Tizio ricorre in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di L'Aquila che aveva confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti nei confronti della excompagna con la quale aveva avuto una lunga relazione da cui sono nate due figlie tuttora minorenni.
Nel caso di specie si censura la...
Svolgimento del processo
1. Attraverso il proprio difensore, M.A. impugna la sentenza della Corte di appello di L'Aquila del 30 maggio scorso, che ne ha confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti in danno di N.C., cui è stato legato da una relazione di convivenza protrattasi per circa dieci anni, dalia quale sono nate due figlie tuttora minorenni.
2. Il ricorso consta di quattro mot!vi.
2.1. Con il primo si deduce la nullità della sentenza impugnata, per violazione dell'art. 521, cod. proc. pen..
L'imputazione fa riferimento esclusivamente ad episodi che sarebbero tutti avvenuti dopo la cessazione della convivenza, non essendosi in presenza - a differenza di quanto ritenuto dalla Corte d'appello - di una contestazione c.d. "aperta" e non essendovi menzione di accadimenti precedenti ma connotati da contiguità spazio-temporale con quelli specificamente indicati.
2.2. La seconda doglianza, strettamente connessa alla precedente, attiene al vizio di motivazione, nella parte in cui è stata esclusa la riqualificazione delle specifiche condotte oggetto d'imputazione nel delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis, cod. pen.. Esse, infatti, hanno leso, semmai, la libertà personale e di autodeterminazione della ex-compagna, ma non il dovere di solidarietà tra i componenti della famiglia, che invece rappresenta il bene giuridico protetto dall'art. 572, cod. pen., tanto più ove si consideri il rilevante intervallo temporale tra quelle e la fine della convivenza.
2.3. Con il terzo motivo, sul presupposto della pretesa riqualificazione dei fatti nel delitto di atti persecutori, si lamenta violazione di legge per omessa declaratoria di improcedibilità per difetto di querela, trattandosi di vicende narrate in memorie difensive, in una denuncia senza espressa istanza di punizione o addirittura di episodi non rinvenibili in atti.
2.4. La quarta censura consiste nella violazione di legge e nel vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza ha ravvisato l'aggravante del fatto commesso in presenza di minori (art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen., nella formulazione allora vigente).
La Corte d'appello l'avrebbe ritenuta sussistente soltanto in relazione ad un episodio del 1° gennaio 2017, che tuttavia non può rilevare, poiché non specificamente contestato.
Residuerebbe allora, in ipotesi, solamente la condotta tenuta dall'imputato il 16 settembre 2018, allorquando, mentre stava accompagnando in auto le figlie dalla loro madre, giunto sotto casa, avrebbe minacciato costei per telefono: tuttavia - obietta la difesa - non v'è certezza che tali minacce siano avvenute in presenza delle bambine, essendo il fatto ricostruito sulla base delle sole dichiarazioni della donna, che tuttavia non vi ha assistito personalmente, essendo rimasta in casa.
3. Ha depositato requisitoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l'inammissibilità del ricorso.
4. Ha depositato conclusioni scritte la difesa ricorrente, insistendo per l'accoglimento dell'impugnazione.
Motivi della decisione
1. I primi due motivi possono essere trattati congiuntamente, muovendo entrambi dalla pretesa della diversa qualificazione giuridica dei fatti.
Essi non sono fondati.
In effetti, il capo d'imputazione non è un esempio di precisione, ma comunque non esclude la verificazione di condotte maltrattanti anche durante il periodo di convivenza della coppia e non può, dunque, ritenersi limitato a quelle successive e specificamente da esso richiamate. Inoltre, la sentenza impugnata spiega che, se si ha riguardo alle dichiarazioni rese dalla persona offesa in fase d'indagini, dalle quali quell'imputazione ha tratto origine e che sono pienamente utilizzabili, essendosi proceduto con il rito abbreviato, si evince nitidamente come le accuse riguardassero anche condotte tenute durante la convivenza.
È utile rammentare, in argomento, che, per aversi mutamento del fatto, e quindi un difetto di correlazione tra accusa e decisione, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione di tale principio non va esaurita nel pedissequo confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (così già Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617, mai rivista criticamente dalla giurisprudenza successiva).
In realtà, il ricorso sembra piuttosto far leva sull'errore materiale contenuto nell'imputazione, ove si dice che la convivenza tra l'imputato e la persona offesa sarebbe cessata nell'anno 2008, anziché - come in effetti è avvenuto e come, in definitiva, nemmeno la difesa deducente contesta - nel giugno del 2018: soltanto, cioè, due o tre mesi prima degli specifici episodi indicati nel capo d'imputazione. Ne riviene che non è possibile apprezzare una soluzione di continuità tra le condotte maltrattanti tenute prima e dopo il lungo periodo di convivenza, potendosi perciò ritenere, le une e le altre, espressive di un'unitaria condotta abituale.
2. Il terzo motivo, relativo all'asserito difetto di querela, è superato, una volta esclusa la riqualificazione dei fatti nel delitto di atti persecutori.
3. Manifestamente infondata, infine, è la quarta doglianza, in tema di configurabilità dell'aggravante del fatto commesso alla presenza di minorenni.
Anzitutto, per quanto s'è detto dianzi, anche l'episodio del 1° gennaio 2017 può farsi rientrare tra quelli contestati; in ogni caso, la sentenza non ha valorizzato solo quello, ma anche quanto accaduto il 16 settembre 2018.
Quanto, poi, a quest'ultimo fatto, l'assunto difensivo, secondo cui le bambine non avrebbero udito le minacce rivolte telefonicamente dal padre alla madre mentre erano in macchina con lui, è puramente ipotetico, non è supportato da risultanze probatorie e non è sorretto da rilievi critici sulla contraria deduzione logica dei giudici d'appello (che hanno valorizzato quanto riferito dalla donna in querela, ovvero di aver sentito la voce della loro figlia più piccola poco prima che l'imputato la minacciasse di aspettarla all'uscita dal lavoro per spararle). Sotto questo profilo, dunque, il ricorso si presenta pure generico e teso ad una non consentita rivalutazione in punto di fatto.
Peraltro, è indiscusso che, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell'essere stato il delitto commesso alla presenza del minore, prevista dall'art. 61, n. 11-quinquies, cod. pen., non è necessario - a differenza deli'ipotesi di maltrattamenti in danno di minore per effetto di c.d. "violenza assistita" - che gli atti di violenza posti in essere alla presenza del minore rivestano il carattere dell'abitualità, essendo sufficiente che egli assista anche ad uno soltanto dei fatti che si inseriscono nella condotta costituente reato (Sez. 6, n. 8323 del 09/02/2021, G., Rv. 281051; Sez. 6, n. 2003 del 25/10/2018, dep. 2019, Z., Rv. 274924).
4. L'impugnazione, in conclusione, dev'essere respinta, con la conseguente condanna del proponente a sostenere le spese di giudizio (art. 616, cod. proc. pen.).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 10 gennaio 2023.