Home
Network ALL-IN
Quotidiano
Specializzazioni
Rubriche
Strumenti
Fonti
13 febbraio 2023
Licenziamento discriminatorio connesso all’attività sindacale e oneri probatori delle parti

La Cassazione evidenzia che per avviare delle investigazioni nei confronti del lavoratore non basta il mero sospetto della commissione di illeciti.

La Redazione

Nell'ambito di una causa in tema di licenziamento, il ricorrente propone ricorso in Cassazione lamentando il fatto che i Giudici di secondo grado avessero accertato la sussistenza di una discriminazione diretta senza che ciò fosse mai stato richiesto dal lavoratore licenziato, e nonostante la domanda di quest'ultimo fosse orientata all'accertamento della fattispecie del licenziamento ritorsivo.
Inoltre, il ricorrente lamenta l'equiparazione da parte dei Giudici della pretesa ritorsione alla discriminazione.
Occorre precisare che la Corte di merito aveva rilevato sul punto che, avendo il lavoratore dedotto il licenziamento discriminatorio e ritorsivo connesso all'attività sindacale, l'art. 15 Statuto dei lavoratori inserisce tra gli atti discriminatori quelli diretti a trattamenti deteriori per cause legate all'attività sindacale del lavoratore.

Con l'ordinanza n. 2606 del 27 gennaio 2023, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, evidenziando innanzitutto come la Corte territoriale abbia applicato nel caso sottopostole il regime probatorio in materia antidiscriminatoria, chiarendo che in tema di licenziamento discriminatorio, in virtù del regime ordinario introdotto allo scopo di recepire le direttive europee nn. 2000/78/CE, 2006/54/CE e 2000/43/CE, grava sul lavoratore l'onere di allegare e provare il fattore di rischio e il trattamento che assume quale meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe. Il datore di lavoro, dal canto suo, deve dimostrare la presenza di circostanze inequivoche idonee ad escludere la natura discriminatoria del recesso.
In materia, la Cassazione aggiunge che «la nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali la L. n. 604 del 1966, art. 4, l'art. 15 Stat. Lav. e la L. n. 108 del 1990, art. 3, nonché di diritto Europeo, quali quelle contenute nelle Direttive n. 2000/78/CE, n. 2006/54/CE e n. 2000/43/CE, sicché non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico».

Inammissibile poi l'ottavo motivo di ricorso, con cui il ricorrente lamenta che la Corte territoriale avesse ritenuto che per avviare investigazioni nei confronti del dipendente non fosse sufficiente il sospetto della commissione di illeciti, ma fosse necessario che la segnalazione dell'illecito sospettato avesse contenuto specifico, oltre ad essere attendibile.
Come affermano gli Ermellini, infatti, la prova della discriminatorietà del licenziamento richiede la presenza di un giustificato dubbio, e non di un mero sospetto, allo scopo di disporre gli accertamenti investigativi sui dipendenti.

Il tuo sistema integrato di aggiornamento professionale
Non sei ancora abbonato?
Non sei ancora abbonato?