La Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle SS.UU. della questione riguardante l'applicazione della regola della sussidiarietà anche quando l'azione proposta in via principale è fondata su una clausola generale.
Una società agiva in giudizio per far valere la responsabilità precontrattuale del Comune e, in subordine, per far riconoscere l'arricchimento ingiustificato del medesimo. Il Tribunale rigettava per difetto di prova la domanda volta a far valere la responsabilità precontrattuale, ma accoglieva la domanda di indebito arricchimento.
Su...
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1.-La società FIM è proprietaria di un terreno nel Comune di Tavagnacco (UD).
Il terreno, al momento in cui la società lo ha acquistato, aveva natura edificabile, ragione per cui la proprietaria ha presentato un piano di lottizzazione finalizzato alla concessione edilizia. Nelle more della concessione, è cambiata l'amministrazione comunale e la nuova ha deciso di modificare il Piano di fabbricazione ed il regolamento edilizio, variando la destinazione urbanistica del terreno da residenziale ad agricolo, con conseguente perdita di valore.
La società FIM ha rinunciato a muovere osservazioni a questa variante a causa delle rassicurazioni fatte dal sindaco pro-tempore circa il futuro ripristino della natura edificabile del terreno, data la sua attitudine alla viabilità ed al collegamento con altre aree.
Successivamente, il Comune di Tavagnacco ha adottato una variante al suddetto Piano di lottizzazione, onde consentire l'interramento di cavi ad alta tensione nel terreno: era infatti accaduto che la realizzazione di tale opera era stata richiesta al Comune di Tavagnacco da quello di Udine.
La FIM, interessata quale proprietaria del terreno, si è offerta di effettuare le l'interramento, in cambio del già promesso ripristino della natura edificabile del terreno, ed ha speso per tale opera circa 150 mila euro.
Tuttavia, il Comune, alla fine, ha disatteso la parola data, ed il terreno è rimasto agricolo.
2.-La società ha dunque agito in giudizio sia per far valere la responsabilità precontrattuale dell'ente, che, in subordine, per far riconoscere l'arricchimento ingiustificato del Comune.
3.-II Tribunale ha rigettato per difetto di prova la domanda volta a far valere la responsabilità precontrattuale, ma ha accolto la domanda di indebito arricchimento. Su appello del Comune, invece, la Corte di Appello di Trieste ha ritenuto la domanda di arricchimento inammissibile per difetto di residualità.
Ricorre la FIM con sei motivi. Il Comune di Tavagnacco si è costituito con controricorso.
5.- La decisione impugnata assume che, essendo stata rigettata la domanda proposta in via principale, vale a dire quella di responsabilità contrattuale, l'altra, subordinata, di arricchimento ingiustificato è improponibile: ne fa divieto la regola di residualità di cui all'articolo 2042 c.c.
La ricorrente contesta questo assunto richiamando una giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la regola che rende solo residuale l'azione di arricchimento si applica nei soli casi in cui l'azione proposta in via principale è fondata o su contratto o sulla legge, e non si applica quando invece l'azione principale è fondata su una clausola generale.
La giurisprudenza su cui fa affidamento la ricorrente espressamente, di conseguenza, ammette l'azione di arricchimento ingiustificato nei casi in cui l'azione proposta in via principale è fondata sulla responsabilità precontrattuale del convenuto. E dunque anche quando, come nel caso presente, quest'ultima, esperita, sia stata però rigettata.
Questa questione è posta dalla ricorrente con i motivi dal terzo al quinto, che pongono una questione, a parere del collegio, meritevole di approfondimento.
6.-1 primi due motivi, precisamente, attengono alla parte della decisione di appello che non ha ritenuto inammissibile l'impugnazione per difetto di specificità dei motivi.
5.1.- In particolare con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 345 c.p.c. sostenendo che il motivo di impugnazione del Comune, che mirava a far dichiarare inammissibile la domanda di arricchimento ingiustificato, era privo di sufficienza, mancando ogni riferimento alle parti impugnate della sentenza di primo grado, e difettando altresì l'indicazione delle circostanze da cui sarebbe derivata la violazione di legge.
Invece, con il secondo motivo, la ricorrente si duole della violazione dell'articolo 112 c.p.c., e sostiene che la Corte non ha deciso sulla sua eccezione di inammissibilità del motivo di appello per difetto di sufficienza.
6.-lnvece i motivi che vanno dal terzo al quinto, sostanzialmente adducono una violazione degli articoli 2041 e 2042 c.c. e vertono sulla questione qui posta.
La tesi della ricorrente è che la domanda di arricchimento ben poteva essere proposta in via subordinata a quella di responsabilità precontrattuale, in quanto di quest'ultima difettava il titolo, e che la residualità dell'azione di arricchimento va vista in concreto e non in astratto.
L'esame di questi motivi presuppone che si consideri la questione posta all'inizio: se cioè sia da seguire la tesi secondo cui l'azione di arricchimento non è ammessa solo ove quella svolta in via principale abbia titolo in un contratto o nella legge, oppure se la residualità valga sempre, quale che sia l'azione che si fa valere.
La tesi su cui fa affidamento la ricorrente è la seguente.
L'azione di arricchimento è residuale solo rispetto ad azioni basate sul contratto o sulla legge (si dice altresì che si tratta di azioni tipiche). Invece se l'azione alternativa è basata su una clausola generale, allora la sua disponibilità non preclude di agire con l'azione di arricchimento.
Si legge in Cass. 4620/ 2012 che: "secondo la giurisprudenza di questa Corte, questa condizione preclusiva si verifica quando la parte può esercitare, contro l'arricchito o contro altre persone, un'azione tipica, che trovi titolo in un contratto o nella legge (Cass. n. 20747 del 2007; Cass. n. 11067 del 2003; Cass. n. 16340 del 2002)".
La ragione di tale regola è che "altrimenti l'azione di arricchimento senza causa finirebbe per diventare strumento per eludere o aggirare i limiti esistenti nei confronti dell'azione tipica". (Cass. 4620/ 2012).
Invece la preclusione non opera quando la parte può esercitare contro l'arricchito un'azione basata su clausola generale e questo assunto è ulteriormente illustrato in questi termini: per poter dire che esiste un'azione alternativa a quella di arricchimento e che dunque quest'ultima è preclusa, occorre verificare il titolo, ossia occorre verificare se l'interessato abbia un titolo da far valere, in via principale e dunque in alternativa all'arricchimento.
Tuttavia, nei casi in cui l'azione principale è fondata su clausola generale, come, secondo questo orientamento, accade nel caso di responsabilità aquiliana o anche precontrattuale, allora per stabilire se c'è un titolo che legittima quell'azione, e che di conseguenza impedisce l'alternativa di arricchimento, occorre valutare nel merito la domanda principale, e non limitarsi alla sua astratta disponibilità.
Così si esprime, in sostanza, il precedente citato : "le difficoltà, in particolare, stanno tutte nel verificare l'esistenza di un titolo idoneo a fondare tale responsabilità e quindi la possibilità di promuovere un'azione diversa, tenuto conto che il titolo dell'azione di danno aquiliano si identifica con l'insieme degli elementi costitutivi della fattispecie dell'illecito"(Cass. 4620/ 2012). Ed aggiunge che "sembra invece ultroneo ed eccessivo, in contrasto, in definitiva, con lo stesso requisito di tipicità che deve rivestire l'azione principale, spingere l'accertamento della condizione in parola al riscontro della sussistenza in concreto di tutte le condizioni richieste dalla legge per il sorgere di un obbligo a carico di un terzo di risarcire il danno per responsabilità precontrattuale, con l'effetto che l'indagine del giudice sconfinerebbe da un accertamento astratto dell'esistenza del relativo diritto per addentrarsi in una valutazione di merito in ordine alla fondatezza stessa della pretesa".
In altri termini, l'azione di arricchimento è residuale solo quando l'azione principale è fondata su contratto o sulla legge, dando luogo, secondo quel precedente e gli altri che ne sono seguiti (Cass. 843/ 2020; Cass. 307/ 2014; Cass. 27827/ 2017), ad un' azione tipica: diversamente, se l'azione è fondata su clausola generale, per stabilire se v'è un'altra azione preclusiva a disposizione dell'interessato, occorrerebbe prima verificare il merito. E dunque quella che è una indagine solo sul titolo, ossia sulla esistenza di un titolo astrattamente idoneo a precludere l'azione di arricchimento, si trasformerebbe in una "preliminare" indagine sul merito.
Come si è detto, questa tesi risponderebbe, secondo l'orientamento citato, alla ratio della regola di residualità dell'azione di arricchimento, che è quella di evitare aggiramenti dei limiti esistenti nei confronti dell'azione tipica.
Mentre Cass. 4620/ 2021 si limita a ritenere che "altrimenti l'azione di arricchimento senza causa finirebbe per diventare strumento per eludere o aggirare i limiti esistenti nei confronti dell'azione tipica", Cass. 843 del 2020 precisa questa ratio nel modo seguente: il divieto di esperire azione di arricchimento, in presenza di azione tipica, serve ad evitare duplicazioni risarcitorie, ossia ad impedire che chi ha già ottenuto risarcimento o ragione con l'azione principale poi agisca nuovamente con l'azione di arricchimento lucrando di nuovo, ed ingiustamente, una seconda volta.
E che la ratio sia di impedire che il soggetto impoverito, il quale abbia ottenuto ristoro mediante altro rimedio, ne ottenga un altro con l'azione di arricchimento, si ricaverebbe da talune disposizioni del codice civile che prevedono come alternativa l'azione di arricchimento rispetto ad altre (articoli 936 c.c., 1591 c.c.) (p.6).
Questa ricostruzione è dunque favorita da due argomenti: a) la ratio della natura residuale dell'azione sta nel divieto di cumulo delle azioni: se il depauperato ha già ottenuto ristoro con un'azione non può duplicare il suo risultato con un'altra b) poiché per verificare la residualità occorre verificare se c'è titolo per un'azione diversa (da quella di arricchimento) allora questa verifica è possibile solo se l'azione alternativa è fondata su contratto o su legge, altrimenti si finisce con il doversi spingere, per verificare se in astratto esiste azione, a dover accertare in concreto se essa è fondata: la verifica sulla esistenza di un'azione alternativa diventa, in altri termini, verifica della fondatezza in concreto.
Ora, prima di considerare questi argomenti, giova sottolineare come forse impropriamente si fa riferimento alla disponibilità di un'azione tipica, quale fattore preclusivo di quella di arricchimento, sia in quanto le azioni (quali poteri processuali) non sono tipiche, sia perché, a ben vedere, non si deve correre il rischio di confondere l'asserita tipicità dell'azione con la tipicità della fattispecie: quando si dice che l'azione proposta in via principale, essendo quella da responsabilità aquiliana o precontrattuale, è atipica, si intende forse riferirsi alla atipicità della fattispecie, non già dell'azione.
Ed allora, occorre giustificare diversamente la ragione per la quale, se l'azione principale è basata su una clausola generale o è descritta in modo più elastico di un'altra, la regola della residualità viene meno.
Ciò detto, come si è sopra accennato, una questione preliminare riguarda la ratio della residualità: serie perplessità desta la tesi che essa consista nel divieto di cumulo, ossia che la sua ragione sta nell'esigenza di impedire che, ottenuto il risarcimento con l'azione principale, se ne ottenga un altro con quella di arricchimento, che è ipotesi di scuola e comunque impedita di per sé dalle regole sul giudicato o comunque dal principio per cui da un fatto illecito si può avere solo un risarcimento pari al danno e non superiore ad esso. E non v'è bisogno allora di limitare il ricorso all'azione di arricchimento.
Né pare che a sostegno di questa tesi abbia alcun rilievo il richiamo a norme (936 e 1591 c.c.) che stanno a significare altro: che il conduttore in mora nella restituzione della cosa, oltre a dover pagare il corrispettivo per il tempo che comunque la detiene per sé, debba altresì risarcire il danno da mancato godimento del locatore, è questione che ha poco a che fare con l'arricchimento ingiustificato, ma è regola che mira a dare al locatore la misura esatta del suo pregiudizio.
Nel caso invece dell'articolo 937 c.c. la scelta rimessa al proprietario se mantenere le opere fatte dal terzo sul proprio suolo anziché farle eliminare, e pagare eventuale la differenza, non mira ad evitare un arricchimento
ingiustificato del proprietario (men che mai del terzo) ma tutela un interesse del proprietario nel modo in cui reagire all'illecito, e trova la sua ragione nelle regole dei modi di acquisto della proprietà: le opere fatte dal terzo infatti andrebbero al proprietario per accessione. E costui ha scelta.
Piuttosto, la ratio del principio di residualità opera in un senso contrario a quello sopra evidenziato, opera ossia ad evitare che chi ha perso l'azione principale, e dunque non ha ottenuto risarcimento, possa aggirare questo esito ricorrendo all'azione di arricchimento ingiustificato.
E' per questo che l'azione di arricchimento è impedita se quella principale è prescritta (Cass. 30614/ 2018; Cass. 29916/ 2011): se la ratio fosse di evitare duplicazioni di risarcimento, prescritta o rigettata un'azione, quella di arricchimento dovrebbe essere consentita, posto che il suo accoglimento non porta ad una duplicazione.
Ogni volta che l'azione principale o alternativa non è più esercitabile o è stata rigettata, dovrebbe per conseguenza ammettersi che il danneggiato ha azione di arricchimento: in tale caso, infatti, non si corre il rischio di una duplicazione del risarcimento.
Ora, questa precisazione ha una sua conseguenza: non v'è modo di sostenere che questa ratio giustifica la tesi restrittiva, ossia quella per la quale l'azione di arricchimento è residuale solo rispetto alle azioni derivanti da contratto o da legge.
Ossia: se l'esigenza che giustifica la residualità dell'azione di arricchimento è di impedire aggiramenti, allora non si comprende perché questa esigenza non la si debba avvertire anche quando il danneggiato ha un'azione alternativa basata su clausola generale.
Come pare più adeguato ritenere, la finalità della regola - di residualità dell'azione- sta nella necessità di evitare aggiramenti, ossia di evitare che, inutilmente esperita o esperibile l'azione principale, l'interessato ottenga per altre vie il risultato negato in primis: che chi si è visto rigettare l'azione principale, o non ha potuto esercitarla perché il diritto era prescritto, possa rimediare a questo esito ricorrendo all'azione di arricchimento.
Non si vedono allora ragioni per limitare l'ambito di tale regola ai soli casi in cui si disponga verso l'arricchito di un'azione basata su contratto o sulla legge, come se l'esigenza di evitare aggiramenti non si ponga anche nel caso in cui è stata rigettata una domanda basata su clausola generale.
Il secondo ordine di considerazioni attiene alla tesi, propria della giurisprudenza che si è richiamata prima, secondo cui quando l'azione principale è basata su clausola generale, per verificare se l'interessato ha un titolo da far valere (titolo che dunque impedisce l'altro, ossia quello da arricchimento) si dovrebbero accertare tutti i presupposti del diritto (per esempio, il dolo, il nesso di causa, l'ingiustizia del danno) e si finirebbe con il trasformare l'accertamento sulla esistenza del titolo nell'accertamento sulla fondatezza della domanda.
Non si vede perché. Ossia: non si vede perché la preclusione dell'azione di arricchimento non possa derivare dalla sola prospettazione o dal solo esperimento di un'azione svolta in via principale, e basata su una clausola generale, e si debba invece valutare se questa è fondata per poter dire che c'era o meno titolo per un'azione diversa.
Infatti, se è vero che "l'azione di arricchimento senza causa ha carattere sussidiario ed è quindi inammissibile, ai sensi dell'art. 2042 cod. civ., allorché chi la eserciti, secondo una valutazione da compiersi in astratto e perciò prescindendo dalla previsione del suo esito, possa esercitare un'altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito". (Cass. 29988/ 2018; Cass. 25461/ 2010); se ciò è vero, significa che non si richiede in concreto la prova di un rimedio concorrente concretamente fruibile, ma è sufficiente che un tale rimedio risulti configurato "in astratto".
Ed allora l'indagine "in astratto" è identica quale che sia la fattispecie che configura l'azione: l'accertamento della esistenza di un titolo in astratto che giustifica una diversa azione è identico quale che sia la fattispecie su cui l'azione è fondata.
Ma , anche ad ammettere che, nel caso di clausola generale, l'indagine sulla sussidiarietà dell'azione di arricchimento rischia di diventare indagine nel merito , ossia indagine che deve valutare non solo l'astratta disponibilità dell'azione alternativa, ma altresì se di quest'ultima sussistano i presupposti, anche ad ammettere questa prospettiva, essa non ha più ragion d'esse quando, come nel caso presente, quell'indagine è stata già fatta e l'azione principale, giudicata nel merito, è stata rigettata.
I giudici di merito hanno in altri termini ritenuto sfornita di prova la domanda di responsabilità precontrattuale, con la conseguenza che ammettere in questo caso la proposizione dell'azione di arricchimento significa aprire la possibilità di aggirare il rigetto della domanda principale mediante l'esperimento di quella sussidiaria.
Sono note ovviamente le perplessità di chi censura questa regola di sussidiarietà, peraltro sconosciuta alla maggior parte degli altri ordinamenti, e disponibile solo nel nostro ed in quello francese, ma anche chi, forse comprensibilmente, questa perplessità manifesta, non nasconde che perlomeno la sussidiarietà si giustifica per evitare aggiramenti della legge, e propone di leggere l'articolo 2042 c.c. insieme all'articolo 1344 c.c.
Ora, non fosse altro che in questa prospettiva, nel caso presente, per quanto detto, si giustifica l'impedimento all'azione di ingiustificato arricchimento, proprio per evitare l'aggiramento del rigetto, nel merito, dell'azione principale.
P.Q.M.
La Corte rimette gli atti al Primo Presidente affinché valuti l'opportunità di rimettere la questione alle Sezioni Unite Civili.