Le innovazioni in materia di procedibilità a querela possono operare retroattivamente, ma tale retroattività incontra un limite nella presentazione di un ricorso fondato su motivi inammissibili.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Salerno, con la pronuncia di cui in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la responsabilità di (omissis) per il reato di furto aggravato avente a oggetto beni posti in vendita all'interno di una farmacia.
2. Avverso la sentenza di secondo grado l'imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su un motivo, di seguito enunciato nei termini strettamente necessari alla motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.). Si deduce l'errore nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non considerare il motivo d'appello con il quale si censurava la sentenza di primo grado per aver ritenuto sussistente l'aggravante della violenza sulle cose nonostante l'assenza di una relativa contestazione, invece avente a oggetto un furto aggravato dalla destrezza e dall'esposizione a pubblica fede.
3. Le parti hanno depositato conclusioni nei termini di cui in epigrafe.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile, non essendosi il ricorrente confrontato a con la ratio decidendi sottesa alla decisione.
Come costantemente affermato dalla Corte di legittimità (ex p/urimis, Sez.6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584), difatti, la funzione tipica dell'impugnazione è quella della critica argomentata, avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell'atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Ne consegue che, se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò solo si destina all'inammissibilità, venendo meno in radice l'unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente impugnato, lungi dall'essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato.
2. Nella specie la Corte territoriale ha escluso l'aggravante del mezzo fraudolento, l'unica contestata in rubrica insieme all'aggravante dell'esposizione a pubblica fede (quest'ultima non esclusa in appello), e, ferma restando la ritenuta insussistenza delle circostanze attenuanti generiche, ha condannato l'imputato, all'esito di giudizio abbreviato in appello, alla pena finale di un anno e quattro mesi di reclusione ed euro 650,00 di multa.
Sicché, emerge con certezza che il giudice d'appello non abbia considerato la circostanza aggravante (non contestata) della violenza sulle cose ma solo l'aggravante dell'esposizione a pubblica fede. La Corte territoriale, per addivenire, considerata la riduzione per il rito, a una pena di un anno e quattro mesi di reclusione, è difatti partita dalla pena base che l'art. 625, comma primo, cod. pen. contempla per il furto circostanziato da una sola delle aggravanti di cui allo stesso articolo (determinandola peraltro nel minimo edittale di anni due di reclusione), e non dalla pena base invece prevista dal comma successivo per il furto pluriaggravato.
3. E infine inconferente quanto prospettato dal ricorrente in sede di conclusioni scritte circa la declaratoria d'improcedibilità, per assenza di querela, in ragione delle modifiche delle condizioni di procedibilità apportate all'art. 624, comma terzo, cod. pen., tanto in ragione della presenza in atti della querela, come emergente dal penultimo capoverso del verbale del 20 maggio 2016 di cui agli atti, quanto in forza dell'inammissibilità dei motivi di ricorso, cui consegue l'irrilevanza, nei termini di seguito specificati, della sopravvenuta procedibilità del reato a querela.
3.1. In merito alla seconda delle due argomentazioni di cui innanzi è il caso di chiarire quanto segue perché, in ragione dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, che ha modificato l'art. 624, comma terzo, cod. pen., il reato in esame è difatti oggi procedibile a querela di parte.
L'art. 85 del citato decreto (come modificato dalla legge n. 199 del 2022, di conversione del d.l. n. 162 del 2022), nel dettare disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità, ha stabilito che «per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato».
3.2. In materia trova applicazione il principio che fu affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con riferimento ai reati divenuti perseguibili a querela per effetto del n. 36 del 2018. La disciplina transitoria prevedeva, 12comma 2 d.lgs. n. 36 del 2018), che dovesse essere dato avviso alla persona offesa della possibilità di proporre querela e la Suprema Corte ritenne che questo avviso non dovesse essere dato, nei giudizi pendenti in sede di legittimità, in casi di inammissibilità del ricorso (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, Salatino, Rv. 273551).
Fu rilevato, facendo ampio riferimento ai principi affermati in altre decisioni di legittimità (in particolare Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266819), <<che l'art. 129 cod. proc. pen. non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo del processo, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che presuppone il pieno esercizio della giurisdizione. Non riveste, cioè, per quanto qui interessa, una valenza prioritaria rispetto alla disciplina della inammissibilità, attribuendo al giudice dell'impugnazione un autonomo spazio decisorio svincolato dalle forme e dalle regole che presidiano i diversi segmenti processuali, ma enuncia una regola di giudizio che deve essere adattata alla struttura del processo e che presuppone la proposizione di una valida impugnazione» (così testualmente pag. 15 della motivazione).
3.3. L'argomentazione, mutatis mutandis, si attaglia perfettamente anche al caso in esame consentendo quindi di escludere che il procedimento sia «pendente» in presenza di un ricorso inammissibile.
Come sottolineato anche dalla citata sentenza Sez. U, n. 12602, Ricci, tale affermazione non è in contrasto con i diritti fondamentali sul giusto processo garantiti dalla CEDU. È onere della parte interessata, infatti, attivare correttamente il rapporto processuale di impugnazione, con la conseguenza che il mancato rispetto delle regole processuali paralizza i poteri cognitivi del giudice e non vengono perciò in considerazione l'equità o la razionalità del processo. La sopravvenienza della procedibilità a querela, peraltro, ha valore ben diverso dalla abolitio criminis e la giurisprudenza ha costantemente escluso che il giudice dell'esecuzione possa revocare la condanna rilevando la mancata integrazione del presupposto di procedibilità (in tal senso, da ultimo, Sez. 1, n. 1628 del 03/12/2019, dep. 2020, Cela, Rv. 277925; sull'argomento si veda anche Sez. 2, n. 14987 del 09/01/2020, Pravadelli, Rv. 279197).
Come opportunamente rilevato dalla citata sentenza Sez. U, n. 40150, Salatino, inoltre, la mancanza della condizione di procedibilità viene comunemente trattata nel giudizio di legittimità come una questione di fatto, soggetta alle regole della autosufficienza del ricorso (cfr. Sez. 6, n. 44774 del 08/10/2015, Raggi, Rv. 265343) e ai limiti dei poteri di accertamento della . Cassazione (cfr. Sez. 3, n. 39188 del 14/10/2010, S., Rv. 248568); sicché, no può dirsi che la declaratoria di inammissibilità sia destinata ad essere messa in " crisi da una ipotetica, incondizionata necessità di verifica dello stato della condizione di procedibilità come richiesta dalla normativa subentrata (in tal senso Sez. U, n. 40150 del 2018, Salatino, cit., pag. 16 della motivazione).
3.4. In conclusione, come già argomentato con riferimento allo specifico intervento legislativo anche da Sez. 4., n. 2658 del 11/01/2023, Saitta (non massimata), consegue che la disciplina codicistica dei mutamenti normativi favorevoli diversi dalla abolitio criminis non consente di sostenere che, nel rapporto tra ricorso caratterizzato da motivi inammissibili e innovazioni normative che introducono la procedibilità a querela, debbano applicarsi regole diverse da quelle che, in base alla giurisprudenza assolutamente prevalente, si applicano nei rapporti tra ricorso inammissibile e mutamenti normativi favorevoli in materia di cause di non punibilità e, in particolare, di cause estintive del reato, aventi natura più marcatamente sostanziale. Ne consegue che le innovazioni in materia di procedibilità a querela possono operare retroattivamente, ma tale retroattività incontra un limite nella presentazione di un ricorso fondato su motivi inammissibili.
Nessuna indicazione in senso contrario può essere tratta dalla disciplina transitoria dettata dall'art. 85 d.lgs. n. 150 del 2022. Il legislatore, infatti, si è limitato a prevedere una generale restituzione nel termine per querelare che, per i reati in precedenza procedibili d'ufficio, decorre dalla data di entrata in vigore della riforma, secondo il brocardo /ex interpellat pro iudice. Non ha fatto altro, quindi, che avvalersi della possibilità contemplata dall'art. 124, comma 1, cod. pen. che, con l'espressione «salvo che la legge disponga altrimenti», consente di far decorrere il termine per querelare da un giorno differente rispetto a quello in cui la persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce reato. Com'è evidente, una disciplina siffatta non può incidere sul rapporto tra le innovazioni normative in materia di procedibilità e l'inammissibilità del ricorso e poiché tale inammissibilità, anche se dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione la si deve dichiarare senza che vi sia necessità di verificare se la persona offesa abbia proposto querela o intenda farlo.
4. In conclusione, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione. della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso ne, termini innanzi evidenziati (Corte Supr. 13 giugno 2000, n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.