Nel caso di specie, la persona offesa aveva replicato parzialmente e solo attraverso un sms inviato al giornalista.
La Corte d'Appello confermava la responsabilità penale dell'imputato in relazione al delitto di diffamazione poichè, in qualità di Presidente di una squadra di calcio, pronunciava una dichiarazione offensiva nei confronti di Tizio durante una trasmissione televisiva in presenza di più persone. La persona offesa, non presente in...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza emessa in data 8 marzo 2021, confermava la sentenza del Tribunale capitolino, che aveva accertato la responsabilità penale di F.F., in relazione al delitto di diffamazione previsto dall'art. 595, comma 3, cod. pen. e dall'art. 13 della I. 47/1948, perché, nella sua qualità di Presidente del Rieti Calcio, durante la trasmissione televisiva di carattere calcistico trasmessa sul canale 667 "Sport in oro", intervistato dal conduttore R.M., comunicando quindi con p ù persone, definiva L.C. - agente Fifa - "mercenario"; la parte offesa interveniva in trasmissione tramite un sms, invitando il conduttore a chiedere "... gentilmente al Signor F. di non utilizzare tali espressioni nei riguardi della mia persona". Ciononostante, dopo la lettura testuale del sms il F. proseguiva con il definire il C. "sanguisuga", attribuendo fatti determinati che andavano a ledere la reputazione di L.C.. Commesso in Roma in data 08 dicembre 2013.
2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di F.F. consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il primo motivo deduce violazione di legge processuale in relazione agli artt. 178, comma 1, lett. c), 179, 184 e 185 cod. proc. pen.
Denuncia il ricorrente di non avere ricevuto rituale notifica dell'avviso di citazione in appello, in quanto aveva eletto domicilio presso l'avvocato A.G., che rinunciava alla nomina. All'udienza del 22 ottobre 2020, i difensori di fiducia nominati nelle more, ferma l'elezione di domicilio pregressa, eccepivano l'omessa notifica per l'imputato e la Corte di appello differiva, accogliendo l'eccezione, al 10 gennaio 2021. Le parti depositavano conclusioni scritte e la Corte di appello rilevava che era impossibile procedere alla notifica presso il domicilio eletto dall'imputato, per irreperibilità del difensore domiciliatario, dal che conseguiva la rinnovazione della notifica, ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., presso i difensori di fiducia.
Il ricorrente lamenta, inoltre, che dei due verbali di udienza del 22 ottobre 2020 e del 10 gennaio 2021, notificati con la finalità di citazione all'udienza in appello, il primo risultava parziale, nel senso che era incompleto e errato, mancandone parti e recando l'ultima pagina la firma di altro presidente.
Inoltre, la notifica così operata doveva ritenersi nulla, perché l'irreperibilità del difensore domiciliatario non era tale, in quanto l'avvocato G. aveva trasferito il proprio domicilio in Ascoli Piceno, come da regolare comunicazione all'Ordine professionale e, pertanto, la notifica era a farsi o presso il domicilio fisico in Roma del difensore, ovvero al nuovo indirizzo pec.
Da ciò la nullità delle notifiche della citazione in appello e la conseguente nullità del conseguente giudizio.
4. Il secondo motivo deduce violazione dell'art. 595 cod. pen.
Il ricorrente lamenta che la Corte non avrebbe dichiarato il non doversi procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, a seguito della riqualificazione a farsi del delitto di diffamazione in quello di ingiuria.
Il motivo rappresenta come abbia errato la Corte nel non ritenere 'presente' la persona offesa al momento delle dichiarazioni di F., il che doveva condurre alla invocata riqualificazione.
5. Il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione conseguente al non avere la Corte di appello dato risposta al motivo di censura relativo alla configurabilità della causa di non punibilità dell'art. 599, comma 2, cod. pen.
6. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'a1t 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
7. Depositavano conclusioni sia il difensore della parte civile L.C., chiedendo rigettarsi il ricorso e condannarsi l'imputato alla rifusione delle spese di giudizio come da nota relativa, sia anche il difensore del ricorrente che replicava alle conclusioni della Procura generale, insistendo per l'accoglimento dei motivi di ricorso.
8. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato e, pertanto, va dichiarata l'estinzione per prescrizione del reato, con rigetto del ricorso agli effetti civili.
2. Quanto al primo motivo di ricorso.
2.1 In merito alle omesse ricerche necessitate dalla irreperibilità del difensore domiciliatario dell'imputato, per trasferimento intervenuto medio tempore, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, non sono necessarie ulteriori ricerche ai sensi dell'art. 157 cod. proc. pen., per l'intervenuta elezione di domicilio.
A ben vedere, di recente Sez. U, n. 14573 del 25/11/2021, dep. 14/04/2022, D., Rv. 282848 - 02, riferendosi alla notifica effettuata a mezzo posta ed equiparandola a quella a tutti gli effetti effettuata a mezzo ufficiale giudiziario, hanno richiamato Sez. U., n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo, Rv. 239396, per le quali «gli artt. 157e 161 e seguenti cod. proc. pen. descrivono, per quanto attiene alle notificazioni all'imputato non detenuto, un percorso duplice, rafforzato dall'inizio testuale del primo di detti articoli 'salvo quanto previsto dagli artt. 161 e 162'. Si tratta di modalità di notificazioni da considerarsi alternative tra loro. [.. ] le Sezioni Unite, n. 28451, del 28/04/2011, Pedicone e n. 58120, del 22/06/2017, Tuppi, [che] hanno ribadito che il sistema delineato dagli artt. 161, 162, 163 e 164, cod. proc. pen., per le notificazioni da eseguirsi presso ii! domicilio dichiarato o eletto ovvero mediante consegna dell'atto al domiciliatario, si palesa quale complesso di disposizioni esaustivo, ai fini del perfezionamento della notificazione, e si pone come alternativo a quello previsto dall'art. 157 cod. proc. pen. per la prima notificazione all'imputato non detenuto.
Tale sistema è fondato sul dovere dell'imputato, che ne sia stato adeguatamente edotto, di dichiarare o eleggere domicilio e di comunicare alla autorità giudiziaria ogni successiva variazione ai sensi dell'art:. 161, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e non può essere contaminato con l'applicazione di disposizioni riguardanti le ipotesi della prima notificazione, con esso incompatibili.
[...] Le Sezioni Unite, Tuppi, hanno precisato che [ ...] se invece vi è stata dichiarazione o elezione di domicilio - e, dunque, vi è stato un primo contatto tra l'imputato e i soggetti indicati nell'articolo 161 cod. proc. pen. - devono essere seguite le forme dettate da quest'ultima disposizione del codice di rito e l'articolo 157, comma 8-bis, non trova applicazione.
[ ...]Le Sezioni Unite, Pedicone, a loro volta, [...] hanno affermato, inoltre, che la impossibilità di procedere alla notifica a mani della persona designata quale domiciliataria, a seguito del rifiuto di ricevere l'atto ovvero del mancato reperimento del domiciliatario o dell'imputato stesso o di altre persone idonee nel luogo di dichiarazione o elezione di domicilio, integra l'ipotesi della impossibilità della notificazione (che legittima il ricorso alle modalità indicate nell'articolo 161, comma 4, cod. proc. pen.), sicché non è consentito, in tali casi, procedere con le forme previste dall'art. 157, comma 8, cod. proc. pen. [... ] Deve aggiungersi, in linea con quanto indicato dalle Sezioni Unite, Tuppi e Pedicone, e dalla giurisprudenza maggioritaria (in questo senso, fra le tante: Sez. 6, n. 24864 del 19/4/2017, Clolan, Rv. 270031; Sez, 6, n. 52174 del 6/10/2017, Martinuzzi, Rv. 271560; Sez. 3, n. 12909 del 20/01/2016, Pinta, Rv. 268158; Sez. 6, n. 42548 del 15/09/2016, Corradini, Rv. 268223), che per integrare il presupposto di una "impossibilità" della notifica, a norma dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen., è sufficiente l'attestazione di mancato reperimento dell'imputato nel domicilio dichiarato - o del domiciliatario nel domicilio eletto - non occorrendo alcuna indagine che attesti la irreperibilità dell'imputato, doverosa solo qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall'art. 157, come si desume dall'incipit dell'art. 159 cod. proc. pen.
Di conseguenza anche la temporanea assenza dell'imputato o la non agevole individuazione dello specifico luogo indicato come domicilio abilitano l'ufficio preposto alla spedizione dell'atto da notificare a ricorrere alle forme alternative previste dall'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. La dichiarazione e l'elezione di domicilio possono essere ritenute «inidonee», in linea con il comune significato linguistico del vocabolo, non solo quando è praticamente "impossibile" la notificazione nel luogo indicato, ma anche quando, per cause diverse dal caso fortuito e dalla forza maggiore, le stesse non sono "funzionali" ad assicurare il pronto ed efficace esito positivo dell'adempimento comunicativo».
E bene, alla luce di tali principi e dell'orientamento consolidato espresso anche dalle richiamate pronunce delle Sezioni Unite, nessun accertamento o ricerca ulteriore era a farsi da parte della cancelleria a seguito della verifica della irreperibilità del difensore domiciliatario, fermo restando che comunque vi furono ben due accessi dell'ufficiale giudiziario, il 10 novembre 2020 e il 17 novembre 2020 che presero atto della irreperibilità anche fisica dell'avvocato G., domiciliatario, perché trasferito altrove.
2.2 Quanto poi alla errata o incompleta notifica dell'avviso a mezzo pec ai difensori dell'imputato, ai sensi dell'art. 161, comma 4, cocl. proc. pen., risulta dall'accesso agli atti consenti a questa Corte in tema di errar in procedendo (Cass., Sez. Un. 31 ottobre 2001, Policastro, rv. 220092), che vi sia stata la notifica del verbale del 8 marzo 2021 e di quello del 11 ottobre 2021, oltre al decreto di citazione, che conteneva tutto ciò che consentiva di ricondurre il giudizio di appello alla sentenza impugnata del Tribunale di Roma del 16850.18 del 13 dicembre 2018. Pertanto, la censura sul runto è del tutto infondata.
2.3 Infine va anche evidenziato che essendo intervenuta, comunque, la notifica dell'atto di citazione, a seguito della nomina dei nuovi difensori, con differimento della udienza di trattazione, e vertendosi in tema di modalità di notifica e non di notifica inesistente, la circostanza che non sia stata eccepita con ulteriori memorie depositate dinanzi alla Corte di appello, rende sanato ogni vizio.
Infatti, in tema di notificazione della citazione dell'imputato, la nullità assoluta e insanabile prevista dall'art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione sia stata omessa o quando, essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte dell'imputato; la medesima nullità non ricorre invece nei casi in cui vi sia stata esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, che integra una nullità di ordine generale a norma dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen., soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art. 184 comma 1, alle sanatorie generali di cui all'art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all'art. 182 cod. proc. pen (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 07/01/2005, Palumbo, Rv. 229539 - 01).
Nel caso in esame gli attuali difensori ricevevano ex art. 161, comma 4, la notifica del rinvio della trattazione al 8 marzo 2021 e dunque, in merito alle eventuali difettose modalità di esecuzione della notifica, avrebbero dovuto provvedere con deposito di memorie a eccepire eventuale nullità, sanata con la sentenza di secondo grado ai sensi dell'art. 180 cod. proc. pen.
Pertanto il motivo è manifestamente infondato.
3. Il secondo motivo è infondato.
3.1 Va premesso come in materia di diffamazione la Corte di Cassazione possa conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione, perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 832 del 21/06/2005, Travaglio, Rv 233749; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013 Rv. 256706 - 01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Dernofonti, Rv. 261284 - 01).
Nel caso in esame le espressioni utilizzate dal presidente della squadra di calcio del Rieti - nel corso della trasmissione televisiva, dal titolo 'Sport in Oro', destinata quindi ad un pubblico qualificato di appassionati di calcio - risultano oggettivamente offensive nei confronti di C., come rilevato dalla Corte di appello con adeguata motivazione.
Il contenuto delle espressioni di F. viene riportato nella sentenza impugnata: C. «si limitava ad inviare un sms al conduttore, obiettivamente privo di alcuna portata offensiva, in cui manifestava semplicemente la sua sorpresa per le offese ricevute, aggiunç1endo che in realtà il Presidente F. lo avrebbe dovuto ringraziare perché, proprio grazie ai giocatori da lui offerti, la squadra era prima in classifica (Testualmente: "Non mi piace intervenire in trasmissione ed è la prima volta che lo faccio. Al Presidente chiedo due cose, di usare altri termini nei confronti della mia persona e di onorare gli impegni presi da suo figlio....Per quanto riguarda i miei giocatori, è grazie a loro che può parlare di primo in classifica")». A ciò seguiva la replica di F. in diretta, il quale affermava: «Questo....questo continua a fare il sanguisuga non merita
risposta ....no, no, no....ma è bene che glielo dico in faccia, mica glielo mando a dire....non merita risposta .....i ragazzi sono importanti, lui vuole vivere sulla pelle degli altri, non lo può fare ».
Anche la contestualizzazione delle espressioni ne chiarisce la portata diffamatoria, d'altro canto neanche contestata da parte del ricorrente.
3.2 Va anche evidenziato che, senza che vi sia stata alcuna lesione del diritto di difesa, a fronte di una contestazione precisa in fatto, nell'imputazione ove si rende conto che le espressioni diffamatorie furono pronunciate nel corso della trasmissione televisiva, con attribuzione di un fatto determinato (art. 595, comma 2), non è corretto il richiamo al mezzo della stampa, ai sensi dell'art. 13 I. 8 febbraio 1948, n. 47, fatto proprio anche dalla Corte di appello: sia perché la norma è stata oggetto di pronuncia di illegittimità costituzionale - intervenuta con sentenza della Corte cost. n.150/2021, con conseguente analogo effetto anche per l'art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 - sia anche perché nel caso di specie, anche prima dell'intervento della Corte costituzionale, l'art. 30 cit. regolava la responsabilità penale solo del concessionario pubblico o privato o della persona delegata al controllo, non anche del conduttore o dell'intervistato nel corso della trasmissione televisiva, per quali trovava (come trova) esclusivamente applicazione, in caso di attribuzione di fatto determinato la previsione dell'art. 595, commi 2 e 3, cod. pen., vale a dire diffamazione recata attraverso altro mezzo di pubblicità, diverso dalla stampa.
3.3 Venendo al motivo di ricorso, a ben vedere la differenza fra l'ingiuria, ora non prevista più come reato, e il delitto di diffamazione, differenza rilevante per la clausola di salvezza prevista dall'esordio dell'art. 595, comma 1, cod. pen., è nella assenza - presupposto del delitto contestato - del destinatario delle espressioni offensive.
La diffamazione si caratterizza per l'«altruità» della reputazione anche rispetto alle persone presenti, mentre l'ingiuria richiede che l'offesa al decoro e all'onore avvenga nei confronti di una «persona presente».
Nel caso in esame, dalla sentenza impugnata emerge che le espressioni indicate nell'imputazione furono pronunciate nel corso della trasmissione televisiva e C., che la seguiva quale spettatore 'a distanza', inviò un sms al conduttore per una prima replica alle affermazioni di F., che lo aveva definito 'mercenario'.
E bene, la Corte di appello correttamente ritiene configu1·ata la diffamazione. Va qui richiamato il principio in forza del quale l'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502 - 01 in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva qualificato come diffamatorie le espressioni profferite dal ricorrente ad alta voce, in assenza della persona offesa, che tuttavia le aveva udite, perché impegnata in una conversazione telefonica con uno dei soggetti presenti nella stanza in cui le parole offensive erano state pronunciate). Il caso di Sez. 5 Vicaretti non è dissimile da quello in esame, ove il destinatario non è fisicamente presente all'interno dello studio televisivo, ovvero nel luogo ove vengono pronunciate le offese diffamatorie, ma le percepisce in modo indiretto.
C. non era presente nello studio televisivo, né la sua assenza fisica può ritenersi sostituita dalla percezione diretta delle offese a mezzo video, in quanto la ratio della presenza attiene proprio alla possibilità: della immediatezza della replica e, per così dire, di una «parità delle armi» fra offensore e offeso.
In tal senso, è stato ritenuto che anche l'invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa, che è partecipe di una "chat" condivisa anche da altri soggetti, e però non ha percepito nell'immediato le offese, in quanto non connessa al momento del loro recapito, integri diffamazione (Sez. 5, n. 28675 del 10/06/2022, Ciancio, Rv. 283541 - 01).
Sez. 5 Ciancio, richiamando e confermando Sez. 5, n. 13252 del 04/03/2021, Viviano, Rv. 280814 - 01, delinea quale sia il concetto di "presenza" rispetto ai moderni sistemi di comunicazione, ritenendo che, accanto alla presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso, autore del fatto e spettatori, vi siano, poi, situazioni ad essa sostanzialmente equiparabili, realizzate con l'ausilio dei moderni sistemi tecnologici (cali conference, audioconferenza o videoconferenza), in cui si può ravvisare una presenza virtuale del destinatario delle affermazioni offensive. Occorrerà, dunque, valutare caso per caso: se l'offesa viene profferita nel corso di una riunione "a distanza" (o "da remoto"), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l'offeso, ricorrerà l'ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato) (come deciso da Sez. 5, n. 10905 del 25/02/2020, Sala, Rv. 278742).
Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente "presenti" (in accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto"), ricorreranno i presupposti della diffamazione, come la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato quanto, per esempio, all'invio di e-mail (oltre alla sentenza Viviano, cfr. Sez. 5, n. 29221 del 06/04/2011, De Felice, Rv. 250459; Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Nastro, Rv. 254044; Sez. 5 n. 12603 del 02/02/2017, Segagni, non massimata sul punto; Sez. 5, n. 34484 del 06/07/2018, Badalotti, non massimata;
Sez. 5., n. 311 del 20/09/2017, dep. 2018, Orlandi, non massimata; Sez. 5, n. 14852 del 06/03/2017, Burcheri, non massimata).
A ben vedere, pur a fronte della immediatezza clella percezione, la trasmissione televisiva nel caso di specie non ha consentito l'immediatezza della replica, neanche avvenuta con una telefonata in diretta da parte di C., bensì solo con un sms al conduttore, che ne dava lettura, al quale seguiva per altro una replica ancora più offensiva da parte di F..
L'assenza fisica di C. non può venire sostituita dall'invio di un sms, che non ha consentito un contraddittorio reale, ma una forma assolutamente limitata di interlocuzione: in sostanza la presenza, che sia reale o virtuale, deve comunque essere paritaria per garantire, come osserva Sez. 5 Ciancio, un effettivo contraddittorio. Non a caso la sentenza impugnata rileva come, dopo il messaggio di replica, C. non intervenga più, ricevendo altre offese da F..
3.4 Per altro, che la nozione di presenza non comprenda anche il caso in esame, quello dello spettatore che osservi l'intervista televisiva in diretta, nel corso della quale vengano lanciate offese nei propri confronti, lo si trae anche dal dato letterale della norma che delinea la condotta di ingiuria: l'art. 594 cod. pen., abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. c) d.lgs 15 gennaio 2016, n. 7, come pure l'art. 4, stesso decreto, che introduce il corrispondente illecito amministrativo. In entrambi i casi l'ingiuria viene ritenuta tale anche se commessa quando il fatto avvenga mediante comunicazione telegrafica o telefonica, con scritti o disegni diretti alla persona offesa.
In sostanza sia il codice penale nella sua originaria previsione, che la ben più recente disciplina che depenalizza l'ingiuria, analogamente a quanto previsto dall'art. 341 cod. pen. poi abrogato, indicano limitate situazioni equiparate alla presenza, che devono però essere caratterizzate comunque da un rapporto diretto fra offensore e offeso, o ancora meglio, implicano che l'offensore si sia messo in rapporto diretto con l'offeso, tanto che autorevole dottrina evidenziava come non fosse sufficiente la direzione ideale, ma necessaria la direzione materiale, tanto che la pubblicazione di una lettera aperta su di un giornale, ovvero un disegno ingiurioso su di un muro, prospiciente l'ambiente in cui abitualmente si trova l'offeso, non consentono di ritenere integrato il requisito della presenza, cosicchè si verserebbe sempre in tema di diffamazione.
Altrettanto accade nel caso in esame, in quanto la comunicazione a mezzo televisione non può certamente ritenersi espressiva di un rapporto diretto, tanto più che tale media non è neanche citato per l'ingiuria, quale modalità di comunicazione integrante comunque una equipollente presenza fisica, cosicchè si resta al di «fuori dai casi indicati» dall'art. 594 cod. pen., rientrando nel delitto di diffamazione.
E dunque la Corte di appello fa buon governo dei principi giurisprudenziali consolidatisi in materia, con una motivazione logica e coerente rispetto alla quale le censure difensive sono infondate.
3.5 Pertanto può affermarsi che integra il delitto di diffamazione, aggravato da mezzo di pubblicità diverso dalla stampa, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, la dichiarazione offensiva resa nel corso di una intervista televisiva alla quale il destinatario, non presente in studio, abbia replicato parzialmente e solo attraverso un sms inviato al giornalista, essendo necessario per l'ingiuria che l'offensore si ponga in rapporto diretto con l'offeso e che quest'ultimo abbia la possibilità di un contraddittorio immediato ed in forme adeguate, rispettose di una sostanziale «parità delle armi».
4. Il terzo motivo è generico perché non si confronta con la sentenza impugnata.
A ben vedere la Corte di appello replica alla censura, che invocava la causa di non punibilità della provocazione, senza citare l'art. i99 cod. pen. ma evidenziando come nelle espressioni di C. non vi fosse alcun fatto ingiusto altrui, tale da provocare lo stato d'ira di F. nella controreplica.
A riguardo rileva questa Corte come la valutazione di fatto operata dalla sentenza impugnata risulti corretta e logica: le prime espressioni di F. nascevano senza alcuna previa interlocuzione con C., né è stato provato che C. avesse in precedenza agito ingiustamente, vale a dire in modo caratterizzato da ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non valutate con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale (Sez. 5, n. 23031 del 03/03/2021 , Tripoli, Rv. 281377 - 01).
5. Il complessivo rigetto del ricorso, con l'istaurarsi di un corretto rapporto processuale, impone dichiararsi l'estinzione per prescrizione del reato, maturata in data 8 giugno 2021, a fronte del decorso di anni sette e mesi sei a partire dal 8 dicembre 2013, non sussistendo, per le ragioni fin qui evidenziate, elementi che possano comportare il proscioglimento nel merito dell'imputato ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274), bensì elementi che determinano il rigetto del ricorso agli effetti civili.
6. Ne consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e il rigetto agli effetti civili del ricorso.
7. Dal rigetto del ricorso agli effetti civili, discende invece la condanna del ricorrente F. alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile C., che vanno liquidate in complessivi euro quattromila, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 4000,00 oltre accessori di legge.