Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 28 aprile 2022 dalla Corte di appello di Torino, che ha confermato la decisione del Tribunale di Torino che aveva condannato CC per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen. (commesso dal febbraio al dicembre 2015).
2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del proprio difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato.
Sostiene che la motivazione sarebbe viziata nella parte in cui avrebbe ritenuto integrato il dolo basandosi sulla perizia psichiatrica del consulente tecnico del Pubblico ministero, così <<sovrapponendo le categorie dell'elemento soggettivo e della capacità di intendere e di volere>> (pagina 2 del ricorso).
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe fornito risposta ai motivi di appello formulati con riferimento all'elemento soggettivo del reato.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di inosservanza della legge penale, in relazione agli artt. 612-bis e 660 cod. pen.
Sostiene che la motivazione sarebbe contraddittoria <<in relazione ai criteri distintivi tra i reati di cui agli artt. 612-bis e 660 cod. pen. e in relazione all'identificazione quale evento del reato degli effetti conseguenti alle condotte vessatorie in danno della persona offesa>> (pagina 3 del ricorso).
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di rigettare il ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello, infatti, ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione che chiedeva di valutare l'incidenza della patologia psichiatrica dell'imputato sull'elemento soggettivo del reato, proprio evidenziando come non dovessero essere sovrapposti l'elemento soggettivo del reato e la capacità di intendere e volere (che comunque non era stata esclusa dal consulente tecnico).
1.2. Il secondo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili per plurime ragioni convergenti.
In primo luogo, sono privi della necessaria specificità intrinseca, essendo esposti in maniera confusa ed essendo privi di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell'atto impugnato.
Sotto altro profilo, sono manifestamente infondati, atteso che la Corte territoriale ha risposto ai motivi di appello, compresi quelli relativi all'elemento soggettivo del reato e alla qualificazione giuridica del fatto. In particolare, ha correttamente evidenziato che non poteva ritenersi integrata la fattispecie di cui all'art. 660 cod. pen., atteso che le condotte dell'imputato, reiterate nel tempo, avevano provocato uno stato d'ansia nella persona offesa, che era stata costretta anche a mutare le proprie abitudini di vita. Elementi questi ultimi che costituivano l'evento tipico del reato di atti persecutori.
La motivazione della sentenza impugnata appare esauriente, avendo la Corte territoriale ricostruito i fatti in conformità all'ipotesi accusatoria e risposto anche alle censure mosse con l'atto di impugnazione.
Al riguardo, deve essere posto in rilievo che <<nella motivazione della sentenza il giudice del gravame non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, sicché debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata>> (Sez. 6, n. 34532 del 22/06/2021; Depretis, Rv. 281935).
Va, infine, evidenziato che per integrare l'elemento soggettivo del reato previsto dall'art. 612-bis cod. pen. non è necessario, come sembra affermare il ricorrente, che l'agente sia stato mosso dal preordinato fine di <<stalkerizzare>> (pagina 9 del ricorso) la persona offesa, atteso che <<nel delitto di atti persecutori, che ha natura di reato abituale di evento, l'elemento soggettivo è integrato dal dolo generico, il cui contenuto richiede la volontà di porre in essere più condotte di minaccia e molestia, nella consapevolezza della loro idoneità a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice e dell'abitualità del proprio agire, ma non postula la preordinazione di tali condotte - elemento non previsto sul fronte della tipicità normativa - potendo queste ultime, invece, essere in tutto o in parte anche meramente casuali e realizzate qualora se ne presenti l'occasione>> (Sez. 5, n. 43085 del 24/09/2015, A., Rv. 265230; Sez. 1, n. 28682 del 25/09/2020, S., Rv. 279726).
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.