Come ha già avuto modo di chiarire la Corte di Cassazione, i messaggi conservati nella memoria del telefono hanno natura di documenti di prova, dunque è legittima la loro riproduzione mediante riproduzione fotografica.
Il TAR respingeva il ricorso avente ad oggetto la domanda del ricorrente tesa all'annullamento della delibera del CSM con la quale l'Organo di autogoverno aveva disposto la nomina del Presidente del Tribunale di Roma, evidenziando che il CSM aveva considerato “recessivo” il suo profilo rispetto a quello del collega nominato per via della pendenza a suo carico di un procedimento disciplinare. Tale procedimento aveva alla base alcune conversazioni trasmesse dalla Procura al CSM intercorse in forma di messaggistica telefonica con persona che all'epoca era membro del CSM ove l'appellante, ai fini del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, avrebbe sostenuto la candidatura di alcuni colleghi, anche in vista dell'appartenenza correntizia, usando espressioni denigratorie verso altri.
Contro la decisione del TAR, l'appellante propone ricorso dinanzi al Consiglio di Stato contestando, tra i diversi motivi, l'indebito utilizzo delle conversazioni private acquisite.
Con la sentenza n. 1351 del 7 febbraio 2023, il Consiglio di Stato respinge il ricorso.
Sulla questione prospettata dal ricorrente la Sezione si era già espressa rilevando che
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«La trasmissione all'Organo di autogoverno degli elementi riguardanti magistrati emersi nel corso di indagini penali è stata oggetto di disciplina da parte del Consiglio Superiore della Magistratura con la circolare n. 510 del 15 gennaio 1994 (“Rapporti tra segreto investigativo e poteri del Consiglio Superiore della Magistratura”), che ha stabilito che "il pubblico ministero che procede deve dare immediata comunicazione al Consiglio con plico riservato al Comitato di Presidenza di tutte le notizie di reato nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio» |
La Corte di Cassazione ha precisato sul tema che i messaggi conservati nella memoria del telefono hanno natura di documenti di prova, dunque è legittima la loro riproduzione mediante riproduzione fotografica. Non trovano infatti applicazione la disciplina sulle intercettazioni, né quella sull'acquisizione della corrispondenza, avendo la copia estratta dal documento informatico la stessa valenza probatoria del dato originariamente acquisito, salvo se ne provi la manipolazione.
L'attività di intercettazione esige la captazione del flusso di comunicazioni in atto, dunque è attività diversa dall'acquisizione ex post del dato conservato in memoria che documenta i flussi già avvenuti. Detti dati non rientrano nemmeno nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica invece un'attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente tramite consegna del plico a terzi.
L'intercettazione di email o messaggi similari, infine, si caratterizza per la contestualità tra la captazione dei messaggi e la loro trasmissione, trattandosi di intercettazione telematica che esige una tutela rafforzata e l'adozione di garanzie specifiche.
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza (ud. 29 novembre 2022) 7 febbraio 2023, n. 1351
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1.1. Con ricorso in appello, ritualmente notificato e depositato in giudizio, l’odierno appellante ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il TAR -OMISSIS- ha respinto il ricorso di primo grado, avente ad oggetto la domanda di annullamento della deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura del -OMISSIS-, con la quale l’Organo di autogoverno ha disposto la nomina del dott. -OMISSIS- quale Presidente del Tribunale Ordinario di Roma; il giudice di prime cure ha disposto la compensazione delle spese di giudizio.
1.2. L’appellante evidenzia che il Consiglio Superiore della Magistratura ha considerato il suo profilo “recessivo” rispetto a quello del collega nominato non già per ragioni di merito o attitudinali (per le quali, a suo giudizio, prevarrebbe), ma per la criticità determinata dalla pendenza a suo carico di un procedimento disciplinare, che avrebbe reso inopportuna la sua nomina, attesa la non revocabilità delle delibere di conferimento di incarichi (anche nel caso di successiva irrogazione di una sanzione disciplinare).
Alla base del procedimento disciplinare avviato nei confronti dell’appellante vi sono alcune conversazioni, trasmesse dalla Procura della Repubblica di -OMISSIS-al Consiglio Superiore della Magistratura, intercorse in forma di messaggistica telefonica con il dott. -OMISSIS-(nel periodo in cui questi era componente del C.S.M.), nelle quali l’odierno appellante, ai fini del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, avrebbe sostenuto la candidatura di alcuni colleghi (anche per ragioni di appartenenza correntizia) e avrebbe usato espressioni denigratorie nei confronti di altri.
L’appellante ha contestato la sentenza impugnata sotto diversi profili che nel prosieguo del presente provvedimento saranno oggetto di specifica disamina.
2. Si è costituito in giudizio il dott. -OMISSIS-, eccependo in via preliminare l’improcedibilità dell’appello, in quanto nelle more del giudizio di primo grado, in data -OMISSIS-, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha dichiarato l’appellante “responsabile degli illeciti a lui ascritti con esclusione del primo dei tre episodi contestati” e gli ha inflitto la sanzione disciplinare della censura, disponendo la trasmissione degli atti alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione per le valutazioni di competenza; sarebbe dunque integrata la causa ostativa al conferimento degli incarichi direttivi, di cui all’art. 37, comma 2, del Testo unico della Dirigenza giudiziaria. Nel merito, il controinteressato ha contestato le deduzioni di parte appellante e ne ha chiesto la reiezione.
3. Si è costituito in giudizio per resistere alla proposta impugnativa anche il Consiglio Superiore della Magistratura, evidenziando l’infondatezza delle deduzioni di parte appellante, delle quali ha chiesto conseguentemente la reiezione.
4. All’udienza pubblica del 29 novembre 2022, sulle conclusioni delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
5.1. Con il primo motivo, l’appellante deduce: error in iudicando; violazione dell’art. 36 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria; difetto di motivazione; eccesso di potere per sviamento, travisamento, illogicità e contraddittorietà.
In estrema sintesi, dopo aver richiamato per la parte di interesse l’impugnata deliberazione del C.S.M., l’appellante si duole del fatto che il giudice di primo grado abbia omesso di rilevare che, in realtà, l’Organo di autogoverno nella propria deliberazione si sarebbe limitato a elencare i “fatti” contestati al candidato in sede disciplinare, omettendo di valutarne la rilevanza, nell’ambito della valutazione complessiva del profilo del candidato.
In altre parole, l’Organo di autogoverno, sulla base del mero riferimento ai fatti contestati nel procedimento disciplinare e della mera pendenza del procedimento stesso avrebbe sic et simpliciter ritenuto il suo profilo recessivo rispetto a quello del dott. -OMISSIS-.
5.2. Con il secondo motivo, l’appellante deduce: eccesso di potere per sviamento, travisamento, illogicità e contraddittorietà.
La sentenza impugnata sarebbe erronea, in quanto fa riferimento agli “eventuali possibili esiti” del procedimento disciplinare, mentre il CSM nel procedere alla valutazione del dott. -OMISSIS-aveva espressamente dichiarato “…pur prescindendo da ogni giudizio prognostico circo l’effettivo rilievo disciplinare delle incolpazioni formulate a carico del candidato…”.
L’appellante inoltre sostiene che (diversamente da quanto indicato nella deliberazione del CSM e da quanto riportato nella sentenza appellata) la promozione di alcuni colleghi per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi sarebbe avvenuta a prescindere dalla appartenenza correntizia, avendo le segnalazioni in questione ad oggetto anche colleghi facenti capo a correnti diverse.
Sostiene infine che le semplici segnalazioni di candidati non accompagnate da ulteriori comportamenti positivi o coattivi non erano neppure suscettibili di condizionare la condotta del soggetto interlocutore (dott. -OMISSIS-), essendo questi solo titolare del potere di proporre i candidati al Plenum del CSM (peraltro, evidenzia che il provvedimento disciplinare della censura irrogato nei suoi confronti è stato impugnato davanti alla Corte di Cassazione e il relativo giudizio sarebbe ancora pendente).
Tutte queste circostanze confermerebbero l’indipendenza dell’appellante da impropri condizionamenti nell’esercizio delle funzioni direttive.
5.3. Con il terzo motivo, l’appellante deduce: error in iudicando; violazione dell’art. 36 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria; difetto di motivazione.
L’appellante si duole del fatto che il giudice di primo grado non abbia tenuto conto del fatto che nella deliberazione impugnata il C.S.M. ha riferito di “criticità” che hanno indotto l’Organo di autogoverno a ritenere “recessivo il profilo del ricorrente rispetto a quello del dott. -OMISSIS-”, senza in alcun modo specificare in che termini ed a che titolo i fatti qualificati come “critici” abbiano assunto rilevanza tale da pregiudicare radicalmente la pur riconosciuta eccellenza degli altri requisiti, ai fini dell’assegnazione dell’incarico direttivo de quo.
5.4. Con il quarto motivo viene dedotto: error in iudicando; eccesso di potere per sviamento, travisamento, illogicità e contraddittorietà.
L’appellante contesta la sentenza impugnata, nella parte in cui ha il giudice di prime cure ha condiviso le conclusioni del CSM in ordine alla mera rilevanza, ai fini del conferimento dell’incarico direttivo de quo, del procedimento disciplinare pendente e al fatto che in caso di condanna disciplinare non vi sarebbe stata alcuna possibilità per il Consiglio di revocare la disposta nomina procedendo con una nuova valutazione in ordina al conferimento dell’incarico (a tale riguardo è stato richiamato il parere dell’Ufficio Studi del CSM n. 25/2014, che ha escluso la revocabilità delle delibere di conferimento di incarichi).
Di contro, l’appellante osserva al riguardo che ritenere che la mera pendenza di un procedimento disciplinare a carico di un candidato ad un incarico direttivo costituisca ex se circostanza ostativa alla nomina, sarebbe irragionevole e, ancor prima, illegittimo. A tale riguardo, richiama il principio di presunzione di innocenza di cui all’art. 27, comma 2, della Costituzione, evidenziando che esso trovi applicazione anche in sede disciplinare.
L’appellante sostiene che non avrebbe dovuto subire pregiudizio per effetto della mera pendenza del procedimento disciplinare, evidenziando che “ove successivamente alla nomina intervenga una sanzione disciplinare definitiva, ben potrebbe il CSM intervenire in sede di autotutela con le garanzie previste dalla legge n. 241/1990”.
A suo giudizio, non assumerebbe rilievo, ai fini del presente giudizio, il fatto che abbia poi subito condanna disciplinare, essendo precluso al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34, comma 2, del C.P.A., esercitare attività giurisdizionale con riguardo a poteri non ancora esercitati dalla P.A.
Evidenzia inoltre che la sentenza disciplinare non risulta definitiva, in quanto oggetto di impugnazione avanti alla Suprema Corte di Cassazione; gli effetti della sentenza stessa erano, e sono, comunque sospesi ex art. 17, ultimo comma, della legge n. 195/1958.
5.5. Con l’ultimo motivo, l’appellante si sofferma lungamente sull’indebito utilizzo, nel provvedimento impugnato, delle conversazioni private acquisite, in contrasto con gli articoli 7, 8, 11 e 52, paragrafo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e per violazione degli articoli 6, 8 e 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Sostiene quindi che il CSM non avrebbe potuto utilizzare l’unica fonte di prova nel procedimento di contestazione degli illeciti disciplinari di cui agli artt. 1 e 2, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 109/2006.
A sostegno di quanto dedotto richiama una recentissima sentenza (causa C-746/182), della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (nel prosieguo, anche “CGUE”) nella quale è stato affermato il principio che soltanto gli obiettivi della lotta contro le forme gravi di criminalità o della prevenzione di gravi minacce per la sicurezza pubblica sono idonei a giustificare l’accesso delle autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, suscettibili di fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali utilizzate da quest’ultimo e tali da permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata delle persone interessate.
6. In via preliminare, in accoglimento della eccezione sollevata dal controinteressato, deve ritenersi che il ricorso in appello sia divenuto improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse.
La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha irrogato nei confronti dell’odierno appellante la sanzione della censura; detta sanzione ha assunto carattere definitivo, essendo stato respinto il ricorso in Cassazione proposto dal dott. -OMISSIS-avverso la sentenza n. -OMISSIS-, con la quale la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha comminato nei confronti dell’odierno appellante la sanzione disciplinare della censura (Cassazione, Sezioni Unite Civili, -OMISSIS- sul ricorso R.G. n. -OMISSIS-).
Trova quindi applicazione nel caso di specie il disposto dell’art. 37, comma 2, del Testo unico della Dirigenza giudiziaria a norma del quale: “2. Le condanne disciplinari sono di regola preclusive al conferimento dell'ufficio in caso di irrogazione della sanzione della perdita dell'anzianità oppure nell’ipotesi di condanna alla censura per fatti commessi nell'ultimo decennio”.
Ne consegue che, in caso di accoglimento dell’atto di appello, l’appellante non potrebbe comunque conseguire il bene della vita cui aspira; le censure dedotte dalla parte appellante sono comunque anche infondate nel merito per le ragioni di seguito indicate.
6.1. Occorre premettere che oggetto del presente giudizio non è la verifica della sussistenza dei presupposti per l’esercizio della azione disciplinare, ma la valutazione della rilevanza di un procedimento disciplinare pendente ai fini della attribuzione di incarichi direttivi.
In disparte la considerazione che il procedimento disciplinare si è ormai concluso con la irrogazione della sanzione della censura, la questione di cui sopra è già stata esaminata e risolta dalla Sezione nella sentenza n.-OMISSIS-(nel senso della rilevanza giuridica dei procedimenti disciplinari pendenti ai fini del conferimento degli incarichi direttivi).
È stato infatti condivisibilmente evidenziato che l’art. 36, sub a), del Testo unico sulla Dirigenza giudiziaria prevede che i requisiti di attitudine e di professionalità sono desunti, tra l’altro, “da ogni altro atto facente parte del fascicolo personale del magistrato” e, al successivo sub i), fa riferimento nello stesso senso “a qualsiasi altro elemento ritenuto rilevante, risultante dagli atti del Consiglio o nella sua disponibilità, purché, ove negativo, sia stata garantita al magistrato interessato la possibilità del contraddittorio”; le disposizioni da ultimo citate attribuiscono quindi all’Organo di autogoverno un ampio quadro conoscitivo a sostegno delle proprie discrezionali valutazioni, ferme restando le situazioni tassativamente preclusive (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VII, 27 aprile 2022 n. 3309).
6.2. A tale riguardo, diversamente da quanto rappresentato nell’atto di appello, deve rilevarsi che la V^ Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del -OMISSIS-, si è lungamente soffermata sulla rilevata inidoneità dell’odierno appellante, ai fini del conferimento dell’incarico direttivo de quo, pervenendo alle seguenti conclusioni: “Dalla documentazione trasmessa dalla Procura di -OMISSIS-risulta che il dott. -OMISSIS-, avvalendosi della personale conoscenza di un membro togato del C.S.M. (dovuta anche alla comune militanza associativa), è intervenuto nelle procedure di conferimento di diversi incarichi direttivi e semidirettivi – in procedure ove non era, peraltro, personalmente coinvolto –, segnalando alcuni colleghi. Orbene, indipendentemente da ogni valutazione in merito alla rilevanza disciplinare delle condotte, tali condotte hanno determinato una significativa compromissione ed un evidente appannamento del requisito di indipendenza su cui deve fondarsi, a norma del menzionato art. 1 T.U., il giudizio di idoneità di un candidato al conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo. Questo considerando la qualifica direttiva ricoperta dal candidato al momento delle condotte (Presidente del Tribunale di -OMISSIS-) e soprattutto che alcune segnalazioni riguardavano le nomine dei Presidenti di sezione dello stesso Tribunale di -OMISSIS- e, pertanto, di figure semidirigenziali con le quali avrebbe dovuto collaborare personalmente. Il complesso delle considerazioni che precedono conduce, pertanto, ad un giudizio finale di inidoneità del candidato a ricoprire l’incarico direttivo a concorso, per difetto del prerequisito dell’indipendenza, situazione assorbente rispetto ad una eventuale e puntuale valutazione comparativa – sotto il profilo del merito e delle attitudini ….” (pag. 47).
6.3. Anche la questione relativa alla utilizzabilità o meno, nell’ambito procedimento per il conferimento degli incarichi giudiziari direttivi, delle conversazioni telefoniche legittimamente acquisite dall’Organo di autogoverno è stata affrontata e risolta in senso positivo dalla Sezione con le sentenze nn. 9343/2022 e 9315/2022, nelle quali sono state formulate le seguenti conclusioni, che il Collegio, condividendole, ritiene di ribadire anche in questa sede.
La trasmissione all’Organo di autogoverno degli elementi riguardanti magistrati emersi nel corso di indagini penali è stata oggetto di disciplina da parte del Consiglio Superiore della Magistratura con la circolare n. 510 del 15 gennaio 1994 (“Rapporti tra segreto investigativo e poteri del Consiglio Superiore della Magistratura”), che ha stabilito che "il pubblico ministero che procede deve dare immediata comunicazione al Consiglio con plico riservato al Comitato di Presidenza di tutte le notizie di reato nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possono avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio; prescindendo dall'obbligo di informazione previsto dall'art. 129 disp. att. c.p.p., gli uffici che procedono devono informare di loro iniziativa il Consiglio, oltre che dei fatti cui il procedimento si riferisce e dell'inizio, anche del suo svolgimento, nelle varie fasi e nei diversi gradi, alternativamente indicando, ove ricorrano, le ragioni che possono rendere inopportuna per il positivo sviluppo delle indagini e/o per la sicurezza delle persone la immediata comunicazione; i suddetti uffici dovranno altresì inviare di loro iniziativa i provvedimenti più rilevanti e quelli conclusivi, nelle diverse fasi e nei vari gradi, del procedimento e del processo a carico di magistrati”.
La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che in tema di mezzi di prova, i messaggi conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 cod. proc. pen. (Cassazione penale, Sez. VI, 12 novembre 2019 n. 1822) e che, in tema di prove, la copia estratta da un documento informatico ha la medesima valenza probatoria del dato originariamente acquisito, salvo che se ne deduca e dimostri la manipolazione (Cassazione penale, Sez. VI, 6 febbraio 2020 n. 12975).
I dati informatici scambiati attraverso la comunicazione (quali e-mail, sms e messaggi whatsapp), contenuti in uno strumento elettronico (computer o telefono cellulare) e archiviati su apposita memoria, hanno natura documentale, ai sensi dell’art. 234 c.p.p., sicché la loro acquisizione non costituisce attività di intercettazione disciplinata dagli artt. 266 e ss. c.p.p., atteso che quest’ultima esige la captazione di un flusso di comunicazioni in atto ed è, pertanto, attività diversa dall'acquisizione ex post del dato conservato in memoria che documenta flussi già avvenuti. Tali dati, pertanto, possono essere acquisiti attraverso lo strumento del sequestro, senza peraltro dovere adottare la disciplina stabilita per la “corrispondenza” (art. 254 c.p.p.) perché detti messaggi non rientrano nel concetto di “corrispondenza”, la cui nozione implica un'attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante consegna a terzi per il recapito. Diverso ragionamento deve farsi, invece, per l'intercettazione di email o altri messaggi similari (che di solito si attua attraverso la clonazione dell'account di posta elettronica dell’indagato e immediata trasmissione dei dati presso una postazione di decodifica), la quale si caratterizza, invece, per la contestualità tra la captazione dei messaggi e la loro trasmissione e, quindi, ha ad oggetto un flusso comunicativo in atto e in ragione di ciò l’art. 266-bis c.p.p. predispone, proprio perché trattasi di un'attività di intercettazione telematica, una tutela rafforzata e l’adozione delle garanzie relative ai presupposti di applicabilità e alla necessità della autorizzazione giurisdizionale (Cassazione penale, Sez. III, 16 aprile 2019 n. 29426).
Non emergono dunque elementi per ritenere che anche nel caso di specie i messaggi, in quanto documenti informatici legittimamente acquisiti, non potessero essere utilizzati dall’Organo di autogoverno per l’adozione del provvedimento censurato dall’odierno appellante.
6.4. Per le considerazioni di cui al punto precedente, non rileva, nel caso in esame, la giurisprudenza citata dall’appellante (Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Grande Sezione, causa C-746/18, sentenza del 2 marzo 2021 n. 746), concernente l’accesso ai dati relativi al traffico telefonico e telematico mediante richiesta ai fornitori dei servizi di telefonia fissa e di telefonia mobile.
La Corte di Giustizia ha affermato, nel precedente citato, che l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 (letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell'articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea) deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l’accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull'ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo.
Nella presente fattispecie, tuttavia, non vengono in rilievo i principi affermati dalla Corte di Giustizia, poiché le conversazioni via chat sono state acquisite dall’Autorità giudiziaria non richiedendo i dati conservati dagli operatori telefonici, ma a seguito del sequestro dell'apparecchio telefonico di soggetto indagato.
7. In conclusione, per le ragioni sopra indicate, il ricorso in appello si rivela infondato e deve essere respinto.
8. La complessità delle questioni dedotte in giudizio giustifica nondimeno l’equa compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellante.