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3 marzo 2023
La Corte EDU condanna l’Italia: troppo tempo per accertare l’identità biologica del figlio che vuole ottenere la dichiarazione di paternità

Violato l'art. 8 CEDU: il fatto che l'azione di disconoscimento della paternità sia pregiudizievole rispetto all'azione volta alla dichiarazione di paternità non è contrario alla Convenzione, ma lo diventa nel momento in cui la sentenza non definitiva emessa all'esito della prima impedisce al figlio (per oltre 12 anni) di intentare la seconda, volta ad ottenere la dichiarazione di paternità, lasciandolo nell'incertezza circa la sua identità biologica.

di La Redazione

L’oggetto del ricorso

Il ricorso in esame riguarda l'impossibilità per la ricorrente di introdurre un'azione volta ad ottenere la dichiarazione di paternità nei confronti del presunto padre biologico per due ragioni:

precisazione

  • Perché la legislazione italiana subordina tale azione alla condizione che la sentenza che esclude la paternità del padre presunto (in questo caso il marito della madre) sia divenuta definitiva;
  • Per l'eccessiva lunghezza della procedura di disconoscimento della paternità, la quale in tal caso si era protratta per oltre 12 anni.

Per queste ragioni, la ricorrente invoca la violazione degli artt. 6 e 8 CEDU, affermando che il fatto che la sentenza pronunciata al termine della procedura di disconoscimento della paternità non fosse definitiva l'aveva lasciata in uno stato di incertezza circa la sua identità personale per molto tempo, oltre ad averle impedito di intentare l'azione volta alla dichiarazione di paternità.

La sentenza n. 177/2022 della Corte costituzionale

Con la sentenza nel ricorso n. 8790/21 – causa Scalzo c. Italia – del 6 dicembre 2022, la Corte EDU richiama innanzitutto il quadro normativo e giurisprudenziale in materia, ponendo l'accento sulla recente sentenza n. 177/2022 con la quale la Corte costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 269 c.c. nella parte in cui prevede che la dichiarazione di paternità o di maternità possano essere pronunciate solo nel caso in cui il riconoscimento è ammesso, non potendo invece quando tale riconoscimento sia in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova.
In tal sede, la Consulta aveva dichiarato infondate le questioni sollevate ma si era rivolta direttamente al Legislatore evidenziando l'esigenza di un intervento nel sistema, invitandolo a tener conto di tutti gli interessi coinvolti senza comprimere in maniera sproporzionata diritti di rango costituzionale e senza dimenticare che l'onere di un duplice processo comporta un altro rischio per l'interessato, che si sostanzia nella possibilità di rimanere privo di status(quello ormai demolito e quello che potrebbe non palesarsi al termine del giudizio successivo).

Il giudizio della Corte EDU

La Corte osserva innanzitutto che i fatti di causa rientrano nell'art. 8 CEDU che riconosce alle persone il diritto di conoscere le proprie origini nonché di ottenere che esse siano dichiarate per legge. Il concetto di “vita privata”, infatti, si riferisce anche agli aspetti sociali della persona, inclusa la filiazione. Ciò detto, l'art. 8 CEDU ha essenzialmente ad oggetto la tutela del soggetto dalle ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri che può tradursi in obblighi negativi ed obblighi positivi e ove lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento.
Ora, tenendo conto che la Corte EDU non può certo sostituirsi alle Autorità interne, essa non può comunque non rilevare che la ricorrente si trova da oltre 12 anni in una situazione di incertezza sulla sua identità personale per via dell'impossibilità di intraprendere un'azione volta alla dichiarazione di paternità e ciò ha compromesso il suo diritto di conoscere e di vedere riconosciute le sue origini.
Come afferma la Corte 

giurisprudenza

«un sistema come quello dell'Italia, che prevede che l'azione di disconoscimento di paternità è pregiudizievole all'azione volta alla dichiarazione di paternità, può in linea di principio essere dichiarato compatibile con gli obblighi derivanti dall'articolo 8, tenuto conto del margine discrezionale dello Stato». Tuttavia, «nell'ambito di un sistema di questo tipo, gli interessi della persona che cerca di determinare la propria filiazione debbano essere protetti, il che non avvienequando le procedure durano parecchi anni e impediscono che sia intentata un'azione volta alla dichiarazione di paternità».

Rammenta infatti la Corte che la Consulta aveva invitato il Legislatore ad intervenire in proposito, velocizzando la procedura se opportuno, poiché il processo nel caso di specie non solo costituisce un fardello pesante per la persona che desidera fare accertare la sua identità biologica, ma rischia altresì di violare il principio della durata ragionevole del processo e di ostacolare l'esercizio dell'azione previsto dall'art. 24 Cost..
In conclusione, la Corte EDU ravvisa la lesione del diritto alla vita privata della ricorrente, essendosi le Autorità italiane sottratte all'obbligo positivo di assicurare tale diritto.
Per questo, la Corte accorda alla ricorrente un risarcimento pari a 10mila euro per danno morale, più l'importo dovuto a titolo di imposta sulla somma.

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