Condannata la conducente poiché mentre effettuava una manovra di retromarcia urtava una donna ultraottantacinquenne che, perdendo l'equilibrio, cadeva a terra fratturandosi un polso.
La Corte d'Appello di Firenze confermava la decisione con la quale il Tribunale aveva condannato l'imputata perché riconosciuta colpevole del delitto di cui all'
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Firenze, pronunciando sul gravame nel merito proposto dall'odierna ricorrente A. T., con sentenza del 18/11/2021 ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, all'esito di giudizio ordinario, l'aveva condannata alla pena condizionalmente sospesa, con la non menzione, di mesi due di reclusione e sospensione della patente di guida per tre anni in quanto riconosciutala colpevole del delitto p. e p. dall'articolo 590 bis c.p. perché, per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti , ordini o discipline ed, in particolare, per violazione delle norme sulla circolazione stradale, cagionava lesioni personali gravi a L. R., consistite in politrauma con frattura avambraccio sinistro refertate e giudicate guaribili in un periodo di tempo superiore a 40 giorni. Colpa consistita nell'avere - mentre si trovava alla guida dell'autovettura FIAT, targata (omissis), per correndo via F. in direzione V. C., giunto all'altezza del bar (omissis) - in violazione dell'art. 154 D.Ivo. 30 aprile 1992 n. 285 (Codice della Strada) e comunque delle norme di prudenza che impongono di conformare la condotta di marcia alle caratteristiche della strada al fine di evitare pericoli per la sicurezza delle persone, effettuato una manovra di retromarcia, senza assicurarsi di poterla effettuare in condizioni di sicurezza, così investendo il pedone L.R. che lo seguiva, cagionandogli le lesioni personali sopra indicate. In Siena il 13.4.2016
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, la T., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen.
Con un primo motivo la ricorrente denuncia travisamento della prova e contraddittorietà delle motivazioni, nonché violazione dei canoni di valutazione della prova ex art. 192 cod. proc. pen. ed inversione del corretto ragionamento logico probatorio, con riguardo alle motivazioni articolate nella sentenza impugnata globalmente considerate.
Si ricorda in ricorso che la Corte territoriale, confermando quanto affermato dal tribunale di primo grado ha affermato: "La dinamica del sinistro, incontestata, mette in risalto plurimi profili di colpa nella condotta tenuta dall'imputata, in quanto la stessa, nell'effettuare la manovra di retromarcia in un luogo transitato da pedoni, non prestava adeguata attenzione alle condizioni del traffico, per imprudenza, non si avvede della presenza di due persone per negligenza, oppure, se le vide, calcolò male le distanze, per imperizia, così urtando la persona offesa che perdeva l'equilibrio, cadeva al suolo e si procurava la frattura del polso, nella condotta tenuta da T. si ravvisa anche un profilo di colpa specifica, costituita dalla violazione dell'art. 154 del codice della strada, per come contestato nell'imputazione" (il richiamo è a pag. 4 della sentenza della impugnata).
Quanto appena riportato, per la ricorrente, appare infondato in quanto, nel caso di specie, a dispetto di quanto affermato nella sentenza impugnata, non sarebbe stato dimostrato che la T. abbia compiuto la manovra di retromarcia con negligenza, imprudenza ed imperizia. Al contrario, nel corso del dibattimento sarebbe emerso che la T., nel compiere la manovra, procedeva a "passo d'uomo" prestando tutte le attenzioni che una manovra di retromarcia richiede. La R., invece, dal canto suo, sentita all'udienza del 6/11/2018, dichiarava di non saper descrivere la dinamica dell'incidente, affermando di essersi trovata "in terra" senza avvedersi del veicolo condotto dalla T..
In sostanza la dichiarazione della R. lascerebbe chiaramente intendere che la stessa, non prestando la dovuta attenzione, invadeva l'area di manovra del veicolo condotto dalla T.. Nel corso del dibattimento non sarebbe stato dimostrato che la T. conducesse la manovra di retromarcia a velocità non adeguata ai luoghi e alle circostanze né tantomeno è stato dimostrato che l'imputata abbia, in qualche modo, violato le norme del codice della strada.
La colpevolezza dell'imputata, nel caso trattato, sarebbe stata in sostanza dedotta dalle sole lesioni riportate dalla R., senza neanche tener conto che dette lesioni certamente si sarebbero manifestate nella gravità conosciuta solo in funzione dell'età della parte offesa che, alla data del sinistro, il 13 aprile 2016, era ultraottantacinquenne. Infatti, dalla ricostruzione dei fatti è emerso che l'impatto tra il veicolo e la R. è stato lievissimo (circostanza che conferma il fatto che la T. procedeva a bassissima velocità) Paragonabile a una lieve, lievissima spinta che faceva perdere l'equilibrio alla parte offesa, la quale, cadendo a terra, si pro curava la frattura del polso.
Secondo la tesi proposta in ricorso dal dibattimento, in sostanza, sarebbe emerso che la T. non assumeva nessun comportamento tacciabile di negligenza, imperizia e/o imprudenza.
In sostanza il Tribunale di Siena prima e la Corte d'Appello di Firenze poi avrebbero fondato le proprie decisioni su delle mere supposizioni.
Pertanto, la sentenza impugnata, da una valutazione unitaria e globale, risulterebbe manifestamente illogica e priva di una motivazione valida, in quanto il ragionamento articolato dalla Corte territoriale non si svilupperebbe secondo canoni razionali e massime d'esperienza, congetturale, essendo fondata su mere ipotesi e afflitta da evidenti errori nell'applicazione delle regole di logica, contrastante con le risultanze istruttorie e, comunque, priva di un riscontro probatorio, essendo le motivazioni adottate dalla Corte territoriale non supportate dalle prove acquisite al dibattimento e dalle evidenze tecnico-scientifiche notoriamente conosciute ed acquisite nel corso del processo;
La sentenza impugnata, infine, sarebbe stata pronunciata in violazione del canone del "ragionevole dubbio", in quanto, anche a voler ammettere ché nel caso di specie vi siano degli indizi a carico dell'imputata, comunque, non si potrebbe affermare che la colpevolezza della T. veniva provata oltre ogni ragionevole dubbio.
Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla violazione e/o individuazione e/o contestazione della regola cautelare violata.
Il presupposto del reato in oggetto, ascritto alla T. -si legge in ricorso- è rappresentato dalla specifica violazione della regola generale in tema di diligenza ed attenzione da usare sulle strade. La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che la colpa c.d. stradale, oltre che concretarsi nella violazione delle specifiche norme di comportamento contenute nel codice della strada, può consistere nella negligenza, imperizia o imprudenza nella circolazione sulla pubblica via.
Alla luce di tale principio, pertanto, si assume che le regole cautelari le cui violazioni sono state assunte a presupposto della penale responsabilità della T. non appaiono sussistere o, comunque, non venivano contestate.
Nel caso trattato si sarebbe semplicemente dedotta una imprudenza o una imperizia della T. in funzione delle lesioni riportate dalla parte offesa senza individuare e/o contestare la regola cautelare violata. Infatti, come visto la Corte afferma: "... non prestava adeguata attenzione alle condizioni del traffico, per imprudenza, non si avvede della presenza di due persone per negligenza, oppure, se la vide, calcolò male le distanze, per imperizia (, ..)".
Appare innegabile, per la ricorrente, che quanto appena riportato dimostrerebbe che non vi è alcuna conoscenza di come siano andati i fatti e quale regola cautelare si assuma come violata, in quanto non è dato sapere, ad esempio, se la T. non abbia visto i pedoni per negligenza oppure li abbia visti e abbia agito con imprudenza.
Come è noto, si ricorda in ricorso, l'art. 43 cod. pen., con il richiamo alla negligenza, imprudenza ed imperizia ed alla violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, delinea una prima fondamentale connotazione della colpa: si tratta di una condotta posta in essere in violazione di una norma cautelare. Dunque nel verificare la sussistenza di una responsabilità colposa occorre tener conto in primo luogo dell'oggettiva violazione di norme cautelari e anche della concreta possibilità per l'agente di conformarsi alla regola. Ciò in relazione alle sue qualità e capacità personali. Prevedibilità ed evitabilità dell'evento sono all'origine delle regole cautelari ed al contempo costituiscono il fondamento del giudizio di rimproverabilità personale. Ebbene, sotto il profilo dell'evitabilità dell'evento, l'art. 43 c.p., stabilisce che il delitto è "colposo quando l'evento non è voluto e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia". La norma evoca la causalità della colpa.
Come è facile intuire, infatti, la responsabilità colposa non può estendersi a tutti gli eventi derivati dalla violazione della norma ma deve ritenersi circoscritta ai soli risultati che la norma stessa mira a prevenire.
Ciò significa che, ai fini della responsabilità colposa, l'accadimento verificatosi deve rientrare tra quelli che la norma di condotta tendeva ad evitare, deve costituire la concretizzazione del rischio. Nel caso trattato, non è dato sapere come effettivamente si sia verificato il sinistro e non è stata individuata la regola caute lare che avrebbe portato ad evitare l'incidente se rispettata dalla T..
Per il ricorrente il Tribunale di Siena e la Corte d'Appello, ragionando ex post, in funzione delle sole lesioni riportate dalla R. desumevano che la T. fosse stata negligente o imprudente.
Nel caso trattato, quindi, il giudice di primo grado e la Corte d'Appello, ancora una volta, non avrebbero valutato correttamente quanto effettivamente accaduto e quanto emerso dall'istruttoria del processo, pronunciando sentenza nella quale non veniva individuata e/o contestata, come avrebbe dovuto, la regola cautelare che si riteneva violata dall'imputata.
Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata.
3. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l'udienza senza discussione orale ex art. 611 co. 1 cod. proc. pen. -non essendo stata chiesta la trattazione in pubblica udienza ai sensi dell'art. 611 co. 2 cod. proc. pen. - il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Motivi della decisione
1. I motivi sopra illustrati tendono a sollecitare a questa Corte una rivalutazione del fatto non consentita in questa sede di legittimità. Peraltro, gli stessi sono generici e si sostanziano nella riproposizione delle medesime doglianze già solle vate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito.
Per contro, l'impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.
Il proposto ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.
2. In premessa va rilevato che, in ragione dell'inammissibilità del ricorso non assume rilievo l'entrata in vigore, dopo la proroga, del decreto legislativo che ha dato attuazione alle Legge 134 del 27 settembre 2021 (la cosiddetta "riforma Cartabia") che ha previsto che le lesioni stradali personali gravi o gravissime siano diventate procedibili soltanto a querela di parte, restando in vigore la procedibilità d'ufficio soltanto nel caso in cui si siano verificate delle circostanze aggravanti, che non è quello che ci occupa.
Ciò in quanto le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità, alla cui condivisibile motivazione si rimanda, hanno chiarito che, in tema di condizioni di procedibilità, con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela (in quel caso per effetto del d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36, ma il principio ha portata generale) ed ai giudizi pendenti in sede di legittimità, l'inammissibilità del ricorso esclude che debba darsi alla persona offesa l'avviso previsto dall'art. 12, comma 2, del predetto decreto per l'eventuale esercizio del diritto di querela (Sez. Un. n. 40150 del 21/6/2018, Salatino, Rv. 273551).
Quanto alla denunzia di violazione dell'art 192 cod. proc. pen. va peraltro ricordato che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità, cui il Collegio aderisce, poiché la mancata osservanza di una norma processuale intanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall'art. 606, co. 1, lett. c) cod. proc. pen., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell'art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata» (così questa Sez. 4, n. 51525 del 4/10/2018, M., Rv. 274191; in conformità v., già in precedenza, Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, Pecorelli e altro, Rv. 271294; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 del 8/1/2004, Meta ed altro, Rv. 229159-01; Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta, Rv. 195306; più recentemente, v. Sez. 6, n. 4119 del 30/05/2019, dep. 2020, Romeo Gestioni s.p.a., Rv. 278196).
3. La dinamica del fatto e i profili di colpa ascrivibili alla T. sono stati ampiamente illustrati sin dalla sentenza di primo grado, a fronte del quale l'unico motivo di appello (pag.6-7 del gravame datato 29.7.2019 a firma dell'Avv. D. C.), era anch'esso del tutto generico.
L'imputazione -diversamente da quanto si sostiene- individua non solo profili di colpa generica ma anche la specifica violazione dell'art. 154 cod. strada, norma secondo cui; 1. I conducenti che intendono eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra o a sinistra, per impegnare un'altra strada, o per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono: a) assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posi zione, distanza, direzione di essi; b) segnalare con sufficiente anticipo la loro intenzione. 2. Le segnalazioni delle manovre devono essere effettuate servendosi degli appositi indicatori luminosi di direzione. Tali segnalazioni devono continuare per tutta la durata della manovra e devono cessare allorché essa è stata completata. Con gli stessi dispositivi deve essere segnalata anche l'intenzione di rallentare per fermarsi. Quando i detti dispositivi manchino, il conducente deve effettuare le segnalazioni a mano, alzando verticalmente il braccio qualora intenda fermarsi e sporgendo, lateralmente, il braccio destro o quello sinistro, qualora intenda voltare. 3. I conducenti devono, altresì: (... ) c) nelle manovre di retromarcia e di immissione nel flusso della circolazione, dare la precedenza ai veicoli in marcia normale.
La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento impugnato tutte le tesi oggi riproposte, facendo corretta applicazione del principio, costantemente affermato da questo giudice di legittimità, e che va qui ribadito, per cui la manovra di retromarcia va eseguita con estrema cautela, lentamente e con il completo controllo dello spazio retrostante, conseguendone che il conducente, qualora si renda conto di avere alle spalle una strada che non rende percepibile l'eventuale presenza di un pedone o il sopraggiungere di altri mezzi, se non può fare a meno di effettuare la manovra, deve porsi nelle condizioni di controllare la strada, ricorrendo, se del caso, alla collaborazione di terzi che, da terra, lo aiutino per consentirgli di fare retromarcia senza alcun pericolo per gli altri utenti della strada (così Sez. 4, n. 35824 del 27/6/2013, Camporesi, Rv. 256959; conf. Sez. 4, n. 8600/1993; in termini non dissimili, Sez. 4, n. 14434/1990 e Sez. 4, n. 12117/1989).
In altra pronuncia, si è affermato che la manovra di retromarcia va eseguita con estrema cautela, lentamente e con il completo controllo dello spazio retro stante, conseguendone che il conducente, qualora si renda conto di avere alle spalle una strada che non rende percepibile l'eventuale presenza di un pedone, se non può fare a meno di effettuare la manovra, ha l'obbligo di controllare la strada, eventualmente ricorrendo alla collaborazione di terzi per consentirgli di fare retro marcia senza alcun pericolo per gli altri utenti della strada (Sez. 4, n. 8591 del 7/11/2017, dep.2018, Carbone, Rv. 272485).
Già in precedenza, peraltro, si era condivisibilmente chiarito che, ove, per la particolarità del caso, ogni misura prudenziale dovesse risultare insufficiente, op pure non adottabile, al conducente si impone l'obbligo di rinunciare alla manovra, piuttosto che porre a repentaglio l'incolumità di terzi (così la risalente, ma ancora attuale, Sez. 4 6246/1989), soprattutto quando sia possibile evitare la retromarcia, effettuando una agevole manovra alternativa tale da consentire una corretta immissione nel flusso della circolazione.
4. Con riferimento al caso in esame - afferma la Corte territoriale con motivazione priva di aporie logiche e corretta in punto di diritto - la dinamica del sinistro, incontestata, mette in risalto plurimi profili di colpa nella condotta tenuta dall'imputata, in quanto la stessa, nell'effettuare la manovra di retromarcia in un luogo transitato da pedoni, non prestava adeguata attenzione alle condizioni del traffico, per imprudenza, non si avvedeva della presenza di due persone, per negligenza, oppure, se le vide, calcolò male le distanze, per imperizia , così urtando la persona offesa che perdeva l'equilibrio, cadeva al suolo e si procurava la frattura del polso. Nella condotta tenuta da T. i giudici del gravame del merito ravvisano, come già evidenziato, anche un profilo di colpa specifica, costituita dalla violazione dell'art. 154 del codice della strada, per come contestato nell'imputazione.
I giudici di appello si confrontano anche con la tesi difensiva secondo cui la parte offesa avrebbe invaso l'area di manovra del veicolo condotto dall'imputata, confutandolo sul rilievo che, a prescindere dalla considerazione che l'assunto è privo di riscontro e non è stato neppure sostenuto dall'imputata, se anche corrispondesse al reale andamento dei fatti, non verrebbe meno la responsabilità col posa dell'imputata, chiamata comunque a prevenire incidenti stradali riconducibili alle condotte colpose altrui - peraltro solo asseritamente sussistenti.
Per la Corte territoriale il fatto che l'urto sia stato di lieve entità non assume rilevanza alcuna, atteso che la sua forza è stata causa della caduta della R. L., dalla quale sono derivate le lesioni personali patite.
In definitiva, immune dalle proposte censure di legittimità appare la conclusione della Corte fiorentina secondo cui l'atto di appello non è idoneo a confutare il percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado, radicato su prove orali e documentali che hanno consentito di ricostruire i fatti in termini precisi , così da ricavarne la prova della penale responsabilità dell'imputata in ordine alle lesioni personali cagionate per colpa
5. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cast. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della san zione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.