E non dal momento della domanda giudiziale.
Svolgimento del processo
1. G. V. ricorre, sulla base di quattro motivi,, per la cassazione della sentenza n. 597 /19, del 19 novembre 2019, del Tribunale di Enna, che - accogliendo il gravame esperito da I. F., nella qualità di amministratore di sostegno di M. R., contro la sentenza n. 20/16, del 6 giugno 2016, del Giudice di pace di Agira - ha rigettato l'opposizione dallo stesso proposta avverso il precetto con cui la F. gli aveva intimato il pagamento della somma di € 3.019,00, in forza di titolo esecutivo costituito dall'ordinanza presidenziale emessa, il 4 dicembre 2014, nell'ambito del giudizio di divorzio pendente tra il V. e la R..
2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente che, adottato dal Presidente del Tribunale di Enna il provvedimento ex art. 708 cod. proc. civ. sopra meglio individuato (che prevedeva la corresponsione, in favore della R., di un assegno mensile di € 150,00), esso V. tentava più volte, sempre senza successo, di provvedere alla corresponsione del dovuto. Il medesimo, infatti, sollecitava ripetutamente la comunicazione del codice IBAN del conto corrente postale ove procedere all'accredito delle somme dovute, cercando pure di effettuare il pagamento - anche in questi casi, infruttuosamente - attraverso vaglia postali ed assegni bancari. Per tale ragione, dunque, egli accoglieva con sorpresa l'avvenuta notificazione - in data 16 settembre 2015 - dell'atto di precetto, oltretutto per un importo non corrispondente al dovuto, pari, a suo dire, alla minor somma di € 2. 700,00 (ovvero,€ 150,00, per quindici mensilità).
Su tali basi, dunque, il V. proponeva opposizione, contestando, in primo luogo, la pretesa della creditrice - alla base dell'intimazione notificatagli di pagare il maggior importo di € 3.019,00, quale sorta capitale - di far decorrere l'obbligo di pagamento dal momento della domanda giudiziale, e non dall'adozione del provvedimento presidenziale. In secondo luogo, egli contestava - in relazione alle somme maturate clopo la pronuncia dell'ordinanza del 4 dicembre 2014 - l'imputabilità del ritardo, essendosi, a più riprese, adoperato per procedere al pagamento.
Accolta l'opposizione dal primo giudice, la decisione e1 a però riformata da quello di appello, su gravame della creditrice opposta.
3. Avverso la sentenza del Tribunale ennese ha proposto
ricorso per cassazione il V., sulla base - come detto - di quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo è denunciata - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione e falsa applicazione dell'art. 4 della legge 1 ° dicembre 1970, n. 898 e dell'art. 708 cod. proc. civ.
Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l'obbligo di pagamento dovesse decorrere., non dalla daata di adozione del provvedimento presidenziale, bensì dalla domanda giudiziale, esito motivato sul rilievo che il diritto del coniuge divorziando a conseguire l'assegno di mantenimento non tragga "origine da una pronuncia costituiva", ma sia "connesso ad uno status del quale la parte è già titolare".
Siffatta conclusione, assume il ricorrente, non sarebbe in linea con la giurisprudenza, di merito e di legittimità, secondo cui, al contrario, i provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale e istruttoria, sono destinati a sovrappor:;i a (o assorbire) quelli adottati in sede di separazione, solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza.
3.2. Il secondo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. - nullità della sentenza per assenza di motivazione, in violazione dell'art. 132 cod. proc. civ. e dell'art. 111 Cast.
Si censura la sentenza impugnata per aver affermato, in relazione alla dedotta non imputabilità al V. del ritardato pagamento, per avere egli a più riprese tentato la corresponsione del dovuto, che "giammai potrebbe ravvisarsi in tale circostanza un'ipotesi di impossibilità della prestazione con conseguente effetto liberatorio per il debitore", con ciò, dunque, secondo il ricorrente, "senza nulla motivare e chiarire".
3.3. Il terzo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. - omesso esame di un fatto decisivo per il 9iudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ovvero la corrispondenza, intercorsa tra le parti, attestante il tentativo di esso V. di provvedere al pagamento a far data dall'adozione del provvedimento presidenziale.
Orbene, secondo il ricorrente, l'esame puntuale e completo di tale corrispondenza avrebbe certamente comportato il rigetto dell'appello proposto, giacché non avrebbe condotto ad affermare che esso V. "non ha provato - e neanche allegato - cli aver effettuato il versamento delle somme dovute".
3.4. Infine, il quarto motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - V.zione e falsa applicazione dell'art. 91 cod. proc. civ.
Si duole il ricorrente, in primo luogo, della condanna al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio, in difetto di soccombenza totale, avendo la sentenza impugnata riconosciuto valido il precetto - in ragione dell'avvenuto pagamento "medio tempore", da parte del debitore esecutato, della somma di € 2.800,00 - per il minore importo di€ 219,00.
In secondo luogo, si lamenta il fatto che, essendo stata la F. ammessa già dal primo grado al gratuito patrocinio, la condanna alle spese, a favore dello Stato, sia stata disposta solo per il grado di appello.
4. Ha resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, la F., nella già ricordata qualità, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
Motivi della decisione
5. Il ricorso va accolto, nei limiti di seguito precisati.
5.1. Il primo motivo è fondato.
5.1.1. Invero, risulta contraria alla consolidata giurisprudenza di questa Corte l'affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l'adozione - nel giudizio divorzile - dei provvedimenti presidenziali in ordine al trattamento economico del divorziando, essendo connessi allo "status" di parte di quel processo, farebbe, per ciò solo, decorrere gli effetti del disposto trattamento dal momento della domanda.
Per contro, ancora nella più recente giurisprudenza di questa Corte, si trova enunciato un principio opposto, ovvero quello secondo cui la regola generale - proprio perché "l'assegno di divorzio, traendo la sua fonte nel nuovo «status» delle parti, ha efficacia costitutiva decorrente dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale" - comporta che siano i provvedimenti emessi nel giudizio di separazione quelli che "continuano a regolare i rapporti economici tra i coniugi fino al passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo
coniugale", salvo, però "il temperamento", previsto dall'art. 4, comma 13, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, che consente al giudice del processo divorzile di sostituirli con quelli presidenziali o istruttori e di "anticiparne la decorrenza", purché "con adeguata motivazione e in relazione alle circostanze del caso concreto" (così, in motivazione, Cass. Sez. 1, ord. 15 febbraio 2021, n. 3852, Rv. 660723-01; nel medesimo senso gièi Cass. Sez. 1, sent. 27 marzo 2020, n. 7547, secondo cui "i provvedimenti temporanei e urgenti nella fase presidenziale o istruttoria" sono "destinati a sovrapporsi", e "ad assorbire", quelli adottati in sede di separazione "solo dal momento in cui sono adottati o ne è disposta la decorrenza", ciò che conferma, dunque, che una diversa decorrenza, rispetto al momento dell'adozione, richiede una specifica statuizione).
5.2. I motivi secondo e terzo - da scrutinare congiuntamente, data la loro connessione - non sono, invece, fondati.
Sebbene in termini sintetici, il giudice di appello ha motivato - ciò che esclude, in particolare, la fondatezza del secondo motivo di ricorso - le ragioni per cui ha escluso la rilevanza dei tentativi, compiuti dal V., di effettuare i pagamenti dovuti in esecuzione dell'ordinanza del 4 dicembre 2014, affermando che "giammai potrebbe ravvisarsi in tale circostanza un'ipotesi di impossibilità della prestazione con conseguente effetto liberatorio per il debitore".
Affermazione, peraltro, del tutto corretta, se è vero che - a norma dell'art. 1209 cod. civ. - "la mera offerta della prestazione" produce "solo l'effetto di mettere in mora il creditore senza liberare il debitore dall'obbligazione" (Cass. Sez. 3, sent. 17 maggio 1994, n. 4818, Rv. 486645-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 28 giugno 2010, n. 15395, Rv. 613858-01), sicché "il creditore è legittimato all'esercizio dell'azione esecutiva anche se destinatario di atto di costituzione in mora «credendi», in quanto esso, e la conseguente offerta di restituzione, vale unicamente a stabilire il momento di decorrenza degli effetti della mora, specificamente indicati dall'art. 1207 cod. civ., ma non anche a determinare la liberazione del debitore, che resta subordinata, dalla legge, all'esecuzione del deposito accettato dal creditore o dichiarato valido con sentenza passata in giudicato" (Cass. Sez. 3, sent. 29 aprile 2015, n. 8711, Rv. 635204-01).
Ne consegue, dunque, che l'omesso esame - denunciato con il terzo motivo di ricorso - della documentazione, volta a comprovare il tentativo del V. di pagare, è privo di conseguenze rispetto all'esito del presente giudizio, donde l'infondatezza della censura formulata ai sensi del n. 5) del comma 1 dell'art. 360 cod. proc. civ.
La norma "de qua" attribuisce rilievo, infatti, solo all'omesso esame di un fatto che risulti "decisivo", nel senso che la sua disamina "avrebbe determinato un esito diverso della controversia" (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 2, ord. 29 ottobre 2018, n. 27415, Rv. 651028-01), ciò che accade quando il fatto commesso sia tale "da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la «ratio decidendi» risulti priva di fondamento" (così Cass. Sez. 3, orci. 20 giugno 2018, n. 16812, Rv. 649421-01).
5.3. Il quarto motivo di ricorso, sulle spese di lite, resta assorbito dall'accoglimento del primo motivo, trovando applicazione il principio secondo cui la cassazione della sentenza travolge la pronuncia sulle spese, "perché in tal senso espressamente disposto dall'art. 336, comma 1, cod. proc. civ., sicché il giudice del rinvio ha il potere di rinnovare totalmente la relativa regolamentazione alla stregua dell'esito finale della lite" (Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2016, n. 4887, Rv. 639295-01).
6. In conclusione, il ricorso va accolto quanto al suo primo motivo e, per l'effetto, la sentenza va cassata in relazione, con rinvio al Tribunale di Enna, in persona di diverso magistrato, per la decisione nel merito e sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e il terzo e dichiara assorbito il quarto, cassando in relazione la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Enna, in persona di diverso magistrato, per la decisione nel merito e sulle spese processuali, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.