16/12/1998, dep.1999, Alagni, rv. 212072, in fattispecie nella quale la ricorrente, unitamente a censure inerenti all'ordinanza reiettiva della richiesta di riesame, lamentava la perdita di efficacia del provvedimento di custodia cautelare in carcere per effetto della mancata trasmissione al giudice del riesame di tutti gli atti di cui all'art. 291 cod. proc. pen. entro il termine di cui all'art. 309, comma 5, stesso codice.
1.3.4. Un successivo orientamento di questa Corte ha ritenuto di potere estendere il predetto principio anche ai vizi inerenti all'interrogatorio di garanzia, giungendo ad affermare che, in tema di misure cautelari personali, !',eccezione di nullità dell'interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen. e di conseguente perdita di efficacia della misura custodiale è proponibile solo avanti al giudice che ha adottato il provvedimento impositivo, e non dinanzi al Tribunale del riesame, fatta salva l'ipotesi in cui alla predetta censura si accompagnino ulteriori motivi di doglianza inerenti al contenuto dell'atto impugnato, o comunque volti a dedurre vizi genetici dello stesso (Sez. 6, n. 42308 del 29/10/2009, Mansueto, Rv. 245479; Sez. 6, n. 4683 del 10/11/2011, dep. 2012, Pispicia, Rv. 245848).
1.3.5. Altro successivo orientamento è rimasto, peraltro, fermo nel ritenere che nel procedimento di riesame non sono deducibili, né rilevabili d'ufficio, questioni di inefficacia della misura diverse da quelle concernenti l'inosservanza dei termini stabiliti dai commi quinto e nono dell'art. 309 cit. (Sez. 3, n. 16386 del 10/02/2010, Vidori ed altro, rv. 246768: fattispecie di dedotta inefficacia per nullità dell'interrogatorio di garanzia; Sez. 3, n. 809 del 17/02/2000, Demo, Rv. 216065; Sez. 2, n. 5428 del 13/11/2001, dep. 2002, Giuliani, Rv. 220998; Sez. 6, n. 29564 del 10/06/2003, Vinci, Rv. 226222; Sez. 6, n. 22448 del 08/05/2009, Patriarca, Rv. 244008).
1.3.6. Il contrasto resta vivo anche in seno della giurisprudenza più recente, pur se appare possibile enucleare un orientamento nettamente dominate ed uno altrettamento nettamente minoritario.
1.3.7. A parere dell'orientamento nettamente maggioritario (Sez. 2, n. 54267 del 12/10/2017, Rv. 271366 - 01; Sez. 2, n. 33775 del 04/05/2016, Rv. 267851 - 01; Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Rv. 266294 - 01; Sez. 2, n. 4817 del 23/10/2012, dep. 2013, Russo, Rv. 254447 - 01), nel procedimento di riesame non è deducibile, né rilevabile d'ufficio, la questione inerente all'inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato, sicché la stessa non può costituire oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen.: eventuali vizi della procedura che regola la fase dell'esame successivo all'emissione ed all'appllicazione del vincolo cautelare non attengono né alla legittimità del titolo cautelane, né a quella della procedura di riesame, la cui regolarità non può non essere valutata dal tribunale adito, in quanto l'interrogatorio di garanzia ha efficacia nel procedimento di riesame limitatamente alla rilevanza dei contenuti dichiarativi, che rappresentano "elementi sopravvenuti" dei quali è necessario l'apprezzamento.
La questione, operando sul diverso piano della persistenza della misura cautelare, ne determina l'estinzione automatica che deve esser disposta dal giudice per le indagini preliminari con ordinanza emessa ai sensi dell'art. 306 cod. proc:. pen., appellabile ex art. 310 cod. proc. pen.
1.3.8. Una decisione isolata (Sez. 6, n. 9573 del 13/11/2019, dep. 2020, Rv. 278623 - 01) ha, in senso contrario, ritenuto che il denegato accesso agli atti su cui si fonda la richiesta di convalida formulata dal pubblico ministero determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell'interrogatorio e del provvedimento di convalida, che deve essere eccepita nel corso della relativa udienza, ed, in applicazione del principio, ha annullato senza rinvio l'ordinanza di convalida e quella applicativa della misura cautelare, rilevando che il difensore aveva eccepito il denegato accesso agli atti del fascicolo prima dell'interrogatorio dell'arrestato.
Peraltro, argomentando in tal senso, sono stati travolti - senza alcuna apprezzabile giustificazione logico-giuridica - persino i diversi regimi d'impu 1nazione e le relative competenze funzionali previsti per i diversi provvedimenti interessati (l'ordinanza di convalida è ricorribile per cassazione; l'inefficacia della misura coercitiva emessa all'esito dell'udienza di convalida è deducibile dinanzi al tribunale del riesame ex artt. 309 e 310 cod. proc. pen.)
1.3.9. A parere del collegio, l'orientamento in atto maggioritario merita senza alcun dubbio condivisione perché, al contrario dell'altro, trova ineludibili conferma negli artt. 309, 302 e 306 cod. proc. pen.
1.3.10. Nel procedimento incidentale di riesame disciplinato dall'art. 309 cod. proc. pen.
- e nel successivo giudizio di Cassazione disciplinato dall'art. 311 cod. proc. pen. - non sono deducibili, né rilevabili di ufficio, in difetto di espressa previsione da parte del citato art. 309, questioni relative all'inefficacia della misura cautelare diverse da quelle concernenti l'inosservanza dei termini stabiliti dai commi 5 e 9 dello stesso articolo.
Soltanto quest'ultima, sanzionata dal successivo comma 10 con la automatica perdita di efficacia dell'ordinanza impositiva della misura cautelare, può a piena ragione essere dedotta in sede di riesame (nonché essere eventualmente rilevata, anche di ufficio, in Cessazione, a seguito del ricorso avverso l'ordinanza di riesame), poiché il giudice della procedura incidentale di impugnazione è, in quanto tale, non soltanto giudice della propria competenza, ma anche giudice della regolare instaurazioine del contraddittorio e della validità di ogni suo atto, e quindi del rispetto dei termini che la procedura incidentale deve rispettare; peraltro, detta inosservanza sarebbe rilevabile in base ad oggettivi, documentalmente verificabili, che non richiedono accertamenti incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità.
1.3.11. Per questa ragione, non appare possibile mutuare anche ai fini de quibus l'orientamento espresso dalla sentenza Moni.
Invero, la questione inerente all'inefficacia della misura coercitiva per la omissione o la nullità dell'interrogatorio di garanzia ex art. 294 cod. proc. pen., per trasparente identità di ratio, anche se svolto ex ante in udienza di convalida, costituente, nei predetti casi, atto necessariamente od eventualmente successivo all'adozione del provvedimento cautelare (invero, il giudice della cautela, presso atto dell'invalidità dell'interrogatorio svolto in udienza di convalida, ben potrebbe disporne uno successivo, da celebrare entro i termini di rito, se non ancora decorsi, così salvaguardando l'efficacia del titolo cautelare coercitivo), risulta del tutto estranea all'ambito del riesame, dovendo, invece, formare - per espressa previsione di legge - oggetto di istanza al giudice del procedimento principale, il cui provvedimento, pronunciato ai sensi degli artt. 302 e 306 cod. proc. pen. (che esplicitamente attribuiscono proprio al giudice del procedimento principale una specifica competenza ad hoc), è soggetto all'appello previsto dall'art. 310 cod. proc. pen., con possibilità di successivo ricorso per Cassazione in forza dell'art. 311 stesso codice.
D'altro canto, l'art. 306 cod. proc. pen. è già stato interpretato «nel senso che competente a dichiarare la caducazione di una misura cautelare sia esclusivamente il giudice del procedimento (principale o incidentale) nell'ambito del quale si è verificato l'evento che l'ha determinata» (così, in motivazione, Sez. U, n.. 14 del 31/05/2000, Piscopo, cit.).
1.3.12. Va, inoltre, evidenziato che il procedimento di riesame è preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l'adozione del provvedimento cautelare, e non anche di quelli incidenti sul protrarsi dell'applicazione della misura disposta: ciò conferma ulteriormente che non è consentito dedurre con tale mezzo di impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla mancanza o invalidità di successivi adempimenti.
1.3.13. Ne consegue che esulano dall'ambito del riesame le questioni relative a mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 cod. proc. pen., anche se svolto ex ante in udienza di convalida: tali questioni, inerendo a vicende che prescindono del tutto dall'ordinanza oggetto di gravarne, si risolvono in vizi processuali che non possono inficiare l'intrinseca legittimità di quest'ultima (alla cui verifica soltanto è legittimato il giudice del riesame), ma, operando sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione autom21tica che deve essere disposta all'esito di un distinto subprocedimento (come detto, con l'ordinanza specificamente prevista dall'art. 306 cod. proc. pen., appellabile ex art. 310 stesso codice).
1.3.14. A tali conclusioni, sia pur incidentalmente, sono giunte anche le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, P.M. in proc. Paleino, in motivazione), a parere delle quali «l'estinzione di una misura cautelare può ( ... ) verificarsi ape legis, per caducazione automatica conseguente al verificarsi di determinati eventi che non incidono di regola né sulla validità del provvedimento applicativo né sui presupposti di
applicazione della misura; si tratta quindi di eventi sopravvenuti che determinano la perdita di efficacia della misura ma non ne precludono la rinnovazione, salve le limitazioni previste dall'art. 307 cod. proc. pen, per la sostituzione della custodia cautelare caducata per decorso dei termini massimi di durata. E per questa ragione la giurisprudenza ha sempre escluso che le cause di caducazione ope /egis delle misure caute/ari personali possano essere dedotte con le impugnazioni proponibili contro le ordinanze applicative. In particolare deve escludersi che con la richiesta di riesame possa essere dedotta la caducazione della custodia cautelare per omissione o invalidità dell'interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen., che va dedotta con richiesta al giudice per le indagini preliminari, in quanto non attiene alle condizioni di legittimità e di merito per l'adozione della misura>>.
1.3.15. Per tale complesso di ragioni, va, in conclusione, ribadito il seguente principio di diritto:
«Nel procedimento di riesame non è deducibile, né rilevabile d'ufficio, la questione inerente all'inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza, tardività o comunque invalidità dell'interrogatorio previsto dall'art. 294 cod. proc. pen., anche se svolto ex ante in udienza di convalida ex art. 391 cod. proc. pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato. Di conseguenza, la predetta questione non può costituire oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen.».
1.4. La doglianza non è, pertanto, consentita: in presenza di contrasto, il motivo va, peraltro, dichiarato infondato.
2. Gli altri motivi di ricorso difettano della necessaria specificità, e sono, comunque, manifestamente infondati.
2.1. Quanto al secondo motivo, il Tribunale ha applicato una misura meno afflittiva rispetto a quella della custodia in carcere originariamente richiesta dal pubblico ministero.
Ne consegue che la richiesta originaria, in quanto implicante il massimo grado di compressione della libertà dell'indagato, ricomprendeva in sé qualsivoglia forma minore di limitazione, compresa la misura degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione con terzi diversi dal difensore e dai conviventi.
2.2. Quanto al terzo motivo, risulta pacifico ed esplicitamente considerato nel provvedimento impugnato che il fucile fosse stato denunciato dalla madre dell'indagato, ma risulta altrettanto pacifico che l'arma fosse nella diretta disponibilità dell'indagato ed in luogo assolutamente diverso rispetto a quello oggetto della denuncia di detenzione e in cui la madre nemmeno si trovava.
Con riguardo agli autocarri che si assumono ricettati, invece, centrale, nell'affermazione della ritenuta sussistenza della gravità indiziaria, è stato l'accertamento dell'incapacità del ricorrente di indicare con esattezza i soggetti che lo avrebbero incaricato del deposito dei mezzi.
Il Tribunale del riesame, sul punto, si è correttamente conformato al consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell'elemento materiale e psicologico può essere raggiunta anche sulla base dell'omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede; in tal modo, non si richiede all'imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell'origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensì ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l'indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Sez. U, n. 35535 del 12 luglio - 26 settembre 2007, Rv. 236914).
Per altro verso, il valore intrinseco dei predetti beni esplicita la palese infondatezza delle contestazioni riguardanti la configurabilità o meno di un profitto.
2.3. Quanto al quarto motivo di ricorso, la motivazione del provvedimento impugnato appare corretta perché si fonda essenzialmente sulla valutazione delle gravi modalità delle condotte contestate e della rilevanza dei beni che ne hanno costituito oggetto, per come desumibile dagli esiti di perquisizioni e sequestri, desumendone, nel complesso, un elevato pericolo di recidiva a stento soddisfatto dalla misura applicata.
Tale considerazione risulta assorbente, risultando gli ulteriori riferimenti del difensore alla personalità dell'imputato non idonei a scardinare la correttezza del predetto percorso argomentativo.
3. Alle suesposte considerazioni consegue il rigetto del ricorso e, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.