Nel caso di specie, la persona offesa aveva descritto la violenza sessuale nel corso dell'esame dibattimentale senza sminuirne il fatto ovvero senza alcuna rettifica diretta a ridimensionarlo e, a fortiori, senza compiere alcuna ritrattazione.
L'imputato ricorre in Cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza di secondo grado deducendo la violazione
Svolgimento del processo
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, previo riconoscimento della circostanza di cui all'art. 609 bis comma 3 cod.pen. in relazione al capo 2), ha ridotto la pena inflitta all'imputato, ad anni tre di reclusione, in relazione ai reati di cui all'art. 572 cod.pen. (capo 1), artt. 609 bis, 609 tercomma 4 quatercod.pen. (capo 2), artt. 582-585 in relazione all'art. 576 n. 1 cod.pen. (capo 3).
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l'annullamento deducendo con un unico motivo di ricorso la violazione di cui all'art. 606 comma 1 lett. e) cod.proc.pen. in relazione alla conferma della affermazione della responsabilità ed assenza di motivazione in relazione alla valutazione della ritrattazione della persona offesa. Argomenta il ricorrente che la corte territoriale, nel confermare il giudizio di responsabilità penale in relazione al reato di violenza sessuale, non avrebbe reso una motivazione con riferimento alla ritrattazione della persona offesa in punto consensualità del rapporto sessuale, né avrebbe valutato la circostanza che la donna aveva scritto che denuncia era stata determinata dalla rabbia e che successivamente i coniugi si era rappacificati. Chiede l'annullamento della sentenza.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
4. Il ricorso, che proviene dalla settima sezione non essendo stata ravvisata una causa di inammissibilità, non mostra ragioni di fondatezza e va, pertanto, rigettato.
Va rilevato che il ricorso non contiene censure in relazione ai reati di cui all'art. 572 cod.pen. (capo 1) e artt. 582-585 in relazione all'art. 576 n. 1 cod.pen. (capo 3), essendo unicamente censurato il capo dell'affermazione della responsabilità per il reato di violenza sessuale di cui al capo 1).
In relazione al motivo di doglianza, ed in particolare in ordine alla censura di omessa motivazione in relazione alla valutazione della 'ritrattazione', osserva, la Corte, che può essere esaminata prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente. Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo cui occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d'appello (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 - 01; Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303, Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, Scardaccione, Rv. 197250).
Ciò premesso, risulta, dalla sentenza di primo grado, che nel corso del suo esame, la persona offesa aveva confermato di avere scritto di suo pugno una lettera indirizzata al Tribunale in cui rappresentava la volontà di rimettere la querela nei confronti del compagno in quanto era cambiato e dichiarava che i fatti denunciati non corrispondevano alla verità, non avendo il ricorrente abusato sessualmente della stessa in quanto l'imputato aveva solo insistito ad avere un rapporto sessuale. La teste, poi, proseguiva nell'esame raccontando le condotte di maltrattamento, alla presenza dei figli minori (capo 1), l'episodio di lesioni personali (capo 3), e, quanto alla violenza sessuale, narrava che nell'agosto 2020 l'imputato si era avvicinato alla stessa palpeggiandola e, al suo rifiuto ad avere un rapporto sessuale, l'aveva costretta con la forza aprendole le gambe e così aveva avuto un rapporto sessuale contro la sua volontà (cfr. pag. 4).
La corte territoriale, seppur con succinta motivazione, ha risposto alla censura difensiva, argomentando come la lettera scritta dalla persona offesa in cui aveva scritto che l'atto sessuale era consensuale e che, dunque, negava che l'imputato avesse abusato sessualmente della stessa, originata dalla volontà di ridimensionamento dei fatti a seguito di rappacificazione, 'non incideva sulla ricostruzione dei fatti' come operata dalla persona offesa nel corso dell'esame dibattimentale, esame dibattimentale nel corso del quale ella aveva raccontato con dovizia di particolari le condotte di maltrattamento anche violente poste in essere dal compagno, che hanno trovato, per inciso, conferma in altre fonti testimoniali, e nel clima famigliare vissuto nel contesto del quale si inserisce
l'episodio di violenza sessuale. La violenza sessuale è stata descritta compiutamente dalla donna senza che la stessa abbia sminuito il fatto, senza alcuna rettifica diretta a ridimensionarlo e, a fortiori, senza compiere alcuna ritrattazione.
I giudici del merito hanno ritenuto che le dichiarazioni rese nel corso dell'esame dibattimentale restituivano un quadro probatorio assolutamente chiaro in ordine all'affermazione della responsabilità penale del ricorrente, e che queste non erano inficiate dal contenuto della lettera, di cui la persona offesa aveva confermato unicamente la paternità, escludendo, in definitiva, che vi fosse stata ritrattazione.
Infine, nemmeno il ricorrente contesta l'attendibilità della persona offesa.
Si impone il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.