Nel caso concreto l'IVA non ha rappresentato per il ricorrente un costo, visto che si è avvalso della facoltà di difesa personale, dunque il suo riconoscimento integrerebbe un ingiusto guadagno.
L'odierno ricorrente è un avvocato che propone ricorso in Cassazione in proprio e quale rappresentante legale dello studio contro la decisione con la quale la Corte d'Appello aveva accolto l'opposizione esperita contro gli atti di precetto da lui notificati contro i clienti.
Ricostruendo la vicenda, il ricorrente dichiara che l'adito Tribunale aveva rigettato l'opposizione...
Svolgimento del processo
1. L'Avv. C. Z., in proprio e quale rappresentante legale dell'associazione professionale Studio Legale Z., ricorre, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 2985/20, del 18 novembre 2020, della Corte di Appello di Bologna, che - riuniti i giudizi relativi alle sentenze n. 74/18, del 31 gennaio 2018, e n. 296/18, del 28 marzo 2018, entrambe rese dal Tribunale di Rimini -, decidendo sul gravame esperito da A. S. avverso la prima di tali pronunce, nonché su quello proposto da A. ed E. S. contro la seconda di esse, ha accolto l'opposizione avverso gli atti di precetto notificati, nei loro confronti, dal predetto C. Z..
2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierno ricorrente di aver notificato due atti di precetto, per l'importo complessivo di € 14.759,55 (il primo, relativo ad un decreto ingiuntivo conseguito - in proprio e quale rappresentante legale dello studio associato C. Z. - nei confronti dei summenzionati A. ed E. S. a titolo di compenso per prestazioni di patrocinio legale espletate in loro favore; il secondo relativo, invece, alle spese legali, riconosciute allo Z. all'esito del rigetto dell'opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. esperita avverso il provvedimento monitorio), atti entrambi fatti oggetto di opposizione esecutiva da parte di A. S.. L'adito Tribunale di Rimini, con la già indicata sentenza n. 74/18, rigettava l'opposizione, riconoscendo come dovuta al creditore esecutante anche la somma - ancora oggetto di contestazione - di € 1.485,30, a titolo di rimborso d'IVA, quantunque il legale avesse agito in giudizio come difensore di sé medesimo.
Lo Z., inoltre, nelle more di tale giudizio, notificava due atti di precetto in rinnovazione, relativi ai medesimi titoli esecutivi giudiziali, precetti fatti oggetto, a loro volta, di opposizione, proposta pure da E., oltre che da A. S., con iniziativa anch'essa rigettata dal Tribunale riminese, mediante la sentenza n. 296 del 2018.
Esperito gravame dagli opponenti, il giudice di appello – dopo aver riunito i due giudizi - in riforma di ambo le sentenze impugnate accoglieva le proposte opposizioni, sul rilievo che tutti i precetti fossero "stati azionati su istanza del solo Avv. C. Z., quale rappresentante e difensore di sé stesso, a nulla rilevando che nel giudizio monitorio prima, e nel giudizio di opposizione, poi, il medesimo fosse costituito ex art. 86 cod. proc. civ. unitamente al patrocinio di altro codifensore".
3. Avverso la sentenza della Corte felsinea ha proposto ricorso per cassazione lo Z., sulla base - come detto - di sette motivi.
3.1. Con ii primo motivo è denunciato - ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. - "error in procedendo", per violazione di giudicato interno ex art. 324 cod. proc. civ., in relazione all'art. 2909 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata perché il Tribunale di Ravenna, nell'appellata sentenza n. 74/18, aveva chiaramente affermato che l'Avv. Z., "nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo", non era stato "esclusivo difensore di se stesso, risultando anche il patrocinio dell'Avv. M. Z. M.", sicché tale conclusione, che il giudice di appello non avrebbe potuto disattendere in quanto non contestata dagli appellanti, "rendeva vano l'assunto avversario" secondo cui l'IVA non risultava dovuta, perché lo Z. era tenuto a corrisponderla all'altro legale.
3.2. Il secondo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione di legge in relazione alla norma dell'art. 2909 cod. civ.
Il motivo è proposto subordinatamente al primo: e dunque per l'ipotesi in cui esso "non dovesse essere considerato corretto", censurando, in questo caso, la decisione impugnata per "errar iuris", in particolare per avere la Corte territoriale pronunciato "nonostante l'assenza di un motivo avversario".
3.3. Con il terzo motivo si denuncia - nuovamente in subordine al primo "e sempre a critica dell'impianto motivazionale evidenziato" - violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 663, oltre che dell'art. 86 cod. proc. civ., in relazione alla questione della debenza dell'IVA in caso di codifesa.
Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma l'irrilevanza della codifesa assunta da altro legale, assumendo il ricorrente che, nel giudizio di opposizione, occorreva avere riguardo non "all'atto di precetto" (che, oltretutto, poteva essere notificato solo dall'Avv. Z., "perché non v'era stato un provvedimento di distrazione a favore dell'altro difensore", titolare, comunque, del "diritto ad essere compensato e/o retribuito"), bensì "al titolo, rilevante ex art. 474 cod. proc. civ., il quale pacificamente conteneva la liquidazione dell'IVA".
In particolare, il ricorrente assume che, in caso di codifesa, debba farsi eccezione al principio secondo cui l'IVA non risulta dovuta, dalla parte soccombente, al difensore di quella vittoriosa, allorché ricorra la fattispecie di cui all'art. 86 cod. proc. civ.; difatti, solo in questa ipotesi - in cui l'attività defensionale è interamente svolta da un legale per sé medesimo - può valere la considerazione secondo cui, visto che "a fondamento della debenza del rimborso IVA" si pone "l'apposito meccanismo della rivalsa, che presuppone l'esistenza di un rapporto di base tra cliente e avvocato", tale fondamento non è ravvisabile "quando l'avvocato agisca quale procuratore di se stesso". Soltanto, dunque, allorché ricorra tale ipotesi sussiste quella "coincidenza tra prestatore e committente" che giustifica la debenza dell'IVA.
3.4. Il quarto motivo denuncia - ancora una volta in subordine al primo, nonché "sempre a critica dell'impianto motivazionale evidenziato" - violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 663, oltre che dell'art. 86 cod. proc. civ., in relazione, anche in questo caso, alla questione della debenza dell'IVA in caso di codifesa. Si evidenzia, in particolare, che l'Avvocato Z. non ha una propria partita IVA, sicché egli "deve comunque fatturare, per le prestazioni professionali rese anche nell'interesse di sé stesso, tramite l'Associazione Professionale Studio Legale Z.", come rilevato "nella comparsa di costituzione" (alla pagina 9) "nell'ambito del giudizio di appello distinto al n. R.G. 1468/2018", vale a dire quello che ha messo capo alla sentenza n. 296 del 2018.
3.5. Il quinto motivo, in continuità con il precedente, denuncia - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. - "nullità della sentenza", per omessa considerazione che l'Avv. C. Z. era componente dell'Associazione Professionale Studio Legale Z.", sicché, quand'anche egli avesse agito in autodifesa, poiché a fatturare sarebbe stata la predetta associazione professionale, l'IVA sarebbe stata, comunque, dovuta.
3.6. Il sesto motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - violazione degli artt. 115 e 116, oltre che degli artt. 163 e 167, cod. proc. civ.
Assume, infatti, l'Avv. Z. che, avendo controparte ammesso e non contestato l'esercizio dell'attività defensionale, da parte del medesimo, in forma associata, ciò esonerava l'odierno ricorrente "dall'obbligo di una prova rigorosa anche perché la controparte era in possesso di tutte le fatture per i pagamenti".
3.7. Infine, il settimo motivo denuncia - ex art. 360, comma 1, n. 5), in relazione "ad un fatto pacifico e conosciuto dalla controparte", avendo essa "sempre ricevuto fatture dell'Associazione Professionale Studio Legale Z." - la "temerarietà dell'opposizione", sicché il ricorrente "reputa che debbano essere accolte le domande ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ. in uno con gli onorari".
4. Hanno resistito all'avversaria impugnazione, con controricorso, gli S., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile - perché tesa a sollecitare un riesame del merito del giudizio, basato (quanto agli ultimi tre motivi) anche su questioni nuove - o, comunque, rigettata.
5. I controricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
6. Il ricorso va rigettato.
6.1. I motivi primo e secondo - da scrutinare congiuntamente, ipotizzando, da prospettive complementari, la violazione di un (supposto) giudicato interno, in relazione alla debenza dell'IVA al difensore che patrocini in proprio la sua causa, quando assistito da un codifensore - non sono fondati.
Difatti, né la sentenza qui impugnata, né ancor prima l'atto di appello proposto dai S., hanno ignorato la circostanza che l'Avv. Z., nel procedimento monitorio e nel successivo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, fosse assistito da un codifensore (in persona della di lui moglie, Avv. M. M. Z.). In particolare, la decisione qui in esame- prende espressamente in esame tale circostanza, ritenendola, però, ininfluente, come emerge da quel suo passaggio motivazionale in cui si esclude la debenza, all'odierno ricorrente, dell'IVA, "a nulla rilevando che nel giudizio monitorio prima, e nel giudizio di opposizione, poi, il medesimo fosse costituito ex art. 86 cod. proc. civ. unitamente al patrocinio di altro codifensore". D'altra parte, come attesta nuovamente la pronuncia della Corte felsinea, l'unitario ed articolato motivo di gravame proposto dagli allora appellanti ribadiva la "erroneità del credito, portato dai precetti, sull'assunto che in entrambi i titoli esecutivi azionati (decreto ingiuntivo e sentenza)" fosse "stata liquidata in favore dell'Avv. Z. - unitamente al compenso - anche il pagamento dell'IVA, che, a detta del Tribunale, la parte soccombente deve pagare alla controparte sul compenso del difensore anche nell'ipotesi in cui il difensore abbia la possibilità di portare in detrazione la somma", assumendo, in particolare, gli S. che "l'Avv. Z. non avrebbe dovuto richiedere l'applicazione dell'imposta, relativa alle spese legali liquidate nei provvedimenti giudiziali, essendo soggetto passivo di IVA".
Infine, anche la lettura dell'atto di appello - nella specie, consentita, posto che il ricorrente, in particolare con il primo motivo di impugnazione, denuncia l'esistenza di un "errar in procedendo", donde la possibilità per questa Corte di accedere agli atti causa, quale giudice del "fatto processuale" (cfr., tra le altre, Cass. Sez. Lav., sent. 5 agosto 2019, n. 20924, Rv. 654799- 01 e Cass. Sez.6-5, ord. 12 marzo 2018, n. 5971, Rv. 647366- 01) - conferma che il tema della codifesa non fu affatto ignorato dal gravame del S., visto che essi ebbero espressamente ad' affermare che "l'Avv. C. Z. non avrebbe dovuto computare l'IVA relativa alle spese legali sue e del codifensore unitamente alle altre somme precettate".
In conclusione, considerato il tenore nel motivo di gravame non isolatamente, bensì in uno con la statuizione del giudice di seconde cure, deve escludersi, nel caso di specie, l'avvenuta violazione dell'art. 2909 cod. civ., se è vero che questa Corte deve "indefettibilmente rilevare", ai sensi di tale norma, "la formazione del giudicato interno" solo "sulle questioni che abbiano formato oggetto di dibattito in primo grado e della relativa pronunzia e che non siano state ritualmente riproposte dalla parte interessata in sede di gravame" (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 15 novembre 2021, n. 34424, Rv. 662777-01).
6.2. Il terzo motivo di ricorso - che investe, in definitiva, proprio la correttezza dell'affermazione compiuta dalla Corte territoriale circa l'irrilevanza della codifesa, ai fini della non debenza dell'IVA all'Avv. Z., quale difensore di sé medesimo - non è fondato.
6.2.1. Nello scrutinarlo, non sembra ozioso rammentare che "la circostanza che l'avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall'art. 86 cod. proc. civ. non incide sulla natura professionale dell'attività svolta in proprio favore, e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari previsti per la sua prestazione" (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 febbraio 2019, n. 4698, Rv. 652600-01). Del pari, va poi rammentato che "tra le spese processuali che la parte soccombente deve essere condannata a rimborsare al vincitore rientra anche la somma dovuta da quest'ultimo al proprio difensore a titolo di IVA, costituendo tale imposta una voce accessoria, di natura fiscale, del corrispettivo dovuto per prestazioni professionali relative alla difesa in giudizio", sicché la "eventualità che la parte vittoriosa, per la propria qualità personale, possa portare in detrazione l'IVA dovuta al proprio difensore non incide su detta condanna della parte soccombente, trattandosi di una questione rilevante solo in sede di esecuzione, poiché la condanna al pagamento dell'IVA in aggiunta ad una data somma dovuta dal soccombente per rimborso di diritti e di onorari deve intendersi in ogni caso sottoposta alla condizione della effettiva doverosità di tale prestazione aggiuntiva (ovvero «se dovuta» (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 5 novembre 2020, n. 24634, Rv. 659915-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 19 febbraio 2014, n. 3968, Rv. 630327-01).
Ne consegue, dunque, che "la deducibilità di tale imposta" può, eventualmente, "rilevare solo in ambito esecutivo" (come, appunto, avvenuto nel caso qui in esame), "con la conseguente possibilità, per la parte soccombente, di esercitare la facoltà di contestare sul punto il titolo esecutivo con opposizione a precetto o all'esecuzione", e ciò "al fine di far valere eventuali circostanze" che, secondo le previsioni dei d.P.R. 26 ottobre i972, n. 633,
"possano escludere, nei singoli casi, la concreta rivalsa o, comunque, l'esigibilità dell'IVA" (così Cass. Sez. 3, sent. 1° aprile 2011, n. 7551, Rv. 617515-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6- 2, ord. 1° luglio 2018, n. 18192, Rv. 649654-01).
Orbene, con riferimento alla presente fattispecie, gli S. - parte soccombente all'esito del (primo grado del) giudizio di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ., relativo ad un credito per prestazioni professionali rese nei loro confronti dall'Avv. Z. - hanno contestato, a norma dell'art. 615 cod. proc. civ., il diritto dello stesso (fatto valere, in via esecutiva, sulla base degli atti di precetto per cui è causa, "azionati su istanza del solo Avv. C. Z.", come si legge nella sentenza impugnata), di conseguire anche l'IVA, in relazione alla condanna alle spese processuali comminata a loro carico, essendo stato il predetto avvocato difensore di sé medesimo. Siffatto ordine di idee ha condotto la Corte felsinea ad accogliere la proposta opposizione, ritenendo non dovuta l'IVA, quantunque l'Avv. Z. fosse assistito da un codifensore.
Si tratta, per vero, di decisione corretta, considerato che l'IVA, per l'Avv. Z., nella presente ipotesi, non ha rappresentato un costo, sicché il suo riconoscimento integrerebbe un'ingiusta locupletazione.
Difatti, quanto all'attività professionale dallo stesso svolta per sé medesimo, il riconoscimento dell'IVA si porrebbe in contrasto con la presunzione di gratuità che assiste simili prestazioni, mentre, con riferimento all'opera professionale prestata dal codifensore, lo Z. si pone, comunque, come soggetto legittimato a detrarre l'IVA, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
6.3. I motivi quarto, quinto e sesto - anch'essi suscettibili di scrutinio unitario, visto che attengono tutti alla circostanza che l'Avv. Z. presta la propria attività all'interno di un'associazione professionale - sono, invece, inammissibili.
6.3.1. Di tale questione, infatti, non vi è traccia nella sentenza impugnata, donde la necessità di dare seguito al principio secondo cui, "ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l'onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l'avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare «ex actis» la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa" (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02).
Nella specie, il ricorrente assume di aver posto la questione della sua appartenenza ad uno studio professionale nella "comparsa di risposta in appello"; ciò che, pertanto, renderebbe la stessa tardiva, a norma dell'art. 345 cod. proc. civ.
Né, infine, si manchi di considerare - sempre nel senso dell’inammissibilità della censura veicolata con i motivi di ricorso qui in esame - come la pretesa dell'Avv. Z. di reclamare il pagamento dell'IVA per aver operato non "uti singulus", bensì come partecipe di un'associazione professionale, costituisce una deduzione che immuta radicalmente la pretesa creditoria originaria, così recando un "vulnus" al diritto di difesa della controparte, la quale neppure potrebbe proporre motivi nuovi nell'opposizione esecutiva.
6.4. Infine, il settimo motivo di ricorso è inammissibile.
6.4.1. Invero, neppure si comprende cosa esso esattamente censuri, apparendo, piuttosto, come una sollecitazione a valutare come temeraria la proposta opposizione, traendone le dovute conseguenze in punto spese di lite.
Esso si risolve, quindi, in un "non motivo".
Difatti, deve ribadirsi che il motivo di impugnazione "è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo", sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione "tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366, n. 4), cod. proc. civ." (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).
7. In conclusione, il ricorso va rigettato.
8. Le spese del presente giudizio, da liquidarsi come da dispositivo, seguono la soccombenza, sicché vanno poste solidalmente a carico dell'Avvocato C. Z. e dell'associazione professionale Studio Legale Z..
9. In ragione del rigetto del ricorso, sussiste, a carico del ricorrente, l'obbligo di versare, se dovuto secondo un accertamento spettante all'amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l'Avv. C. Z., personalmente e nella qualità, a rifondere, ad A. ed E. S., le spese del presente giudizio, che liquida in€ 2.935,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, se dovuto, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.