
Se viene accertata l'infermità permanente del testatore, l'onere probatorio grava su colui che ha interesse a sostenere la validità del testamento.
In parziale accoglimento del gravame proposto da Tizio, la Corte d'Appello respingeva la domanda formulata da Caia volta all'annullamento del testamento pubblico redatto dal comune genitore sul presupposto dell'incapacità di intendere e di volere del testatore, affetto, secondo Caia, da infermità mentale...
Svolgimento del processo
R.M. ha proposto ricorso articolato in tre motivi (1: violazione dell’art. 591, comma 2, n. 3, c.c., violazione di norma di diritto in relazione alla ripartizione dell’onere probatorio; omessa valutazione circa un fatto decisivo; 2: violazione dell’art. 591, comma 2, n. 3, c.c., violazione di norma di diritto in relazione alla omessa motivazione circa il dissenso dalla CTU medico legale; 3: violazione dell’art. 91 c.p.c.) avverso la sentenza 29 settembre 2017, n. 980/2017, resa dalla Corte d’appello di Messina.
L’intimato M.M. non ha notificato controricorso, limitandosi a depositare un atto contenente procura speciale all’avvocato F.M..
La Corte di Messina, in parziale accoglimento del gravame avanzato da M.M. contro la pronuncia resa in primo grado il 15 marzo 2016 dal Tribunale di Messina, ha respinto la domanda formulata da R.M. con citazione del 16 gennaio 2004, volta all’annullamento del testamento pubblico redatto il 9 maggio 2000 dal comune genitore S.M. (deceduto il 12 ottobre 2003), sul presupposto dell’incapacità di intendere e di volere del testatore, affetto, secondo l’attrice, da infermità mentale permanente sin dal 12 ottobre 1988. La Corte d’appello ha evidenziato come le stesse risultanze dell’espletata CTU avessero confermato che, pur essendo S.M. gravato, anche in epoca ben anteriore alla redazione del testamento, da patologie afferenti alla capacità di intendere e di volere (nella specie, stando alle allegate certificazioni, dal 1988 sindrome talamica; dal luglio 1996 vasculopatia cerebrale arteriosclerotica e sindrome depressiva; dal febbraio 2001 demenza senile), non poteva escludersi che il testamento del 9 maggio 2000 fosse stato redatto in un intervallo libero o in periodo di minore espressività della malattia. Mancava perciò, secondo la Corte di Messina, una prova certa ed assoluta del difetto di coscienza del testatore, pur avendo il c.t.u. stimato come elevato il livello di probabilità dell’incapacità, dovendo l’onere probatorio dell’incapacità porsi comunque a carico dell’attrice R.M.. Nel senso ancora di una probabile permanente capacità di comprensione di S.M. la Corte d’appello richiamava altresì le deposizioni del medico curante dottor Vecchio (il quale “si capiva” col suo assistito), del notaio rogante e del barbiere N..
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza dei suoi primi due motivi, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., venne fissata l'adunanza della camera di consiglio in data 1° febbraio 2019.
Il Collegio affermò, tuttavia, che non ricorresse l’ipotesi prevista dall'art. 375, comma 1, numero 5, c.p.c., quanto alla ripartizione dell’onere probatorio della incapacità del testatore, in rapporto alle accertate patologie di cui lo stesso era affetto. La causa, perciò, con ordinanza interlocutoria n.9173/2019, venne rimessa alla pubblica udienza della sezione semplice e rinviata a nuovo ruolo.
Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile a norma dell'art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022).
Motivi della decisione
La procura speciale rilasciata dall’intimato M.M. (che non ha presentato tempestivo controricorso) all’avvocato F.S.M. in atto diverso da quelli elencati nell'art. 83, comma 3, c.p.c., può ritenersi utile soltanto a partecipare all'udienza di discussione, in quanto conferita nella forma prevista dal secondo comma del citato art. 83, cioè con scrittura privata autenticata, facente riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l'indicazione delle parti e della sentenza impugnata.
Il primo motivo del ricorso di R.M. deduce la violazione dell’art. 591, comma 2, n. 3, c.c., la violazione di norma di diritto in relazione alla ripartizione dell’onere probatorio e l’omessa valutazione circa un fatto decisivo, rappresentando la distinzione che opera la giurisprudenza tra infermità psichica permanente e infermità psichica a carattere intermittente ed evidenziando che S.M. era affetto da “demenza senile”. Nelle pagine 11 e seguenti del ricorso si ripercorre l’evoluzione delle condizioni di salute del testatore, al quale già nell’anno 1996 era stata diagnosticata una “vasculopatia cerebrale arteriosclerotica” e poi nell’anno 1997 era stata diagnosticata una “ipomnesia di fissazione-labilità attentiva”.
Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 591, comma 2, n. 3, c.c., e la “violazione di norma di diritto in relazione alla omessa motivazione circa il dissenso dalla CTU medico-legale”.
Il terzo motivo di ricorso attiene, infine, alla violazione dell’art. 91 c.p.c.
I primi due motivi di ricorso (che attengono alla ripartizione dell’onere probatorio della incapacità del testatore, in rapporto alle accertate patologie di cui lo stesso era affetto) possono essere decisi congiuntamente, per la loro connessione, e si rivelano fondati, restando così assorbito il terzo motivo, inerente alla regolamentazione delle spese. Secondo costante interpretazione giurisprudenziale, l'incapacità naturale del disponente, che, ai sensi dell'art. 591 c.c., determina l'invalidità del testamento, richiede che, al momento della redazione del testamento, il soggetto, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, sia privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi (Cass. Sez. 2, 30/01/2019, n. 2702; Cass. Sez. 2, 27/10/2008, n. 2584; Cass. Sez. 2, 30/01/2003, n. 1444; Cass. Sez. 2, 06/12/2001, 15480). Come peraltro sostenuto di recente anche da questa Corte, recependo altresì suggerimenti della dottrina, appare ormai eccessivamente rigoroso il più risalente orientamento giurisprudenziale che considerava necessario per l’annullamento del testamento un assoluto difetto di coscienza del testatore, evidenziando il diffondersi di malattie senili che, pur non determinando una situazione di totale incapacità della persona, causano abitualmente menomazioni psichiche e riduzioni di capacità, con conseguenti debolezze decisionali ed affievolimenti della “consapevolezza affettiva”, per cui il disponente può decidere di attribuire i propri beni in modo diverso da come avrebbe fatto in assenza di malattia, sovente subendo, in particolare, l’influenza dei soggetti che lo accudiscono o con cui da ultimo trascorrono la maggior parte delle loro giornate (Cass. Sez. 6 - 2, 17/10/2022, n. 30424).
I primi due motivi di ricorso di R.M. sono volti a contestare la conclusione della Corte d’appello di Messina, secondo cui, pur dimostrata la malattia mentale che affliggeva il testatore S.M. quanto meno dal 1996, quando gli vennero diagnosticate vasculopatia cerebrale arteriosclerotica e sindrome depressiva, e quindi ancora nel febbraio 2001, quando il medesimo risultò affetto da demenza senile, l’attrice non aveva dato la prova certa che il testamento del 9 maggio 2000 non fosse stato redatto in un intervallo libero o in periodo di minore espressività della malattia.
Ora, la prova che il de cuius, a causa di una malattia o di altra causa perturbatrice, fosse privo della capacità di autodeterminarsi al momento della redazione dell'atto di ultima volontà può essere acquisita con ogni mezzo o in base a indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità. L'apprezzamento di tale prova costituisce giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimità se, tuttavia, sorretto da congrue argomentazioni, esenti da vizi logici e da errori di diritto.
La sentenza impugnata riconosce, peraltro, al notaio rogante un vaglio sulla capacità del testatore, correlato all’obbligo di indagare la volontà del disponente. Tuttavia, lo stato di sanità mentale, seppur ritenuto e dichiarato dal notaio che redige il testamento pubblico per la mancanza di segni apparenti d'incapacità del testatore, può essere contestato con ogni mezzo di prova, senza bisogno di proporre querela di falso (Cass. Sez. 2, 30/01/2019, n. 2702; Cass. Sez. 2, 04/05/1982, n. 2741; Cass. Sez. 2, 18/08/1981, n. 4939; Cass. Sez. 2, 15/07/1968, n. 2536; Cass. Sez. 2, 02/08/1966, n. 2152; Cass. Sez. 2, 09/06/1962, n. 1446; arg. anche da Cass. Sez. 2, 27/04/2006, n. 9649).
Il ragionamento della Corte d’appello risulta comunque difforme dal principio, più volte ribadito in giurisprudenza, per cui, in tema di incapacità naturale conseguente ad infermità psichica, ove esista una situazione di malattia mentale di carattere tendenzialmente permanente (nella specie, sindrome talamica da insufficienza circolatoria, vasculopatia cerebrale arteriosclerotica, sindrome ansioso depressiva), causa di un deterioramento cognitivo globale, cronico e generalmente irreversibile, una volta accertata l’incapacità di un soggetto in due determinati periodi prossimi nel tempo (nella fattispecie, le visite effettuate nel 1996, nel 1997, nel 1999 e nel febbraio 2001, quando fu infine diagnosticata la demenza senile arteriosclerotica di S.M.), per il periodo intermedio, che nella specie comprende quello di redazione del testamento impugnato, la sussistenza dell'incapacità è assistita da presunzione iuris tantum, sicché in concreto si verifica l'inversione dell'onere della prova, dovendo essere dimostrato dalla parte interessata (e dunque qui da M.M., istituito erede testamentario per l’intera quota disponibile) che il soggetto abbia agito in una fase di lucido intervallo o di remissione della patologia (Cass. Sez. 2, 22/10/2019, n. 26873; Cass. Sez. 2, 10/10/2018, n. 25053; Cass. Sez. 6 - 2, 19/02/2018, n. 3934; Cass. Sez. 2, 04/03/2016, n. 4316; Cass. Sez. 2, 09/08/2011, n. 17130; Cass. Sez. L, 12/03/2004, n. 5159).
Nel richiamare le valutazioni peritali, la Corte d’appello di Messina ha considerato che l’ausiliare non aveva escluso che il testamento poteva essere stato redatto in un “periodo di minore espressività della malattia”, né comunque aveva riferito di una “persistente e continuativa incapacità”, pur avendo reputato “presumibilmente esistente la patologia demenziale” al momento del testamento, dal che poteva concludersi, secondo la sentenza impugnata, per una “intermittenza” della infermità. In realtà, queste argomentazioni, orientate dalle risultanze della CTU, depongono per la sussistenza non di manifestazioni morbose a carattere episodico o transitorio, quanto di infermità permanenti, abituali ed ingravescenti, che possono, non di meno, dar luogo a momenti di lucido intervallo, essendo, in sostanza, intermittente la capacità e non la malattia. Stante la permanenza delle cause di infermità, spetta a colui che ha interesse a sostenere la validità del testamento provare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo.
Del resto, lo stato di incapacità di intendere e di volere del soggetto che abbia stipulato un negozio, del quale si chieda l'annullamento, è una condizione personale dell'individuo, che solo quando assume connotazioni eclatanti può essere provata in modo diretto; il più delle volte, essa va invece accertata in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità (Cass. Sez. 2, 07/04/2000, n. 4344).
Il ricorso va pertanto accolto nei suoi primi due motivi.
Resta assorbito il terzo motivo sulla ripartizione dell’onere delle spese processuali, in quanto la relativa censura è diretta contro una statuizione che, per il suo carattere accessorio, è destinata ad essere travolta dall’annullamento che viene disposto della sentenza impugnata, a seguito del quale la liquidazione delle spese delle precorse fasi del giudizio va effettuata dal giudice di rinvio, tenendo conto dell’esito finale del giudizio. Deve essere cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Messina in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai richiamati principi e tenendo conto dei rilievi svolti, e provvederà anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Messina, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.