Trattasi per esempio della natura e della portata dell'offesa, delle circostanze narrate, dei riferimenti personali e temporali, i quali devono essere valutati nel loro complesso così da poter individuare con ragionevole certezza l'offeso.
La Corte d'Appello di Bari confermava la sentenza emessa dal Tribunale con la quale l'imputato era stato assolto per insussistenza del fatto dal delitto di diffamazione. In poche parole, l'interessato aveva pubblicato su un sito internet, tramite apposito nickname che si identificava con un indirizzo IP abbinato alla sua utenza telefonica, un post con cui...
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Bari, con la sentenza emessa il 23 marzo 2021, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Bari, che aveva mandato assolto per insussistenza del fatto S. D. in relazione al delitto di diffamazione, previsto «dall'art. 595, comma 3, cod. pen. perché, comunicando con più persone, il 12/11/2011 pubblicava sul sito (omissis) un post con il nickname "C."- che si identificava con e-mail (omissis) e indirizzo IP (omissis) (numero che identifica univocamente un dispositivo collegato ad una rete internet laddove lo stesso sia connesso per il tramite di una utenza telefonica) abbinato all'utenza telefonica [...] intestata a D. S. - con il quale diffamava C. P. ed avente il seguente tenore: "Caro sig. C. mi sa che i suoi studi non sono bastati altrimenti se fossero bastati a quest'ora sarebbe avvocato per davvero e non solo un cospiratore velenoso che si scaglia contro chiunque perché a lei non sono stati resi i favori desiderati. In quanto finto avvocato qualcosa le sfugge, ma qualcosa di molto molto grosso e rilevante. Questo però starà alla giustizia stabilirlo e in tal senso ne vedremo delle belle. Per quanto riguarda la nettezza urbana so per certo che viene dall'azienda pagata in misura dei 750 mq. Quindi non diciamo corbellerie!! Non basta e non deve bastare un volantino ad infangare il nome di un'azienda che sul territorio, e in quell'area, opera da 35 anni... anche e soprattutto mentre al governo della città c'erano le persone che oggi sbraitano e mistificano". Accertato in G. in P. il 12/11/2011».
2. I ricorsi per cassazione, proposti con unico atto ai soli effetti civili, nell'interesse di S. C. e G. C., quali eredi di P. C., costituitisi parte civile, consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Il primo motivo deduce violazione dell'art. 597 cod. pen.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale, a fronte dei motivi di appello, abbia violato l'art. 597 cod. proc. pen. introducendo il difetto di prova quanto alla individuazione del destinatario delle espressioni riportate nell'imputazione, senza che il tema fosse oggetto di specifica impugnativa da parte di alcuna delle parti.
4. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe illogicamente motivato disattendendo quanto emerso dalla querela, acquisita ex art. 512 cod. proc. pen., in quanto le espressioni attribuite a D. intervenivano dopo un messaggio di P. C., dunque erano in evidente risposta a quest'ultimo. Per altro C. era uno studente laureando in giurisprudenza, il che costituiva un ulteriore fattore di individuazione della persona offesa.
5. Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione per omessa pronuncia sul motivo di appello, che era parametrato sulla sentenza assolutoria di primo grado, tesa a contestare l'escussione della natura diffamatoria delle espressioni utilizzate.
6. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi dell'art. 23 comma 8, d.l. 127 del 2020 - datate 25 ottobre 2022, con le quali ha chiesto annullarsi con rinvio la sentenza, rilevandone la illogicità della motivazione a fronte del contenuto delle espressioni ritenute destinate dal primo giudice al P.C., oltre che sul tema della natura diffamatoria delle espressioni, non valutate dalla sentenza impugnata.
7. In data 28 ottobre 2022 pervenivano in Cassazione le conclusioni del difensore di S. D., che chiedeva dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.
8. In data 10 novembre 2022 il difensore dei ricorrenti, condividendo le conclusioni della Procura generale, chiedeva annullarsi con rinvio la sentenza impugnata.
9. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell'art. 23, comma 8, di. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Va premesso che, in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare la frase che si assume lesiva della altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e quindi della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, dep. 2020, Fabi, Rv. 278145 - 01; Sez. 5, n. 48698 del 19/09/2014, Demofonti, Rv. 261284 - 01; Sez. 5, n. 41869 del 14/02/2013, Fabrizio, Rv. 256706 - 01).
3. I motivi tutti, strettamente connessi, vanno trattati unitariamente.
3.1 Il Tribunale di Bari escludeva la natura diffamatoria delle espressioni utilizzate da D., ma implicitamente riteneva anche che le espressioni, sopra indicate, fossero rivolte a P. C., individuandolo come destinatario.
La vicenda scaturiva, per quanto emerge dalle sentenze di merito, da una pubblicazione sul sito (omissis) che aveva riportato gli esiti dell'azione amministrativa relativa al supermercato del D., in relazione al quale - come ricostruito dalla querela acquisita ex art. 512 cod. proc. pen. a seguito del decesso di P. C. - sul medesimo sito di informazione il difensore del D. aveva chiarito quali fossero i termini della questione e criticava il provvedimento di chiusura totale dell'ipermercato del D.: l'intervento amministrativo avrebbe dovuto interessare, invece, solo parte dell'area occupata dal supermercato e non la totalità della stessa.
A tale post replicava P.C., per come riportato in querela, che argomentava invece, a difesa della legittimità dell'azione amministrativa, come segue: «Sono insussistenti i profili di illegittimità dedotti a carico dell'ordinanza di chiusura dell'attività commerciale ampliata senza autorizzazione. Sull'area de qua sussistono dei vincoli (idrogeologico, paesaggistico e ferroviario) imposti dal legislatore statale in epoca sicuramente antecedente alla realizzazione delle opere edilizie e al rilascio dell'autorizzazione commerciale. Per i fabbricati costruiti abusivamente non potevano essere rilasciati condoni perché vietati dall'art. 33 della legge n. 47 del 1985, che prevede la inedificabilità assoluta e la conseguente non rilasciabilità del titolo in sanatoria. Nè poteva essere autorizzata attività di commercio nei locali realizzati in zona vincolata per ragioni di non regolarità delle opere edilizie con le prescrizioni ... ».
A sua volta altre persone, così si legge in querela, replicavano al messaggio di C. e fra questi anche D., con il nickname 'C.', ritenuto dal Tribunale rispondente all'attuale imputato a seguito delle indagini di polizia giudiziaria.
D. scriveva: «Caro sig. C., mi sa che i suoi studi non sono bastati, altrimenti se fossero bastati a quest'ora sarebbe avvocato per davvero e non solo un cospiratore velenoso che si scaglia contro chiunque, perché a lei non sono stati resi i favori desiderati. In quanto finto avvocato qualcosa le sfugge, ma qualcosa di molto molto grosso e rilevante. Questo però starà alla giustizia stabilirlo e in tal senso ne vedremo delle belle. Per quanto riguarda la nettezza urbana so per certo che viene dall'azienda pagata in misura dei 750 mq. Quindi non diciamo corbellerie!! Non basta e non deve bastare un volantino ad infangare il nome di un'azienda che sul territorio, e in quell'area, opera da 35 anni... anche e soprattutto mentre al governo della città c'erano le persone che oggi sbraitano e mistificano».
3.2 Tanto premesso in fatto, il motivo di censura relativo alla violazione dell'art. 597, comma 1, cod. proc. pen., che attribuisce la cognizione al giudice di appello «limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti», non è fondato.
Nel caso in esame l'impugnazione era stata proposta dagli eredi della parte civile, il querelante P. C., per censurare la sentenza di primo grado in relazione alla natura diffamatoria, esclusa dal Tribunale, delle espressioni del D..
La Corte di appello si concentra esclusivamente su un diverso profilo, pure attinente alla sussistenza del fatto-reato, quello dell'assenza di prova relativamente alla esatta individuazione del destinatario della diffamazione.
E bene, va premesso che le due sentenze di merito giungono alla medesima conclusione della insussistenza del delitto di diffamazione seguendo però due diversi iter argomentativi, pur accertando, entrambe, il difetto dell'elemento oggettivo del reato.
Non di meno, però, deve rilevare questa Corte come la nozione di 'punto' della decisione, alla quale fa esplicito riferimento l'art. 597, comma 1, cod. proc. pen., quale confine cognitivo posto dalla impugnazione, sia da riferirsi, nell'ambito del medesimo capo-imputazione, ai singoli elementi del reato dai quali derivano le diverse formule assolutorie.
In merito va evidenziato come Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239 - 01, anche richiamate da Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, dep. 2007, Michaeler, Rv. 235697 - 01, affermavano: «Il concetto di "punto della decisione" ha una portata più ristretta, in quanto riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione: di talchè, se ciascun capo è concretato da ogni singolo reato oggetto di imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso riferimento l'art. 597, comma 1, c.p.p., coincidono con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato e dunque, in primo luogo, all'accertamento della responsabilità ed alla determinazione della pena, che rappresentano, appunto, due distinti punti della sentenza. Ne consegue che ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l'accertamento del fatto, l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione giuridica, l'inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e - nel caso di condanna - l'accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio". Aggiungevano anche le Sezioni Unite: «Alla stregua della distinzione tra capi e punti della sentenza - applicata nell'esperienza giudiziaria non sempre con la dovuta chiarezza - deve ritenersi che la cosa giudicata si forma sul capo e non sul punto, nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli. Nel caso di processo relativo ad un solo reato la sentenza passa in giudicato nella sua interezza, mentre nell'ipotesi di processo cumulativo o complesso la cosa giudicata può coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti dall'impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di giudicato parziale. I punti della sentenza non sono, invece, suscettibili di acquistare autonomamente autorità di giudicato, potendo essere oggetto unicamente della preclusione correlata all'effetto devolutivo delle impugnazioni ("tantum devolutum quantum appellatum") ed al principio della disponibilità del processo nella fase delle impugnazioni, da cui consegue che - in mancanza di un motivo di impugnazione afferente una delle varie questioni la cui soluzione è necessaria per la completa definizione del rapporto processuale concernente un reato, il giudice non può spingere la sua cognizione sul relativo punto, a meno che la legge processuale non preveda poteri esercitabili ex officio.
In altri termini, pur essendo certamente vero che al giudice dell'impugnazione è interdetto l'esame del punto non impugnato e che l'accertamento ad esso corrispondente non è più controvertibile, tranne la sussistenza di questioni rilevabili anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, tuttavia il fondamento della preclusione operante rispetto al punto della sentenza non può essere spiegato con l'utilizzazione del concetto di giudicato, riferendosi questo, per sua natura, esclusivamente all'intera regiudicanda, coincidente con lo specifico capo di imputazione e non già con le componenti di essa, alle quali corrispondono le singole statuizioni, che, pur essendo caratterizzate dalla possibilità di autonoma valutazione, hanno la peculiare funzione di convergere e di essere finalizzate alla pronuncia finale su quella imputazione».
Tanto premesso, nel caso in esame essendo l'appello delle parti civili rivolto avverso il 'punto' della sussistenza materiale del delitto di diffamazione, esclusa dal Tribunale per inoffensività delle espressioni ritenute diffamatorie, è consentito alla Corte di appello poter valutare l'insussistenza del fatto per una diversa ragione, come quella relativa alla individuazione del destinatario delle espressioni ritenute diffamatorie, che costituisce profilo essenziale della condotta oggettiva del reato in esame: in sostanza il 'punto' oggetto dell'appello è quello che riguarda la sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto di diffamazione contestato, giungendo entrambe le sentenze di merito a ritenere che 'il fatto non sussiste', secondo la formula dell'art. 530, comma 1, cod. proc. pen.
A conferma di ciò basti richiamare una recente sentenza, che ha invece escluso che l'appello su un punto, quale l'elemento soggettivo del reato, possa condurre alla pronuncia di insussistenza oggettiva del reato.
Infatti si è osservato che il giudice d'appello, in caso di impugnazione del pubblico ministero e della parte civile avverso la sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, in mancanza di appello dell'imputato, non può pronunciare assoluzione per difetto del nesso causale la cui sussistenza sia stata riconosciuta dalla sentenza di primo grado, trattandosi di punto della decisione non devoluto alla sua cognizione (Sez. 4, n. 7088 del 26/01/2021, Menzani, Rv. 280949 - 01).
Pertanto deve affermarsi che in tema di delitto di diffamazione, il giudice d'appello non incorre nella violazione dell'art. 597, comma 1, cod. proc. pen. in caso di impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione perché 'il fatto non sussiste' per difetto della offensività delle espressioni, allorchè confermi l'assoluzione per insussistenza del fatto per difetto di prova quanto alla individuazione del destinatario della condotta, essendo le due questioni entrambe devolute alla sua cognizione in quanto riconducibili al medesimo 'punto' della decisione, quello relativo all'elemento materiale del reato.
Pertanto il primo motivo dei ricorsi è infondato.
3.3 Diversamente fondato è il secondo motivo di censura, come pure sono da condividersi le conclusioni della Procura generale sul punto.
La motivazione della Corte di appello, a fronte del contenuto della querela, è manifestamente illogica, rappresentando l'esistenza di un deficit probatorio in ordine alla individuazione del destinatario delle espressioni, in quanto la sola indicazione del cognome C. non consentirebbe di individuarlo in P. C..
Deve evidenziare questa Corte come la sentenza impugnata si limiti a una valutazione formale, senza tener conto del principio per cui in tema di diffamazione l'individuazione del soggetto passivo deve avvenire attraverso gli elementi della fattispecie concreta, quali la natura e portata dell'offesa, le circostanze narrate, oggettive e soggettive, i riferimenti personali e temporali e simili, i quali devono, unitamente agli altri elementi che la vicenda offre, essere valutati complessivamente, così da potersi individuare, con ragionevole certezza, l'offeso e desumere la piena e immediata consapevolezza, da parte di chiunque abbia letto l'articolo, dell'identità del destinatario della diffamazione (Sez. 5, n. 8208 del 10/01/2022, Ciocchetti, Rv. 282899 - 01; conf. N. 15643 del 2005 Rv. 232135 - 01, N. 33442 del 2008 Rv. 241548 - 01, N. 2135 del 2000 Rv. 215476 - 01).
Nel caso in esame la Corte territoriale non ha operato alcuna indagine sui profili evidenziati, limitandosi a valutare l'assenza del riferimento al nome di battesimo del destinatario, senza delibare il contenuto ulteriore della querela, utilizzabile ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen., né attivare i poteri istruttori, se del caso, pure attribuiti ai sensi dell'art. 603, comma 3, cod. proc. pen.
Pertanto la motivazione è manifestamente illogica e per altri versi apparente. Va pertanto disposto l'annullamento con rinvio dinanzi al giudice civile competente per l'appello, ai sensi dell'art. 622 cod. proc. pen. all'esito del gravame proposto dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, in quanto il giudice d'appello, anche qualora sia intervenuta la prescrizione del reato contestato dopo la sentenza di primo grado, come nel caso in esame in data 12 giugno 2019, deve valutare la sussistenza dei presupposti per una dichiarazione di responsabilità limitata agli effetti civili e può condannare l'imputato al risarcimento del danno o alle restituzioni qualora reputi fondata l'impugnazione, in modo da escludere che possa persistere la sentenza di merito più favorevole all'imputato (Sez. 2, n. 6568 del 26/01/2022, D'Isa Rv. 282689 - 01; conf. N. 26016 del 2013 Rv. 255714 - 01, N. 3670 del 2011 Rv. 249698 - 01, N. 25083 del 2006 Rv. 233918 - 01, N. 13941 del 2015 Rv. 263065 - 01, N. 17846 del 2009 Rv. 243761 - 01, N. 3083 del 2017 Rv. 268894 - 01, N. 46257 del 2013).
3.4 Il terzo motivo è assorbito ed è rimesso alla valutazione del Giudice del rinvio, in quanto non è stato oggetto di valutazione da parte della Corte di appello, che ha ritenuto prevalere l'assoluzione per difetto di prova quanto alla individuazione del destinatario.
A tal riguardo, la cognizione del Giudice del rinvio riguarda il nuovo esame non solo del profilo censurato, ma anche delle questioni discendenti dalla sua rivalutazione secondo un rapporto di interferenza progressiva e dichiarate assorbite nella pronuncia di annullamento (Sez. 6, n. 49750 del 04/07/2019, Diotallevi, Rv. 277438 - 01: in motivazione, la Corte ha precisato che l'accoglimento di motivi di ricorso, cui segua l'assorbimento di altre questioni controverse, implica la sospensione della loro valutazione da parte del giudice di legittimità, conseguente al rapporto di pregiudizialità logica del tema assorbente sul quale deve rinnovarsi l'esame, la cui definizione impone la progressiva verifica delle questioni dipendenti che da quella premessa traggono il proprio caposaldo argomentativo).
Pertanto, spetterà al Giudice del rinvio esaminare l'originario motivo di appello, mai esaminato, oltre che fare applicazione dei principi di diritto suindicati in tema di individuazione del destinatario del reato di diffamazione, come pure il governo delle spese fra le parti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per questo grado di legittimità.