Svolgimento del processo
1. — S. A. A. ha agito in giudizio deducendo di aver intrattenuto con Banca M. due rapporti di conto corrente; ha assunto che nel corso dei detti rapporti erano stati applicati interessi ultralegali e che si era fatto corso all’anatocismo e alla contabilizzazione di commissioni di massimo scoperto di contenuto indeterminato. L’attore ha quindi domandato che la banca fosse condannata alla ripetizione di quanto indebitamente da essa percepito per le ragioni suddette.
Nel corso del giudizio, in cui si è costituita M., è stata disposta consulenza tecnica contabile. In esito al giudizio di primo grado la banca è stata condannata al pagamento, a titolo di ripetizione dell’indebito, della complessiva somma di euro 27.486,61, oltre interessi.
2. ¿ In sede di gravame la Corte di appello di Catania ha disposto il rinnovo della consulenza tecnica onde rielaborare i saldi alla luce dei criteri dettati dalla sentenza Sezioni Unite di questa Corte n. 24418 del 2010. Con sentenza del 29 maggio 2018 il Giudice distrettuale ha poi riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda attrice. La Corte del merito ha in sintesi escluso che il saldo fatto valere dalla banca potesse essere rielaborato sulla scorta di scritti acquisiti dal consulente tecnico dopo lo spirare del termine di cui all’art. 184 c.p.c., entro cui avrebbero dovuto prodursi i documenti. Ha osservato che si rendeva necessario procedere all’esame degli estratti conto che attestavano le intercorse movimentazioni e che l’appellato era onerato non solo di allegare i fatti posti a fondamento della domanda, ma anche di «provare la contabilizzazione di specifiche poste passive sul conto corrente intrattenuto con la Banca M., e segnatamente l’applicazione di interessi anatocistici, ultralegali, di commissioni di massimo scoperto e di costi non pattuiti che avrebbero determinato esborsi maggiori rispetto a quelli effettivamente dovuti».
3. ¿ Ricorre per cassazione, con quattro motivi, S. A. A., il quale ha pure depositato memoria. Banca M., intimata, non ha notificato controricorso ma è in atti una sua nota di deposito con allegata procura speciale conferita per atto pubblico e una memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Motivi della decisione
1. — Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 194, 198 e 184 c.p.c., oltre che la violazione dei principi in materia di onere probatorio e la violazione dell’art. 210 c.p.c.. Si deduce che l’istanza di esibizione formulata dal ricorrente avrebbe dovuto essere accolta, posto che il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente può essere esercitato anche in corso di causa, con qualsiasi mezzo che si dimostri idoneo. Si rileva, inoltre, che a norma dell’art. 198 c.p.c., il c.t.u. può esaminare documenti e registri non prodotti in causa, «proprio al fine di svolgere le operazioni peritali ordinategli dal giudice con maggiore completezza»: in tal senso, la Corte di merito avrebbe impropriamente valorizzato le preclusioni di cui all’art. 184 c.p.c. senza considerare il disposto dell’art. 198 c.p.c..
Col secondo mezzo è lamentata la violazione degli artt. 194 e 198 c.p.c., la violazione dei principi in materia di onere probatorio e la violazione dell’art. 157 c.p.c.. Si osserva che la nullità della consulenza tecnica d’ufficio è soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., onde deve essere fatta valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione peritale, restando altrimenti sanata. Deduce l’istante che nel caso di specie i documenti erano stati consegnati al consulente tecnico, nel silenzio della banca, che era rimasta assente, e che con la prima difesa successiva al deposito dell’elaborato nulla era stato eccepito, da parte dell’odierna intimata, quanto all’acquisizione degli scritti in questione. Si rileva, inoltre, che la mancata comparizione della banca avanti al consulente integrerebbe la rinuncia a far valere la nullità di cui all’art. 157, comma 3, c.p.c. e che, in ogni caso l’intimata non aveva agito con correttezza e probità, giacché aveva mancato di produrre in giudizio la documentazione in suo possesso.
Col terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per omesso esame circa un fatto decisivo, per omessa motivazione e per violazione dell’art. 157 c.p.c.. Si ravvisa, nell’operato della Corte di merito, una insanabile contraddizione: infatti la stessa avrebbe prima disposto il rinnovo della consulenza tecnica (rinnovo che era stato operato sulla base degli stessi documenti acquisiti nel corso del giudizio avanti al Tribunale) e poi sconfessato l’attività svolta dall’ausiliario, che aveva confermato i risultati contabili della prima consulenza.
Il quarto motivo prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 ss. c.p.c.. Si deduce la ricorrenza dei giusti motivi che avrebbero consentito al Giudice di appello di disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.
2. ¿ Occorre anzitutto dare atto che Banca M. non ha assunto la qualità di parte controricorrente nel presente giudizio, onde è da escludere che possa tenersi conto della memoria da essa depositata in prossimità dell’adunanza camerale.
Infatti, nell'ambito del procedimento camerale di cui all'art. 380 bis.1 c.p.c. (introdotto dall'art. 1 bis del d.l. n. 168 del 2016, convertito con modificazioni dalla l. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato un atto non qualificabile come controricorso in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per l'adunanza camerale è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie (Cass. 17 novembre 2021, n. 34791; Cass. 16 giugno 2021, n. 17030).
3. ¿ Nella propria memoria la banca ha eccepito l’inammissibilità del ricorso.
La questione, benché veicolata da atto che, come appena spiegato, non poteva avere ingresso in giudizio, rientra tra quelle che la Corte deve scrutinare d’ufficio. Essa è tuttavia priva di consistenza, visto che i motivi della proposta impugnazione presentano i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (connotati che comportano, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la necessità dell'esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e dell'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate: Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; cfr. di recente Cass. 24 febbraio 2020, n. 4905).
4. ¿ Il primo motivo non è fondato.
4.1. ¿ Va anzitutto disattesa la prima delle censure sollevate dall’istante.
Il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell'amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall'articolo 119, comma 4, t.u.b. (d.lgs. n. 385 del 1993), può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l'istanza di cui all'articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest'ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato (Cass. 1 agosto 2022, n. 23861; Cass. 13 settembre 2021, n. 24641): nella specie il ricorrente non ha dedotto di aver vanamente formulato una tale richiesta prima della proposizione dell’istanza di esibizione.
4.2. ¿ Parimenti infondata è la doglianza incentrata sul potere, da parte del consulente tecnico d’ufficio, di acquisire documentazione ¿ nella specie: estratti conto ¿ a seguito del maturarsi delle preclusioni istruttorie (all’epoca marcate dall’art. 184 c.p.c.).
Nella causa proposta dal correntista per ottenere la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dalla banca nel corso del rapporto di conto corrente gli estratti conto documentano fatti principali, costitutivi della pretesa azionata (i pagamenti indebiti e, di conseguenza, quanto riscosso senza titolo dalla banca): essi infatti danno ragione dell’andamento del rapporto ed evidenziano le singole rimesse suscettibili di ripetizione, in quanto riferite a somme che non andavano addebitate al cliente (per tutte: Cass. 23 ottobre 2017, n. 24948).
Ora, la recente Cass. Sez. U. 1 febbraio 2022, n. 3086 ha distinto i poteri di acquisizione del c.t.u.: avendo cioè riguardo, rispettivamente, al quadro delle attività definite, in termini generali, dall’art. 194 c.p.c. e alla specificità dell’esame contabile di cui all’art. 198 c.p.c.. Ha affermato, al riguardo, che, sul piano generale (quindi in ogni consulenza tecnica), il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio; ha precisato, poi, che in materia di esame contabile ai sensi dell'art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni (sent. cit., punto 41).
La detta pronuncia non ha tuttavia obliterato il dato del «previo consenso delle parti» che il comma 2 dell’art. 198 cit. fa assurgere a presupposto condizionante l’acquisizione dei detti documenti da parte del consulente contabile. E’ significativo, al riguardo, quanto argomentato dalle Sezioni Unite per dar ragione dei più ampi poteri ¿ comprensivi dell’apprensione di scritti che comprovano fatti principali
¿ di cui dispone l’esperto nell’ipotesi della consulenza che implichi la necessità dell’esame di documenti e di registri contabili. Ha osservato al riguardo la Corte: «[V]a da sé che se, come si crede dall'interpretazione corrente, nell'esegesi dell'art. 198 c.p.c., comma 2, si reputa che i documenti non prodotti esaminabili e, se del caso, utilizzabili dal consulente, previo consenso delle parti, siano i documenti a comprova dei fatti accessori, la norma smarrisce ogni connotato di originalità e diviene un'inutile doppione delle attività che il consulente è ordinariamente abilitato, in ragione del mandato ricevuto, a svolgere senza bisogno del consenso delle parti. L'assunto, sostanzialmente abrogante, a cui conduce questa interpretazione nel dire, in pratica, che il consulente contabile può fare le stesse cose che può fare un qualsiasi consulente non contabile, si colora poi di un ulteriore effetto che ne evidenzia gli esiti paradossali, dato che, postulando la previa acquisizione del consenso delle parti, il compito del consulente contabile che intenda estendere il raggio delle proprie investigazioni anche ai fatti accessori viene ad essere gravato di un onere formale (il consenso delle parti), al cui rispetto egli non è di norma tenuto, il che in un campo, in cui per la complessità delle questioni tecniche da affrontare, dovrebbe essere consentita al consulente una più ampia libertà di giudizio e quindi una più ampia libertà di indagine, svilisce in modo irreparabile le finalità che la norma si propone di perseguire» (Cass. Sez. U. 1 febbraio 2022, n. 3086, cit., punto 31). Come è agevole cogliere, le Sezioni Unite non considerano affatto superflua l’acquisizione del consenso delle parti quanto all’utilizzo, da parte del c.t.u., dei documenti, non precedentemente prodotti, comprovanti fatti principali, ma anzi ne enfatizzano la previsione, dando conto di come quel consenso sarebbe privo di fondamento giustificativo, sul piano logico, se l’esperto, nel corso dell’esame di cui all’art. 198 c.p.c., potesse ricevere dalle parti i soli documenti comprovanti fatti accessori (che possono sempre riceversi ex art. 194). In tal modo, il consenso delle parti, nell’impianto motivazionale della sentenza, concorre a definire i contorni di un disegno legislativo che assegna all’art. 198 c.p.c. una sua precisa specialità: ed è quasi superfluo aggiungere che da tale consenso le Sezioni Unite non potevano certamente prescindere, dal momento che nessuna operazione interpretativa avrebbe permesso di manipolare il testo normativo amputandolo di un elemento che ne costituisce parte integrante.
In definitiva, le Sezioni Unite hanno individuato, bensì, una specialità nella disposizione di cui all’art. 198: ma ciò sul piano dell’acquisizione della prova dei fatti principali che non sono oggetto di allegazione (per cui cfr. pure, da ultimo, Cass. 24 novembre 2022, n. 34600), senza con ciò ammettere l’apprensione di documenti in assenza del consenso di cui si è detto.
Tanto detto, l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, che valorizza la tardività dell’acquisizione (da parte del c.t.u.) degli estratti conto non prodotti dalle parti entro il termine di cui all’art. 184 c.p.c., non è efficacemente censurata. Con riferimento ai documenti probatori di fatti principali, la barriera preclusiva posta dal legislatore non è valicabile, nel corso della consulenza contabile, se non in presenza del previo consenso delle parti: si è visto, infatti, che tale consenso ha valore condizionante rispetto all’esame dei documenti non prodotti in precedenza. Poiché il ricorrente non assume che l’acquisizione documentale sia stata preceduta dal consenso della banca, non vi è modo di ritenere che l’attività del c.t.u. si sia conformata alla prescrizione di legge.
5. ¿ Merita invece accoglimento il secondo motivo.
5.1. ¿ Le Sezioni Unite, hanno confermato «l'orientamento tradizionalmente invalso nella giurisprudenza in materia di questa Corte secondo cui i vizi che infirmano l'operato del c.t.u. sono fonte di nullità relativa e rifluiscono tutti invariabilmente sotto il dettato dell'art. 157 c.p.c., comma 2, c.p.c.» (sent. cit., punto 38), salva l’ipotesi, che qui non rileva, dell'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice (quest’ultima fattispecie, infatti, è associata, nell’enunciazione del principio di diritto di cui al punto 41 della pronuncia, a una nullità assoluta rilevabile d'ufficio). Secondo le Sezioni Unite, «il c.t.u. che, nei limiti delle indagini commessegli dal giudice, estenda il perimetro delle proprie attività e proceda ad accertare fatti non oggetto di diretta capitolazione di parte o ad esaminare documenti, del pari, non introdotti nel giudizio delle parti, senza darsi previamente cura di attivare su di essi il necessario confronto processuale, non lede, anche nel mutato ordinamento processuale scaturito dalla novella del 1990, un interesse del processo, in guisa del quale quella attività possa giudicarsi affetta da un vizio di nullità assoluta, ma lede un interesse, pur primario delle parti in quanto posto a tutela del diritto di difesa delle medesime, di cui le parti possono tuttavia pur sempre disporre, poiché compete solo a loro il potere di farne valere la violazione e di eccepire la nullità dell'atto che ne è conseguenza a mente dell'art. 1 febbraio 2022, n. 3086, punto 39).
L’affermazione è da ribadire avendo riguardo al caso dell’acquisizione, in sede di consulenza contabile, e senza il preventivo consenso delle parti, di documenti la cui produzione in giudizio sarebbe preclusa, stante il maturarsi del termine decadenziale previsto dalla legge processuale.
Proprio quel consenso lascia comprendere che è rimessa alle parti la decisione di far esaminare al consulente documenti non prodotti prima: questa disponibilità dell’acquisizione processuale, per mano del consulente, del materiale probatorio deve infatti trovare un coerente riflesso, sul piano del regime della nullità dell’atto che si discosti dal modello normativo, nella previsione dell’art. 157, comma 2, c.p.c., a mente del quale solo la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell'atto per la mancanza del requisito stesso e deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso. Detto altrimenti, l’ammissibilità dell’acquisizione probatoria in presenza del consenso preventivo della parte e l’operatività, nel caso di mancata prestazione di quel consenso, di una nullità relativa sono dati giuridici che possono considerarsi conformi espressioni della possibilità, in capo alle parti, di provocare l’estensione del materiale documentale che il consulente contabile può utilizzare (e che il giudice può, correlativamente, porre alla base della sua decisione). Anche a voler dunque prescindere dalle considerazioni di sistema formulate della Sezioni Unite (quanto alla tipologia delle nullità processuali incidenti sull’attività del consulente), è evidente che sarebbe del tutto incongruo ipotizzare, in assenza di indici normativi di diverso segno, che a un divieto di implementazione del materiale probatorio suscettibile di essere liberamente derogato dalle parti si correli una sanzione processuale impermeabile alla postuma acquiescenza delle parti stesse. All’opposto, il potere di queste di acconsentire a nuove acquisizioni documentali e la natura relativa della nullità che si determina per il mancato consenso rappresentano simmetriche declinazioni del diritto alla prova documentale quanto ai fatti principali suscettibili di esame contabile.
Ebbene, il ricorrente ha ben chiarito, in ricorso (pag. 13), come la banca non abbia eccepito alcuna nullità nella prima difesa successiva al deposito in cancelleria dell’elaborato peritale (elaborato che era stato fatto oggetto, da parte della stessa odierna intimata, di una sola generica contestazione). Discende da ciò che, essendosi la nullità sanata, la stessa non era deducibile come mezzo di gravame e la Corte di appello non avrebbe potuto prescindere, ai fini della decisione, dall’acquisizione documentale di cui qui si discorre.
In conclusione, il motivo è fondato in applicazione del principio per cui, in materia di esame contabile, la nullità per l’assenza del consenso preventivo quanto all’acquisizione di documenti comprovanti fatti principali deve essere fatto valere, dal contendente che tale consenso avrebbe dovuto prestare, e non ha prestato, eccependo la nullità nella prima istanza o difesa successiva al deposito dell’atto viziato o dalla conoscenza di esso.
6. ¿ il terzo e il quarto motivo restano assorbiti.
7. ¿ La sentenza è cassata, con conseguente rinvio della causa alla Corte di Catania, in diversa composizione. Detta Corte statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il secondo motivo, rigetta il primo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.