Svolgimento del processo
Ritenuto che:
Con decreto nr 2504/2020 la Corte di appello di Venezia respingeva il reclamo proposto da B.C. avverso il decreto del Tribunale di Vicenza con cui era stato revocato ai sensi dell’art 9 della legge 1970/898 l’assegno divorzile.
Il giudice del gravame condividendo la valutazione espressa dal primo giudice riteneva corretto il ricorso da parte del ex coniuge D. al rimedio previsto dall’art 9 della legge 898/1970 per far valere fatti rilevanti emersi dopo la pronuncia di divorzio quali la formazione di una nuova famiglia con R.M. da parte della persona percettrice dell’assegno divorzile nonché a seguito della morte di quest’ultimo la pubblicazione di un testamento che aveva reso l’ex coniuge destinataria di attribuzioni testamentarie.
Sottolineava come la reclamante non avesse specificato quale ipotesi di impugnazione per revocazione tra quelle previste dall’art 395 c.p.c. si sarebbe attagliata al caso in esame.
Con riferimento alla dedotta carenza istruttoria rilevava che la mancata indicazione del capitolo su cui si invocava l’ammissione rendeva inammissibile l’istanza.
Osservava che il trasferimento della residenza presso l’abitazione della C. da parte del M. e la delazione testamentaria costituivano indici chiari della volontà di formare un nuovo nucleo familiare cui non era stato opposto dalla reclamante una plausibile alternativa spiegazione.
Avverso tale decisione B.C. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria cui resiste con controricorso F.D..
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art 9 l. nr 898/1970 in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c. per avere il giudice del reclamo ritenuto sussistente la sopravvenienza di giustificati motivi fondando il suo convincimento su fatti antecedenti alla pronuncia di divorzio.
Con un secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art 360 primo comma nr 5 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto inammissibile l’istanza istruttoria formulata dalla reclamante per la mancata specificazione del capitolo di prova di cui invocava l’ammissione malgrado di trattasse di un unico capitolo.
Il primo motivo è inammissibile.
Va qui confermato il principio secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando il ricorrente, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 04/04/2017).
Con il ricorso per cassazione - anche se proposto con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 - la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. n. 29404 del 07/12/2017; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 16056 del
02/08/2016).
Invero la Corte distrettuale si è attenuta al principio secondo il quale "La revisione dell'assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9 postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti.
In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e ad adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata." (Cass. n. 787 del 13/01/2017; Cass. n. 11177 del 23/04/2019); quindi il giudice del reclamo, accertato che il riconoscimento del ruolo di B.C. nella vita di R.M. si era manifestato all’esterno solo con la pubblicazione del testamento in epoca successiva alla sentenza di appello che aveva regolato le condizioni di divorzio e che pertanto lo stesso integrava un sopravvenuto fatto nuovo verso il quale l’unico rimedio esperibile era l’art 9 legge 898//1970, ha poi rilevato che il trasferimento di residenza del M. presso l’abitazione della C. e la delazione testamentaria rappresentavano indici significativi della volontà di formare un nuovo nucleo familiare rispetto al quale non erano state offerte spiegazioni plausibili.
Ne consegue che le censure, sostanzialmente volte a sollecitare un diverso accertamento dei fatti, conforme a quanto auspicato dalla ricorrente, sono inammissibili.
Il secondo motivo è inammissibile perché, come chiarito dalla Suprema Corte, non costituiscono "fatti", il cui omesso esame possa configurare il vizio suddetto, gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato come nel presente caso -sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 7/4/2014).
Il trasferimento del M. presso l’abitazione della C. che la ricorrente vorrebbe provare costituisce un fatto preso in considerazione dalla Corte distrettuale e ciò che viene imputato alla Corte di merito e, in buona sostanza, un esame non appagante delle dette risultanze processuali e tale profilo sfugge, però, al sindacato di legittimità non è inquadrabile nel paradigma dell'art. 360 c.p.c., n. 5, (che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio).
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso,
Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15%, ed accessori di legge;
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52;
Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.