Non solo, il professionista è tenuto a risarcire i danni cagionati all’assistito per la violazione del dovere di diligenza, visto che ha adottato mezzi difensivi che hanno pregiudicato i suoi interessi.
La vicenda trae origine dall’incendio doloso di una villa a seguito del quale la proprietaria aveva affidato all’avvocato, odierno ricorrente, la gestione delle cause ad esso conseguenti.
In tale contesto, l’avvocato si rivolgeva al Tribunale per chiedere il pagamento dei suoi compensi, compensi che il Giudice aveva ritenuto non dovuti per via della sua mancata diligenza, avendo egli...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. LF ha proposto ricorso articolato in sei motivi avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste n. 664/2017 pubblicata il 07/08/2017.
DS ha resistito con controricorso contenente altresì un motivo di ricorso incidentale.
LF ha notificato a sua volta controricorso per resistere al ricorso incidentale.
2. La trattazione dei ricorsi è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 bis,1, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis ex art. 35 del d.lgs. n. 149 del 2022.
Le parti hanno depositato memorie.
2.1. Il ricorso non è stato intimato né notificato alla società semplice Immobiliare O di SO, intervenuta volontariamente nel corso del giudizio di primo grado per il proprio credito risarcitorio e parte ancora del giudizio di appello, benché contumace: essendo scindibili le cause, non deve comunque essere ordinata l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 332 c.p.c., in quanto la parte cui il ricorso non è stato notificato è comunque decaduta dalla facoltà di proporre impugnazione.
2.2. In allegato alla memoria depositata in data 9 dicembre 2022 da LF, è stata prodotta copia della sentenza penale del Tribunale di Pordenone n. 36/2018, depositata il 15 marzo 2018 e passata in giudicato, con la quale il medesimo avvocato F è stato assolto dall'imputazione di infedele patrocinio ex art. 389c.p.
Tale sentenza non riveste comunque efficacia nel presente giudizio ai sensi dell'art. 652 c.p.p., in quanto DS non si era costituita parte civile in quel processo ed aveva esercitato l'azione in sede civile già in data 17 dicembre 2012 (ex multis, Cass. Sez. Lav. 09/03/2004, n. 4775). D'altro canto, nei confronti di DS l'avvocato F è stato assolto in sede penale "perché il fatto non costituisce reato", ovvero "per assenza di dolo", e tale accertamento non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale (Cass. Sez. 3, 25/11/2021, n. 36638). Si consideri, infine, che il delitto di patrocinio infedele richiede per il suo perfezionamento sia una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri professionali stabiliti a tutela della parte assistita, che può concretarsi nella dolosa astensione dalla doverosa attività processuale, sia un evento che implichi nocumento agli interessi di quest'ultima, nocumento inteso non necessariamente in senso civilistico quale danno patrimoniale, mentre oggetto di questo giudizio è la responsabilità professionale dell'avvocato per violazione del dovere di diligenza.
Esclusa l'efficacia di giudicato della sentenza penale del Tribunale di Pordenone, la relativa produzione documentale non può dirsi ammessa, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., ove tendente a dimostrare la fondatezza dei motivi di ricorso. Identica conclusione di inammissibilità va raggiunta per la copia della richiesta di archiviazione del 1° giugno 2020 formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone in ordine alla notizia di reato per calunnia in danno di DS
2.3. In allegato alla memoria ex art. 380 bis.l. c.p.c. depositata da DS si dà inoltre conto, producendone copia, di sentenza pronunciata il 16 ottobre 2019 dalla Corte d'appello di Trieste su domanda di revocazione ex art. 395 n. 1 c.p.c. proposta da LF
3. La Corte d'appello di Trieste ha rigettato l'appello spiegato in via principale da LF contro la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Pordenone in data 18 febbraio 2016. È stato anche respinto dalla Corte d'appello il gravame incidentale di DS sul frazionamento del credito azionato in distinti giudizi monitori.
4. Il Tribunale di Pordenone aveva accolto decreti ingiuntivi intimati dall'avvocato LF le opposizioni avverso distinti alla propria cliente DS per il pagamento dei compensi professionali, rispettivamente degli importi di€ 24.504,00 e di € 5.101,84, relativi alle difese prestate in un processo penale ed in un processo civile. Il giudice di primo grado accolse altresì la domanda riconvenzionale per risoluzione dei contratti di patrocinio e risarcimento dei danni per inadempimento proposte da DS, condannando l'avvocato LF al risarcimento del danno patrimoniale quantificato in € 68.882,00 ed al rimborso delle spese superflue per il processo civile da quantificarsi in separato giudizio.
5. Per la comprensione della vicenda e per le ragioni inerenti alle questioni di fatto, che sono poi state a base anche della decisione di appello qui impugnata, occorre fare rinvio alla sentenza di primo grado.
5.1. Nel dicembre del 2004 una villa sita nel comune X in comproprietà fra DS suoi zii e MS e la società semplice Immobiliare O di SD, venne distrutta da un incendio doloso. Per questo incendio tale FL è stato condannato in sede penale con sentenza definitiva. L'avvocato LF fu incaricato sia da DS sia da MS per recuperare i danni e gli indennizzi assicurativi.
L’avvocato LF, nell'interesse e per conto di MS, e poi degli eredi di questo, ottenne in data 21 febbraio 2006 un sequestro conservativo in sede civile fino all'importo di € 180.000,00 sui beni mobili ed immobili di proprietà di FL, sequestro trascritto il 7 marzo 2006 su terreni di proprietà L in F. Nel corso della conseguente causa di merito, l'espletata CTU stimò danni provocati dall'incendio in complessivi€ 307.855,14. L'avvocato F assistette da ultimo gli eredi di MS nella stipula di una transazione sottoscritta il 27 gennaio 2011, in virtù della quale FL corrispose agli eredi del danneggiato la somma di € 100.000,00, pagata con assegni circolari da tali FG e FG, resisi promissari acquirenti dei terreni di F quali, ottenuta la cancellazione del sequestro conservativo, acquistarono poi il 28 gennaio 2011 i terreni dal L, per il residuo prezzo di€ 68.882,00.
5.2. Nell'interesse e per conto di DS invece, l'avvocato F curò in data 20 marzo 2006 la costituzione di parte civile nel processo penale a carico di FL per i reati di incendio doloso e tentata estorsione, chiedendo, all'esito del dibattimento in primo grado, la condanna dell'imputato al risarcimento dei danni, indicati in ragione di € 280.000,00, da liquidarsi, in subordine, in separato giudizio, salva in ogni caso la concessione di una provvisionale. Con sentenza del 25 marzo-23 giugno 2010, il Tribunale penale di Pordenone, ritenuto responsabile il L per i reati di danneggiamento seguito da incendio e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, condannò l'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio civile. Nel corso del giudizio penale d'appello, l'avvocato F chiese la conferma della condanna generica dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile DS
5.3. Quale difensore di DS, l'avvocato F instaurò anche nell'agosto del 2010 un giudizio civile per la revocatoria di una compravendita immobiliare conclusa nel 2005 fra FL e la ex coniuge dello stesso, avente ad oggetto il trasferimento della quota di ½ di un appartamento. Tale azione revocatoria venne rigettata nel 2014 dal Tribunale civile di Pordenone.
5.4. La sentenza 18 febbraio 2016 del Tribunale di Pordenone ritenne non dovuti i compensi pretesi dall'avvocato F tanto per il giudizio civile di revocatoria, stante l'inutilità dell'azione rispetto al risultato utile perseguito dalla cliente DS, cui diritti recuperatori erano stati irrimediabilmente compromessi dal legale, quanto per il giudizio penale, e ciò: sia per non aver richiesto il sequestro conservativo dei beni dell'imputato a garanzia delle obbligazioni derivanti dal reato ex art. 316 c.p.p.; sia per non aver documentato l'entità dei danni nel giudizio penale avvalendosi della CTU espletata nella causa civile, sia pure al fine di conseguire una provvisionale (avendo il Tribunale penale affermato di non poter liquidare il risarcimento "in assenza di specifici elementi per una valutazione esaustiva"); sia per non aver specificamente appellato la condanna generica al fine di ottenere la liquidazione dei danni; sia per non aver iscritto ipoteca giudiziale, a norma dell'art. 2818 c.c., dopo la sentenza penale di primo grado del 25 marzo-23 giugno 2010, sui terreni di F di FL , la cui alienazione in favore di FG e FG, avvenuta il 28 gennaio 2011, consentì al L di risarcire i danni convenuti nella transazione conclusa il giorno prima con gli eredi di MS e di trattenere anche il residuo prezzo di € 68.882,00. Accertato l'inadempimento dell'avvocato rispetto agli obblighi derivanti dal contratto di patrocinio, il Tribunale riconobbe perciò in favore della cliente DS il risarcimento del danno, quantificato in misura pari alla somma rimasta a disposizione del L, oltre alle spese sopportate dalla S per l'inutile azione civile che l'aveva vista soccombente.
5.5. L'avvocato F propose appello in via principale sulla base di sette motivi, circa i crediti spettanti al legale, i limiti e i contenuti dei mandati difensivi ricevuti, l'erronea attribuzione a suo carico della negligenza in ordine alla mancata impugnazione della sentenza penale di primo grado ed alla mancata iscrizione ipotecaria, la quantificazione del danno, l'asserita inutilità dell'azione revocatoria in sede civile, ed infine le istanze istruttorie. I motivi dell'appello F si trovano indicati e poi confutati nelle pagine 24 e seguenti della sentenza impugnata.
6. Va premesso che il ricorso principale di LF si sviluppa in cinquantuno pagine che denotano altresì una rilevante densità di scrittura per caratteri e per righe, mentre il controricorso con ricorso incidentale di DS si sviluppa in novantuno pagine. La particolare ampiezza degli atti di parte - pur non trasgredendo alcuna prescrizione formale di ammissibilità - collide con l'esigenza di chiarezza e sinteticità dettata dall'obiettivo di un processo celere, non essendo neppure proporzionale alla complessità giuridica o all'importanza economica delle fattispecie affrontate, secondo quanto stabilito anche nel Protocollo d'intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria del 17 dicembre 2015 (si veda pure Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, sentenza 28 ottobre 2021 - Ricorso n. 55064/11 e altri 2 - Succi e altri contro Italia).
Sono quindi da rigettare le eccezioni pregiudiziali svolte da pagina 46 a pagina 64 del controricorso, sia con riguardo al requisito imposto dall'articolo 366, comma 1, n. 3), c.p.c., in quanto il ricorso principale per cassazione contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, dalla quale risultano le posizioni processuali delle parti, nonché gli argomenti dei giudici dei singoli gradi; sia con riguardo all'osservanza di quanto prescritto dall'art. 366, comma 1, nn. 4) e 6), c.p.c., la cui verifica deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonché l'analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. Unite, 05/07/2013, n. 16887).
6.1. Nella redazione della presente ordinanza si farà comunque sintetico rinvio per relazione ai motivi ed agli argomenti contenuti negli atti di parte.
7. Il primo motivo del ricorso di LF denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio del contraddittorio, non esteso al litisconsorte FL
7.1. Il primo motivo del ricorso di LF è palesemente infondato
Del giudizio avente ad oggetto un rapporto di prestazione d'opera intellettuale instauratosi con il cosiddetto contratto di patrocinio nonché l'accertamento della responsabilità professionale dell'avvocato nei confronti del proprio cliente, sono parti necessarie unicamente questi ultimi, e non anche le altre parti del processo in cui il legale ha prestato la propria attività difensiva, ferma la possibilità di provocarne l'intervento, ove si ravvisi una comunanza di causa, mediante istanza di chiamata a norma dell'art. 106 c.p.c.
8. Il secondo motivo del ricorso di F denuncia la violazione degli artt. 1176, 1218, 1321, 1322, 1325 n. 1, 1326, 1362 e ss., 2230, 2232, 2236 e 1710 c.c. La censura si rivolge alle pagine 29, 30 e 31 della sentenza impugnata. Il ricorrente principale prospetta un diverso oggetto del contratto di patrocinio intercorso con DS sin dal 2004 e poi ai fini della costituzione di parte civile nel processo penale, avendo ricevuto istruzioni dalla cliente di non presentare istanza di sequestro.
Il terzo motivo del ricorso di LF denuncia la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 1176, 1218, 2236 e 1710 c.c. La censura si rivolge alle pagine 32 e 33 della sentenza impugnata. Il ricorrente principale avverte che nella transazione con il L gli eredi di MS vennero assistiti da diverso avvocato e poi espone che da gennaio del 2011 DS si era rivolta ad altro avvocato per recuperare il proprio credito risarcitorio verso il L
Il quarto motivo del ricorso di LF denuncia la violazione degli artt. 1176, 1218 e 2236 c.c., nonché degli artt. 1223 e 1225 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p. La censura si rivolge alla pagina 33 della sentenza impugnata quanto alla portata pregiudizievole per gli interessi di DS della transazione tra il L e gli eredi di MS e contesta la derivazione causale presupposta dalla Corte d'appello.
Il quinto motivo del ricorso di LF denuncia la violazione degli artt. 1223, 1225 e 2697 c.c., nonché degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. La censura si rivolge alle pagine 33 e 34 della sentenza impugnata quanto alla determinazione del danno risarcibile, operata sulla base della differenza tra l'importo risarcitorio introitato dagli eredi di MS (€ 100.000,00) ed il prezzo totale introitato dal L per la vendita dell'immobile (€ 168.882,00). Il motivo procede elaborando vari calcoli in ordine alla quota dell'immobile danneggiato spettante a DS e quanto dalla stessa percepito dalla compagnia assicuratrice, evidenzia di non essere mai stato incaricato delle vicende che riguardavano la società Immobiliare O di SD e avverte che non vi era alcuna possibilità che la propria ex assistita addivenisse ad una transazione con il L
Il sesto motivo del ricorso di LF denuncia la violazione dell'art. 2901 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. La censura si rivolge alla pagina 35 della sentenza. Si afferma che la Corte d'appello avrebbe esorbitato dalla domanda svolta da DS, ponendo a carico dell'avvocato F “l'inutile dispendio economico per l'azione revocatoria", e quindi si contesta l'assunta inadeguatezza della revocatoria proposta con citazione del 24 agosto 2010 e poi portata a conclusione da altro difensore.
8.1. I motivi dal secondo al sesto del ricorso di LF vanno esaminanti congiuntamente, in quanto connessi, e sono accomunati da profili di inammissibilità oltre che infondati.
8.2. I cinque motivi sono tutti formulati invocando vizi di violazione di norme di diritto, ma in realtà allegano un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito ed è sottratta al sindacato di legittimità, se non nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Ove riqualificati come censure per omesso esame di fatti storici, per motivi opererebbe la previsione d'inammissibilità di cui all'art. 348 ter, comma 5, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello "che conferma la decisione di primo grado" e che, come nella specie, risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cd. doppia conforme).
I motivi dal secondo al sesto del ricorso di LF contengono inoltre molteplici riferimenti a circostanze di fatto ed a documenti non considerati nella sentenza impugnata, senza specificare, agli effetti dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., "come" e "quando" tali fatti storici siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti nei pregressi gradi di merito, né quali istanze fossero state svolte dal ricorrente nei propri scritti difensivi illustrando gli scopi della relativa esibizione documentale.
Le reiterate denunce di violazione dell'art. 115 e 116 c.p.c. sono prive di consistenza, in quanto tale la prima norma può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, mentre la seconda norma sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, mentre le critiche rivolte dal ricorrente consistono, in realtà, nell'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta dovuta alla inesatta valutazione del materiale istruttorio (ex plurimis, Cass. Sez. Unite 30/09/2020, n. 20867).
Così pure la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. si configura nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando si assuma che il giudice stesso, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere.
8.3. Non sono quindi sindacabili, sulla base delle proposte censure per violazione di norme di diritto, gli accertamenti di fatto operati conformemente nei due gradi dai giudici del merito, che di seguito si riepilogano.
DS nel dicembre del 2004 subì un danno per l'incendio doloso di una villa di cui era comproprietaria con i suoi zii e MS e con la società semplice Immobiliare O di SD E' stata riconosciuta la responsabilità di FL
L'avvocato LF fu incaricato sia da DS sia da MS per recuperare i danni e gli indennizzi assicurativi.
L’avvocato F, quale difensore di MS, ottenne in data 21 febbraio 2006 un sequestro conservativo in sede civile fino all'importo di € 180.000,00 sui beni mobili ed immobili di proprietà di FL sequestro trascritto il 7 marzo 2006 su terreni di proprietà L in F. Nel corso della conseguente causa di merito, l'espletata CTU stimò i danni provocati dall'incendio in complessivi € 307.855,14. Gli eredi di MS, conclusero una transazione il 27 gennaio 2011, in forza della quale FL corrispose agli eredi del danneggiato la somma di € 100.000,00, pagata con assegni circolari da tali FG e FG, resisi promissari acquirenti dei terreni di F, i quali, ottenuta la cancellazione del sequestro conservativo, acquistarono poi il 28 gennaio 2011 i terreni dal L, per il residuo prezzo di € 68.882,00.
Quale difensore di DS, invece, l'avvocato F curò in data 20 marzo 2006 la costituzione di parte civile nel processo penale in danno di FL. Con sentenza del 25 marzo-23 giugno 2010, il Tribunale penale di Pordenone, ritenuto responsabile il L per i reati di danneggiamento seguito da incendio e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, condannò l'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio civile. Nel corso del giudizio penale d'appello, l'avvocato F chiese la conferma della condanna generica dell'imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile DS. Sempre in rappresentanza di DS l'avvocato F instaurò altresì nell'agosto del 2010 un giudizio civile per la revocatoria di una compravendita immobiliare conclusa nel 2005 fra FL e la sua ex coniuge, avente ad oggetto il trasferimento della quota di ½ di un appartamento. Tale azione revocatoria venne rigettata nel 2014 dal Tribunale civile di Pordenone.
8.4. Così ricostruita la condotta dell'avvocato F, i giudici del merito hanno ritenuto non dovuti i compensi da lui richiesti tanto per il giudizio civile di revocatoria, stante l'inutilità dell'azione rispetto al risultato utile perseguito dalla cliente DS quanto per il giudizio penale, imputandogli: di non aver richiesto il sequestro conservativo dei beni dell'imputato a garanzia delle obbligazioni derivanti dal reato ex art. 316 c.p.p., di non aver documentato l'entità dei danni nel giudizio penale, quand'anche al fine di conseguire una provvisionale; di non aver appellato la condanna generica al fine di ottenere la liquidazione dei danni; di non aver iscritto ipoteca giudiziale sui terreni di F di FL, la cui alienazione in favore di FG e FG avvenuta il 28 gennaio 2011, consentì al L di risarcire i danni convenuti nella transazione conclusa il giorno prima con gli eredi di MS e di trattenere anche il residuo prezzo di € 68.882,00. Su tali premesse, il danno per l'inadempimento degli obblighi professionali gravanti sul legale è stato determinato in misura del valore monetario residuo incassato dal L a seguito della vendita dei terreni, oltre che, e ciò già nella sentenza di primo grado, rimasta confermata in appello, alle spese sopportate dalla S per l'inutile azione civile che l'aveva vista soccombente.
9. Come già più volte affermato da questa Corte, l'avvocato, nella prestazione dell'attività difensiva, sia questa configurabile come adempimento di un'obbligazione di risultato o di mezzi, è obbligato, a norma dell'art. 1176, comma 2, c.c., ad usare la diligenza imposta dalla natura dell'attività stessa esercitata; la violazione di tale dovere comporta inadempimento contrattuale (del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve, salvo che, a norma dell'art. 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà) e, in applicazione del principio di cui all'art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso, allorché la negligenza sia stata tale da incidere sugli interessi del cliente ed abbia perciò, sia pur sulla base di criteri necessariamente probabilistici, impedito di conseguire un esito della lite altrimenti ottenibile,
E' altrettanto consolidato l'orientamento di questa Corte secondo cui, allorché il cliente deduca, come nella specie, la responsabilità civile del professionista, egli è tenuto a provare di aver sofferto un danno e che questo è stato causato dall'insufficiente o inadeguata attività del professionista. La responsabilità risarcitoria dell'avvocato non può, invero, ravvisarsi per il solo fatto del non corretto adempimento della prestazione professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone (cfr. Cass. Sez. 3, 22/06/2020, n. 12127; Cass. Sez. 3, 24/10/2017, n. 25112; Cass. Sez. 3, 05/02/2013, n. 2638; Cass. Sez. 3, 10/12/2012, n. 22376; Cass. Sez. 2, 27/05/2009, n. 12354).
9.1. In particolare, in precedenti confacenti alla fattispecie in esame, i quali hanno elaborato principi contrari a quelli posti a fondamento delle censure del ricorrente, si è affermato che:
a) la responsabilità professionale dell'avvocato, per violazione del dovere di diligenza esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, discende dall'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, e non è esclusa né ridotta quando tali modalità siano state sollecitate dal cliente stesso (qui si assume che fu la cliente a dare istruzioni di non presentare istanza di sequestro), poiché costituisce compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale (Cass. Sez. 3, 20/05/2015, n. 10289);
b) la scelta di una determinata strategia processuale da parte dell'avvocato è foriera di responsabilità nei confronti del cliente, allorché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito da quest'ultimo sia valutata dal giudice di merito ex ante, in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite (Cass. Sez. 3 22/11/2018, n. 30169);
c) lo svolgimento di un'attività professionale, da parte dell'avvocato, totalmente inutile, già ex ante pronosticabile come tale, non gli attribuisce alcun diritto al compenso (Cass. Sez. 6 - 2, 18/02/2022, n. 5440).
10. Il mandato per la costituzione di parte civile, quale quello rilasciato all'avvocato LF da DS nel processo penale a carico di FL, ai sensi dell'art. 76 c.p.p., è finalizzato all'esercizio dell'azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno da reato da parte di chi vi sia legittimato a norma del precedente art. 74. Le facoltà ed i diritti, di cui, in particolare, agli artt. 101, 336, 360, 369, 394, 401 comma 8, 406, comma 5, 409 comma 2, 413 comma 1, c.p.p. sono attribuiti alla persona offesa e non al danneggiato, e sono volti a coadiuvare il pubblico ministero ai fini dell'esercizio dell'azione penale, ovvero a conseguire l'accertamento del fatto-reato e la giusta punizione del colpevole. Viceversa, dopo che è stata esercitata l'azione penale, emerge la primarietà della parte civile costituita, cui vengono attribuiti poteri processuali soltanto finalizzati al soddisfacimento della domanda risarcitoria.
La persona offesa da reato è quindi titolare di un duplice interesse: quello all'affermazione della responsabilità penale dell'autore del reato, che si esercita mediante un'attività di supporto e di controllo dell'operato del pubblico ministero, e quello al risarcimento del danno, che si esercita mediante la costituzione di parte civile.
10.1 L'incarico conferito ad un avvocato per la costituzione di parte civile in un processo penale obbliga, pertanto, il professionista, a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, consistente nel risarcimento del danno da reato da parte del cliente, rientrando indicativamente nella diligenza dovuta a norma dell'art. 1176, comma 2, c.c. (ed indipendentemente dalle modalità difensive sollecitate dal cliente stesso): richiedere il sequestro conservativo dei beni dell'imputato (vieppiù ove, come nella specie, vi siano altri soggetti cui il reato ha recato danno, assistiti dal medesimo difensore, che abbiano ottenuto ed eseguito misure cautelari sugli stessi beni); allegare dinanzi al giudice penale gli elementi concreti da cui desumere l'entità e la esatta consistenza del pregiudizio subito onde conseguire la liquidazione del danno; proporre appello qualora il giudice di primo grado abbia rigettato la richiesta di provvisionale e affermato di non poter liquidare i danni, limitandosi ad una condanna generica; iscrivere ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c. sulla base della sentenza di condanna generica al risarcimento dei danni.
10.2. A fronte di tali negligenze dell'avvocato F , nella difesa della parte civile costituita, appare anche ragionevole la valutazione, operata dalla Corte d'appello, di inutilità dell'azione revocatoria intentata nell'agosto 2010 nei confronti dell'ex moglie del L per un atto concluso cinque anni prima.
10.3. Ciò basta a concludere che, indipendentemente dalla attribuibilità, o meno, della transazione del 27 gennaio 2011 tra FL e gli eredi di MS alla condotta dell'avvocato LF, la Corte d'appello di Trieste ha correttamente affermato la responsabilità del professionista, con apprezzamento dei fatti spettante ai giudici del merito e congruamente motivato in rapporto all'inesatto o mancato compimento di plurime attività difensive. La Corte di Trieste ha così ravvisato la responsabilità risarcitoria dell'avvocato, riconducendo al non corretto adempimento della prestazione professionale l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dalla cliente, consistente nel mancato soddisfacimento del credito risarcitorio di DS che avrebbe potuto realizzarsi agendo esecutivamente sui terreni di F venduti nel gennaio 2011 dal debitore FL, quanto meno nei limiti della somma residua da quest'ultimo incassata dopo aver risarcito in via transattiva gli eredi dell'altro danneggiato MS. Parimenti ragionevole è l'apprezzamento operato dai giudici del merito di comprendere nel danno da responsabilità professionale dell'avvocato le spese processuali che il cliente abbia subito per la propria difesa e per quella della controparte.
Si è detto, del resto, che la responsabilità risarcitoria dell'avvocato correlata al non corretto adempimento della prestazione professionale esige certamente un rapporto causale immediato e diretto fra tale inadempimento e danno. Questa limitazione - imposta dall'art. 1223 c.c. - è fondata sulla necessità di limitare l'estensione temporale e spaziale degli effetti degli eventi illeciti ed è orientata, perciò, ad escludere dalla connessione giuridicamente rilevante ogni conseguenza dell'inadempimento che non sia propriamente diretta ed immediata, ovvero che comunque rientri nella serie delle conseguenze normali del fatto, in base ad un giudizio di probabile verificazione rapportato all'apprezzamento dell'uomo di ordinaria diligenza. È tuttavia compito del giudice di merito accertare la materiale esistenza del rapporto che abbia i suddetti caratteri normativamente richiesti e tale valutazione è insindacabile in sede di legittimità se non nei limiti di cui all'art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c.
10.4. Il sesto motivo del ricorso di L. F., infine, ove adduce che la Corte d'appello avrebbe esorbitato dalla domanda svolta da DS ponendo a carico dell'avvocato F, "l'inutile dispendio economico per l'azione revocatoria", va comunque ritenuto inammissibile, in parte qua, per difetto di interesse all'impugnazione, in quanto censura per vizio di ultrapetizione un argomento che i giudici di appello, confermando la sentenza impugnata per ragioni di per sé sufficienti al rigetto del gravame, hanno ritenuto di aggiungere. Nonostante l'effetto sostitutivo della sentenza d'appello, il riferimento all' "inutile dispendio economico per l'azione revocatoria" non riveste alcuna influenza sulla pronuncia adottata (cfr. Cass. Sez. L, 07/06/1995, n. 6397; Cass. Sez. 2, 13/11/2020, n. 25790).
11. Il motivo di ricorso incidentale DS censura la violazione del principio del giusto processo e ella buona fede in relazione agli artt. 2 e 111 Cost. e insiste sul frazionamento del credito azionato dall'avvocato F in distinti giudizi monitori. Il profilo era stato esaminato dalla Corte d'appello pronunciando sull'appello indentale di identico tenore proposto da DS, ben spiegando che risultava in capo all'avvocato creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, attese le diversità di disciplina, sostanziale e processuale, inerenti alle attività professionali svolte in sede civile e in sede penale. Trattandosi, in ogni caso, di ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investe questione pregiudiziale di rito oggetto di decisione esplicita da parte della Corte d'appello, esso ha natura di ricorso condizionato all'accoglimento del ricorso principale, pur indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicché esso doveva essere esaminato unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale, e rimane perciò assorbito (Cass. Sez. Unite, 25/03/2013, n. 7381).
12. Il ricorso principale va perciò rigettato, mentre il ricorso incidentale va dichiarato assorbito. Il ricorrente va condannato a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell'importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento - ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l'impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 8.200,00 di cui€ 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.