Svolgimento del processo
1.-M.G. è stato investito durante una gara ciclistica da un'automobile condotta da P.G., ed assicurata con Unipol sai, già Fondiaria spa.
La responsabilità dell'incidente era interamente di quest'ultimo, poiché la strada che costui percorreva era stata interdetta al traffico automobilistico proprio a causa della manifestazione ciclistica cui il M.G. stava partecipando.
2.-Costui ha riportato gravissimi danni alla persona, con una invalidità permanente del 60%, e lesioni che hanno imposto lunghissimi tempi di recupero e di terapia.
Egli svolgeva, all'epoca, la professione di idraulico che ha dovuto ridurre drasticamente con altrettanto drastico calo delle entrate.
3.-M.G., a causa di tale incidente, ha citato in giudizio P.G. e la compagnia di assicurazione Unipol Sai, già Fondiaria, ed ha ottenuto dal Tribunale di Lucca un complessivo risarcimento di 716.206,98 €, di cui 710.000 erano stati già versati all'attore da parte della società convenuta.
M.G. ha tuttavia proposto appello avverso tale sentenza per lamentarsi della erronea liquidazione dei danni patrimoniali, ed in particolar modo per dolersi dell'errato calcolo del reddito venuto a mancare, oltre che del mancato riconoscimento, sulla somma comunque liquidata, degli interessi compensativi. La Corte di appello di Firenze ha però confermato integralmente la decisione di primo grado.
4.-M.G. ricorre contro tale sentenza con tre motivi di censura. Nessuno dei due intimati si è costituito.
Motivi della decisione
5.- Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 137 della legge 209 del 2005.
La questione attiene al calcolo del reddito netto ai fini della determinazione della incidenza della invalidità sulla capacità di guadagno.
Sia il Tribunale che la Corte d'appello hanno ritenuto che il reddito netto utile a determinare il risarcimento si dovesse calcolare detraendo l'imposta netta dal reddito imponibile: quest'ultimo è stato calcolato sottraendo dal reddito d'impresa gli oneri deducibili.
La tesi del ricorrente è che l'articolo 137 citato, riferendosi al reddito netto dei lavoratori autonomi, si riferisce al reddito di impresa, ossia a quello che risulta detraendo i costi dai ricavi: la differenza tra i due metodi di calcolo starebbe nel fatto che il primo dei due esclude dal reddito netto gli oneri deducibili, mentre il secondo li considera inclusi.
Il motivo è fondato.
Infatti, è principio di diritto che << L'art. 4 del d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1977, n. 39, nel disporre che in caso di danno alle persone, quando agli effetti del risarcimento si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o dell'invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina, per il lavoro dipendente, sulla base del reddito da lavoro maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge e, per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni, attribuisce rilievo alla stregua della sua testuale formulazione al reddito da lavoro netto dichiarato dal lavoratore autonomo ai fini dell'applicazione della sopraindicata imposta ed ha riguardo, quindi, non al reddito che residua dopo l'applicazione dell'imposta stessa ma alla base imponibile di cui all'art. 3 del d.P.R. 29 settembre 1973. n. 597, e cioè all'importo che il contribuente è tenuto a dichiarare ai fini dell'imposta sopraindicata, dovendo inoltre intendersi per reddito dichiarato dal danneggiato quello risultante dalla differenza fra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d'acconto) ed il totale dei costi inerenti all'esercizio professionale
- analiticamente specificati o, se consentito dalla legge, forfettariamente conteggiati - senza possibilità di ulteriore decurtazione dell'importo risultante da j, tale differenza, per effetto del conteggio delle ritenute d'imposta sofferte dal professionista>>. (Cass. 18855/ 2008; Cass. 11759/ 2018).
In sostanza, il reddito netto cui fare riferimento è quello costituito dalla differenza ricavi costi, vale a dire dall'insieme dei ricavi dedotti i costi sostenuti, con la conseguenza che gli oneri deducibili e le deduzioni in generale concorrono a formare il reddito netto, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito che invece hanno determinato il reddito netto in corrispondenza dell'imponibile, escludendo che gli oneri deducibili possano concorrere a formare il reddito netto considerato dalla norma.
6.- Con il secondo motivo si deduce violazione degli articoli 1223, 1219 e 2056 del codice civile.
Il ricorrente si duole del fatto che il risarcimento è stato, si, rivalutato all'attualità, dunque riconoscendo la svalutazione nel frattempo intervenuta, ma non sono stati riconosciuti gli interessi compensativi.
Più precisamente, egli aveva dedotto in appello la questione relativa alla spettanza degli interessi compensativi, ma il giudice d'appello si è limitato a dire che il calcolo della rivalutazione, cioè l'attualizzazione della somma concessa a titolo di risarcimento, era stato correttamente operato dal giudice di primo grado.
6.1.- Con il terzo motivo si denuncia violazione dell'articolo 132 del codice di procedura civile o comunque omessa pronuncia sulla domanda relativa agli interessi.
Il motivo è strettamente connesso a quello precedente in quanto il ricorrente osserva che, come censurato col motivo precedente, la Corte d'appello ha frainteso il motivo di censura, ed in buona sostanza ha ritenuto che l'appellante si dolesse soltanto dell'errata rivalutazione, mentre l'impugnazione verteva sul mancato riconoscimento degli interessi.
Con questo terzo motivo, il ricorrente osserva che, qualora si volesse ritenere che la Corte d'appello ha inteso correttamente il motivo di impugnazione, e lo ha deciso, allora non ha in alcun modo motivato il perché del suo rigetto, ossia non ha detto alcunché sul mancato riconoscimento degli interessi compensativi in primo grado.
I due motivi, che pongono una questione comune, sono fondati.
Il ricorrente dimostra di aver posto in appello (da pagina 14 a pagina 21) la questione della spettanza degli interessi compensativi sulla somma rivalutata, così rispettando il principio di diritto secondo cui il giudice è tenuto a motivare sugli interessi compensativi, solo ove la parte abbia dedotto l'insufficienza della rivalutazione a coprire il danno da ritardo (Cass. 1111/ 2020).
Il giudice d'appello non ha tuttavia tenuto in conto la questione ritenendo che la censura mossa dall'appellante fosse relativa esclusivamente alla corretta determinazione della rivalutazione: con la conseguenza che invece la questione della spettanza degli interessi compensativi, richiesti in aggiunta alla rivalutazione, è rimasta priva di decisione in secondo grado, dove va affrontata dal giudice di rinvio, tenendo conto del principio di diritto affermato da questa Corte, secondo cui: <<nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, che costituisce tipico debito di valore, è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell'importo liquidato in relazione all'epoca dell'illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore il quale va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo. In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. Tale effetto dipende prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile. Ne consegue, per un verso che gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso che non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi>>. (Cass. 18564/ 2018.
Il ricorso va dunque accolto in tali termini.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugna Appello di Firenze in diversa composizione anche per le spese.