In tal caso non si può ravvisare un medesimo disegno criminoso ma un'inclinazione generica a delinquere dell'imputato di fronte al rifiuto sentimentale, considerando che le condotte persecutorie erano state poste in essere nei confronti di diverse persone offese e in periodi diversi.
Il Tribunale di sorveglianza di Terni ha rigettato l'istanza dell'odierno ricorrente di applicazione della disciplina della continuazione tra le violazioni accertate dalle sentenze emesse dal medesimo Ufficio in relazione ai reati di atti persecutori e violenza privata. A motivazione della decisione, il Giudice aveva rilevato che,...
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza in epigrafe, resa il 25 maggio 2022, il Tribunale di sorveglianza di Terni ha rigettato l'istanza, avanzata da M. I., di applicazione della disciplina della continuazione tra le violazioni accertate dalle sentenze emesse dallo stesso Ufficio, in data 12 luglio 2017 e 26 aprile 2021, per i reati, rispettivamente, di cui all'art. 612-bis cod. pen. e artt. 610 e 612-bis cod. pen.
Il giudice dell'esecuzione ha osservato che, nonostante l'omogeneità dei reati perpetrati, non può ravvisarsi un medesimo disegno criminoso quanto, piuttosto, una generica inclinazione a delinquere a fronte di un rifiuto in ambito sentimentale, tenuto conto del fatto che le condotte persecutorie sono state poste in essere nei confronti di diverse persone offese e in periodi diversi, non sovrapponibili e nemmeno contigui.
2. M. I., con atto del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza sulla base di un unico motivo, con cui ha prospettato l'inosservanza o l'erronea applicazione degli artt. 81 e 671 cod. proc. pen., poiché il giudice dell'esecuzione è pervenuto al diniego della continuazione, nonostante la presenza di più indicatori postivi, quali l'omogeneità dei reati perpetrati, le identiche modalità di esecuzione, la breve distanza temporale e, infine, la sussistenza di un fine unitario, costituito dalla necessità, in seguito alla fine della relazione sentimentale con le persone offese, che lo avevano lasciato per aver scoperto l'una l'esistenza dell'altra, di recuperare i rapporti con le stesse.
Da tali elementi, secondo la difesa, il Tribunale avrebbe dovuto necessariamente trarre la prova della sussistenza di un medesimo disegno criminoso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
1.1. Va in premessa ricordato che l'art. 81, secondo comma, cod. pen. postula che i fatti siano riferibili ad un "medesimo" (dunque originario) disegno criminoso.
Siffatta unicità di disegno, egualmente necessaria per il riconoscimento della continuazione in fase di cognizione e in fase esecutiva, non si identifica «con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l'opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali» (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615).
Occorre per il riconoscimento della continuazione, quindi, «una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea » (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).
La nozione di continuazione delineata nell'art. 81, secondo comma, cod. pen., richiede che i fatti siano riferibili ad un «medesimo» (dunque originario) disegno criminoso.
Siffatta unicità di disegno implica che l'agente abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine progettati e organizzati, purché risultino almeno in linea generale previsti, in funzione di "adattamento" alle eventualità del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico fine, parimenti prefissato e sufficientemente specifico.
Deve, dunque, escludersi che una tale programmazione possa essere desunta sulla sola base dell'analogia dei singoli reati o del contesto in cui sono maturati, ovvero ancora della spinta a delinquere, tanto più se genericamente economica, non potendo confondersi il fine specifico, ovverosia il movente-scopo che individua una programmazione e deliberazione unitaria, con la tendenza stabilmente operante in un soggetto a risolvere i propri problemi esistenziali commettendo reati (cfr. Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, Bonasera, Rv. 246838).
Infine, l'inciso «anche in tempi diversi» contenuto nell'art. 81, comma secondo, cod. pen., non consente di negare ogni rilevanza all'aspetto del tempo di commissione dei reati: come la vicinanza temporale non costituisce di per sé «indizio necessario» dell'esistenza del medesimo disegno criminoso, così la notevole distanza di tempo ben può essere, anche se non è inevitabile che lo sia, indizio negativo.
Le difficoltà di programmazione e deliberazione a lunga scadenza e le crescenti probabilità di mutamenti che, con il passare del tempo, richiedono una nuova risoluzione antidoverosa, comportano che le possibilità di ravvisare la sussistenza della continuazione normalmente «si riducono fino ad annullarsi in proporzione inversa all'aumento del distacco temporale tra i singoli episodi criminosi».
1.2. Coerentemente con i principi sin qui esposti, il giudice dell'esecuzione ha rilevato l'assenza di indicatori da cui trarre l'esistenza di un unitario disegno criminoso ed ha correttamente affermato l'insufficienza del richiamo all'identità o all'analogia dei fatti di reato o all'esistenza del fine unitario di recuperare i rapporti sentimentali con le persone offese.
Invero, da tali elementi ha desunto, in assenza di ulteriori e diversi dati di fatto, la conclusione opposta di una tendenza a delinquere per scelte di volta in volta contingenti, tenuto conto, fra l'altro, della distanza temporale di un anno tra i due diversi episodi.
Su questa premessa ha argomentato in modo logico e compiuto spiegando come non si possa evincere una programmazione ab origine dei delitti, stante la necessità di tenere su due piani distinti la previa ideazione unitaria con il movente di perseguitare le due donne a fronte di un rifiuto in ambito sentimentale.
1.3. Il ricorso, di contro, ha argomentato reiterando la tesi della riconducibilità di tutti i fatti ad unico e originario progetto criminoso senza, tuttavia, opporre alla logica e congrua motivazione offerta dal Tribunale di Terni elementi capaci di infirmarne la tenuta logica o di evidenziare in essa significative carenza.
2. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento del procedimento e - per i profili di colpa correlati all'irritualità dell'impugnazione (C. Cost. n. 186 del 2000) - di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotti, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.