Svolgimento del processo
1.- Il Tribunale di Macerata, con decreto pubblicato il 20/06/2015, ha parzialmente accolto l’opposizione ex art.98 legge fall. proposta dalla Banca M.SPA al fine di conseguire, in riforma dello stato passivo del Fallimento “Immobiliare A. SRL in liquidazione”, l’ammissione in via ipotecaria del credito di euro 3.307.476,21=, vantato in virtù del mutuo fondiario concesso alla ditta poi fallita il 5/5/2005, che il g.d. - dopo avere dichiarato la nullità dell’intera operazione (negozio di finanziamento, negozio di garanzia e destinazione della somma a pagamento di preesistente debito) per difetto di causa e anche per superamento del limite di finanziabilità, e dopo averla ritenuta, in subordine, revocabile ai sensi degli artt. 66 legge fall. e 2901 cod.civ., aveva ammesso interamente al chirografo.
Il Tribunale, premesso che il termine decadenziale di cui all’art. 69 bis legge fall. non è applicabile all’eccezione revocatoria ex art. 2901 cod.civ. sollevata dal curatore in giudizio, ha, nel merito, da un lato escluso che il mutuo fosse nullo, ma dall’altro ritenuto parzialmente fondata detta eccezione: ha rilevato che le somme erogate, in sedici riprese, dalla Banca a Immobiliare A. SRL in bonis in dipendenza del mutuo - e che, a dire dell’opponente, erano servite a fornire alla società la provvista necessaria all’esecuzione di un contratto di appalto e le erano state versate in corrispondenza dei vari stati di avanzamento - erano in realtà, per ben nove volte, affluite sul c/c già scoperto della mutuataria ed erano quindi valse al ripianamento di un debito preesistente già scaduto; ha osservato poi che la banca era “a sicura conoscenza del pregiudizio arrecato agli altri creditori” grazie all’ottenimento della garanzia, ed ha pertanto riconosciuto collocazione ipotecaria al credito insinuato per il minor ammontare di euro 1.277.320,84, corrispondente all’effettivo finanziamento.
Banca M.SPA in Amministrazione Straordinaria ha proposto ricorso per la cassazione del decreto affidato a due mezzi e seguito da memoria. Il Fallimento ha replicato con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
2.1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt.95, 69 bis della legge fall. e dell’art.113 cod.proc.civ.
La ricorrente, ripercorrendo la disciplina della revocatoria fallimentare, osserva che l’art.69 bis legge fall. (introdotto dal d.lgs. n.5/2006) è applicabile (non solo alla revocatoria fallimentare, ma anche) alla revocatoria ordinaria (art.2901 cod.civ.) quando esercitata dal Curatore (art.66 legge fall.), stante la finalità concorsuale che la stessa assume e, sul rilievo che con detto articolo sono stati introdotti due distinti termini decadenziali, sostiene che la possibilità per il Curatore, ai sensi dell’art.95 legge fall. (nel testo introdotto dalla riforma del 2006) di eccepire in sede di progetto di stato passivo l'inefficacia del titolo su cui sono fondati il credito o la prelazione “anche se è prescritta la relativa azione”, sia da ritenere limitata alle sole azioni prescritte e non anche a quelle dalle quali si è decaduti.
In altri termini, secondo la ricorrente il principio “quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum” sarebbe stato esteso dall’art. 95 cit. anche alla materia fallimentare, ma limitatamente ai termini prescrizionali e non anche a quelli decadenziali, non richiamati dalla norma; con la conseguenza che il curatore che faccia valere in via breve la revocatoria non può subire il pregiudizio della intervenuta prescrizione del diritto, ma, una volta il pregiudizio della intervenuta prescrizione del diritto, ma, che siano spirati i termini di cui all’art.69 bis legge fall., soggiace all’eccezione di decadenza.
2.2.-Il motivo è infondato.
2.3.- La questione posta con il motivo, riferita all’ambito di applicazione dell’art. 69 bis, primo comma, legge fall. (la cui rubrica chiaramente recita “decadenza dall’azione”) secondo il quale «Le azioni revocatorie disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell'atto.» in relazione all’art.95, primo comma, legge fall., è stata già affrontata e disattesa da questa Corte sulla considerazione che «In tema di accertamento del passivo fallimentare, l'art. 95, comma 1, l.fall., nel riferirsi all'eccezione revocatoria sollevata per le vie brevi dal curatore e alla relativa prescrizione dell'azione, richiama il doppio termine, di prescrizione e di decadenza, di cui all'art. 69 bis, comma 1, l.fall., nonostante l'espresso rimando nella rubrica di quest'ultima norma soltanto a quello di decadenza.» (Cass. n. 9136 del 19/05/2020).
2.4.- Tale condivisa conclusione, trova ulteriore conferma nella disamina delle disposizioni richiamate.
2.5.- È opportuno rimarcare che, in ambito fallimentare, la legittimazione all’esercizio delle azioni revocatorie è riconosciuta - ex artt. 66 e ss. legge fall. - in capo al curatore che può proporre anche la revocatoria riconducibile nel genus di quella ordinaria ex art.2901 cod.civ.
Il curatore, rappresentando la massa dei creditori, non è il titolare del diritto di credito, ma è chiamato ad esercitare un potere in rappresentanza e nell’interesse della massa dei creditori del fallito. Questa differenza incide nella relativa disciplina, tanto che l’art. 66 legge fall. espressamente prevede la legittimazione ad agire del curatore, che può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal fallito in pregiudizio dei creditori anche secondo le norme del codice civile, e stabilisce che l’azione si propone dinanzi al tribunale fallimentare. Ne discende che il richiamo alla disciplina civilistica va necessariamente operato in termini di compatibilità con la specifica disciplina fallimentare.
In proposito, è significativo osservare che -senza che sia riscontrabile una corrispondente disciplina codicistica - l’articolo 69 bis legge fall. (in relazione, sia all’azione ex art.66, che a quella ex art.67 legge fall.) regola in maniera innovativa ed espressa il caso della decadenza dall’azione revocatoria e del computo dei termini, prevedendo due termini decadenziali alternativi, secondo i quali le azioni revocatorie in ambito fallimentare non possono più essere promosse dal curatore tre anni dopo la dichiarazione di fallimento ovvero decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.
La circostanza che il secondo termine - e cioè quello relativo ai cinque anni dal compimento dell’atto - sia stato espressamente previsto, anche se quantificato in maniera identica al termine di prescrizione fissato in sede codicistica (art.2903 cod.civ), rileva non solo perché esplicita un ulteriore profilo di specificità ed autonomia dell’azione revocatoria ordinaria promossa in sede fallimentare, ma anche perché realizza la volontà del legislatore di predisporre adeguati strumenti di natura processuale a presidio della (altrimenti ricorrente) indeterminatezza temporale dell’azione proponibile dal curatore.
Infatti, poiché il curatore non è il titolare del diritto di credito non può ipotizzarsi nei suoi confronti la maturazione di un termine prescrizionale, come invece avviene per il creditore e cioè il soggetto che può agire ai sensi dell’articolo 2901 cod.civ. Dovendo invece il curatore esercitare un potere nell’interesse della massa, per scelta legislativa, la sua azione è stata assoggetta a termini processuali decadenziali. La scelta di commisurare uno dei due termini decadenziali sulla falsariga del termine prescrizionale ex art.2903 cod.civ. persegue l’evidente fine di uniformare, sul piano del risultato, il trattamento.
Ne consegue che le decadenze introdotte dall’art. 69 bis legge, non sono applicabili estensivamente, in quanto vanno a definire le sole caratteristiche dell’azione revocatoria esercitabile dal curatore, e non quelle dell’eccezione revocatoria.
Passando, quindi, all’esame dell’art.95 legge fall. si deve osservare, innanzi tutto che la disposizione espressamente prevede la possibilità per il curatore di eccepire in via incidentale la revocabilità di un atto, a fini e con effetti sicuramente diversi e più limitati rispetto all’azione revocatoria che egli può proporre.
Come già puntualizzato da questa Corte, l’eccezione revocatoria sollevata dal curatore in sede di verifica o di opposizione ex art. 98 legge fall. non ha carattere autonomo, perché non è volta ad ottenere la pronuncia di inefficacia, ma solo a paralizzare la pretesa creditoria, con la conseguenza che la pronuncia giudiziale che l’accoglie resta circoscritta all'ambito al quale essa è strettamente funzionale, ovvero non dichiara l'inefficacia, né dispone la restituzione, ma si limita ad escludere il credito o la prelazione, in ragione della revocabilità del titolo sul quale si fonda la pretesa del creditore (cfr. Cass. n. 22784/2018; Cass. n. 26504/2013).
La espressa previsione della proponibilità dell’eccezione da parte del Curatore anche in caso di avvenuta prescrizione della relativa azione - maturata al di fuori ed a prescindere dall’ambito fallimentare- tuttavia, non consente di ritenere – come sostiene la ricorrente – che tale possibilità dovesse essere esplicitamente prevista anche con riferimento all’intervenuto decorso del termine decadenziale.
Invero, la decadenza di cui all’art.69 bis legge fall. è un istituto processuale introdotto ex novo, all’interno del sistema fallimentare, in ragione delle peculiarità di questo: in quanto istituto processuale non è applicabile in via estensiva o analogica e non vi è alcuna disposizione che ne preveda l’applicabilità al di fuori del suo ambito, strettamente collegato all’esercizio dell’azione revocatoria da parte del curatore e non dell’eccezione, di guisa che non era necessario che l’art.95, primo comma, legge fall. vi facesse esplicito riferimento. Risulta infine evidente che, stante la già rilevata, perfetta coincidenza del termine di prescrizione di cui all’art. 2093 c.c. e di quello di decadenza di cui all’art. 69 bis l.fall., entrambi di durata quinquennale e decorrenti dalla data di compimento dell’atto, l’adesione alla tesi della ricorrente comporterebbe la sostanziale inoperatività della previsione dell’art. 95 di cui si è appena detto, consentendo al creditore di far valere, anziché la prescrizione, la decadenza del curatore dalla proposizione in via breve della revocatoria.
2.6.- Pertanto, si deve affermare che «In tema di accertamento del passivo fallimentare, i termini decadenziali dettati dall’art.66 bis della legge fall. per l’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari non trovano applicazione nel caso in cui la revocatoria sia proposta in via di eccezione ai sensi dell’art.95, primo comma, legge fall.».
3.1.- Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 2901 e 2697 cod.civ., nonché degli artt.113 e 115 cod.proc.civ. e dell’art.66 legge fall. per avere il Tribunale disapplicato o, comunque, mal applicato il contenuto di dette disposizioni.
La ricorrente censura la statuizione del Tribunale ove ha ritenuto che la complessiva operazione economica realizzata tra le parti con la stipula del contratto di mutuo fondiario aveva avuto l’effetto di munire il preesistente credito di una garanzia ipotecaria di cui era in origine privo e che ciò aveva certamente integrato un pregiudizio alla par condicio creditorum, del quale la banca non poteva che essere a conoscenza, non potendo certamente ignorare il vantaggio conseguibile sugli altri creditori mediante il mutamento del grado del proprio credito.
A parere della ricorrente tale conclusione sarebbe stata raggiunta in assenza di prove, anzi in presenza di prove contrarie. Segnatamente osserva che i crediti ammessi allo stato passivo erano tutti sorti successivamente alla stipula del mutuo fondiario ed all’accensione di ipoteca e che non era stato provato l’eventusdamni desumibile da tre elementi i) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; ii) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; iii) il mutamento qualitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto.
3.2.- Il motivo è fondato e va accolto, previa riqualificazione. 3.3.-Invero, l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all'art. 360, comma 1, c.p.c., né determina l'inammissibilità del ricorso, se dall'articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. n.4036/2014; Cass. n. 26310/2017; Cass. n. 10862/2018).
Pertanto, ove il ricorrente lamenti la mancanza o l'apparenza della motivazione, da parte dell'impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art.360, primo comma, n.4, cod.proc.civ. purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante da ciò dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.
In relazione al caso in esame, va ricordato che l'art. 66, primo comma, legge fall. compie un rinvio alla norme civilistiche in materia di azione revocatoria, attestando la natura derivata dell'azione proposta dal curatore ai sensi della richiamata norma, la quale, pur nella peculiarità del suo esercizio nell'ambito di una procedura concorsuale, rimane comunque retta dai requisiti sostanziali previsti dal disposto dell'art. 2901 cod.civ., dal che deriva che l'esercizio dell'azione pauliana ad opera del curatore comporta una deviazione dallo schema comune unicamente quanto a effetti, legittimazione e competenza, in ragione del contesto concorsuale da cui trae origine, ma non modifica i presupposti a cui è correlato l'accoglimento dell'azione e la sua natura di mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale (Cass. n. 36033/2021).
Ciò posto, la censura ha messo in luce una anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, perché – come evidenziato - non sono stati esplicitati i fatti che era onere del curatore provare e su cui il Tribunale ha fondato l’accertamento, proprio in violazione dell’art. 2697 cod.civ., e perché non è evincibile il percorso logico-giuridico sulla scorta del quale è stata accertata la ricorrenza delle condizioni richieste ex art.2901 cod.civ. per la revocabilità degli atti in esame. 4.- In conclusione, infondato il primo motivo, va accolto il secondo motivo; il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio, al Tribunale di Macerata in diversa composizione.
P.Q.M.
- Accoglie il secondo motivo di ricorso, infondato il primo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Macerata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.