
Per proporre l'azione “di ripristino”, volta al mantenimento dell'integrità materiale delle facciate interne dello stabile, stravolte dall'installazione di canne fumarie poste a servizio del singolo locale, non è necessario il mandato di tutti i condomini.
Svolgimento del processo
Con sentenza n.• 2137 del 2011 il Tribunale di Roma - pronunciando sulle domande proposte dal Condominio in (omissis)di via (omissis) n. 4 nei confronti della C. I s.r.l., le accoglieva parzialmente, accertando e dichiarando l'illegittimità dell'apposizione delle due canne fumarie a servizio del locale di proprietà della convenuta, con conseguente condanna della stessa al ripristino dello stato dei luoghi mediante loro rimozione, rigettata la domanda di risarcimento dei danni e condannata la convenuta alla refusione delle spese di lite.
Sul gravame interposto dalla C. I s.r.l., la Corte di appello di Roma, nella resistenza del Condominio, con sentenza n. 2313 del 2017 (pubblicata il 7 aprile 2017), rigettava l'appello e condannava parte appellante al pagamento delle spese di lite del secondo grado.
La Corte capitolina confermava la sentenza del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto ammissibile nel presente ,giudizio - sulla base del principio del "libero convincimento del giudicante" e delle "prove atipiche" - l'acquisizione della c.t.u. espletata in diverso processo (di natura possessoria), recante R.G. n. 63465/2005, svoltosi sempre dinanzi al Tribunale di Roma fra il Condominio appellato e il dante causa della C. I s.r.l., concernente l'apposizione delle medesime canne fumarie]f JJ10J stante l'identità di oggetto fra i due giudizi, per essere pacificamente riconosciuto al giudice di merito di avvalersi anche di prove raccolte in diverso processo, sia pure pendente fra parti diverse, fatta salva l'ipotesi in cui l'assunzione della prova non fosse avvenuta aggirando preclusioni o divieti sanciti da norme processuali o sostanziali e fermo l'obbligo di motivazione adeguata. Nel caso di specie, aggiungeva la Corte territoriale, la citata c.t.u. della procedura possessoria era stata espletata quando i termini di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., concessi nel processo de quo, erano già scaduti.
Quanto al lamentato difetto di legittimazione attiva del Condominio, la Corte territoriale rilevava che, a differenza di quanto dedotto, il Tribunale aveva ravvisato il sia pure parziale difetto di legittimazione processuale dell'attore in primo grado con riferimento alla tutela del c.d. diritto di veduta violata nei confronti dell'immobile del solo condomino S., mentre per le restanti domande concernenti la tutela e il decoro dell'edificio, l'utilizzo della cosa comune e l'incolumità dei condomini, nonché la tutela e la sicurezza dello stabile, vi era la piena legittimazione all'azione del Condominio.
Infine, relativamente all'asserita violazione dell'art. 1102 c.c., il giudice di secondo grado rammentava che non vi erano i presupposti per l'applicazione della norma invocata, come accertato sulla base della c.t.u. e delle fotografie acquisite dal giudice di merito, cui era rimesso tale accertamento insindacabile in sede di legittimità.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma proponeva ricorso per cassazione, sulla ba e di cinque motivi, la società C. I, cui resisteva con controricorso dal Condominio.
In prossimità della pubblica udienza il Sostituto Procuratore, Dott. T. B., ha depositato una relazione con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso del rigetto del ricorso.
Parte ricorrente ha curato anche il deposito di memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell'art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., dell'art. 2697 c.c., nonché dei principi di difesa e del contraddittorio di cui agli artt. 24 e 111, comma 2, Cost., e 6 Cedu.
Più esattamente, con tale censura la società ricorrente afferma che la causa era stata decisa, sia in primo che in secondo grado, sulla base di una consulenza tecnica d'ufficio espletata in un diverso giudizio al quale la stessa società era rimasta del tutto estranea, e, peraltro, acquisita nel presente processo oltre i termini processuali per l'istruttoria.
Il motivo è privo di pregio giuridico in quanto il giudice di primo grado - come correttamente rilevato dalla Corte di appello - poteva legittimamente avvalersi degli esiti probatori della relazione peritale svolta dal c.t.u. nel giudizio possessorio (R.G. n. 63465/200S) introdotto dallo stesso Condominio nei confronti della dante causa della ricorrente, la quale aveva provveduto alla realizzazione e alla posa in opera delle canne fumarie per cui è controversia.
Infatti, questa Corte (Cass. 4 marzo 2002 n. 3102) h21 chiarito che "nei poteri del giudice in tema di disponibilità e valutazione delle prove rientra quello di fondare il proprio convincimento su prove formate in altro processo, quando i risultati siano acquisiti nel giudizio della cui cognizione egli è investito, potendo le parti che vi abbiano interesse contrastare quei risultati discutendoli o allegando prove contrarie", così come ha pure precisato che "il giudice di merito è libero di formare il proprio convincimento sulla base di accertamenti compiuti in altri giudizi fra le stesse parti od anche fra le altre parti" (Cass. 17 gennaio 1995 n. 478; idem Cass. 20 gennaio 1995 n. 623).
Inoltre la sentenza in scrutinio ha rilevato che la consulenza tecnica espletata nel diverso giudizio, su impulso del giudice del possessorio, era stata formata e comunque depositata e sottoposta a discussione nel contraddittorio delle parti dopo che nel presente processo erano scaduti i termini concessi ai sensi dell'art. 183 c.p.c. ovverosia dando atto che si trattava di accertamento formatosi dopo che nel presente processo erano maturate le preclusioni a nuove prove.
In tal modo risulta rispettato peraltro anche il precetto di cui all'art. 345, comma 3 c.p.c., che consente in appello !''acquisizione cli nuovi documenti a condizione che la parte dimostri di non averli potuti produrre prima per essersi formati successivamente alla introduzione del giudizio.
La Corte territoriale, inoltre, nella valutazione della consulenza tecnica espletata nel procedimento possessorio. ha dimostrato di essere a conoscenza della necessità di adeguato scrutinio delle risultanze delle indagini peritali, non recependole acriticamente. In tal modo la sentenza in scrutinio ha dato corretto seguito all'orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui "Il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento anche gli elementi probatori raccolti in un giudizio penale, ed in particolare le risultanze della relazione di una consulenza tecnica esperita nell'ambito delle indagini preliminari, soprc1ttutto quanto la relazione abbia ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi" (v. in termini, Cass. 2 luglio 2010 n. 15714).
L'orientamento, risalente ma immutato (Cass. 20 dicembre 2001 n. 16069), afferma che "Il giudice di merito, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, oltre che utilizzare prove raccolte in altro giudizio tra le stesse o altre parti, può anche avvalersi delle risultanze derivanti da atti di indagini preliminari svolte in sede penale, le quali debbono, tuttavia, considerarsi quali semplici indizi, idonei a fornire utili e concorrenti elementi di giudizio e la cui concreta efficacia sintomatica dei singoli fatti noti deve essere valutata - in conformità alla regola in tema di prova per presunzioni - non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva in base ad un apprezzamento, che, se sorretto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo logico e giuridico, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 1404 del 2001). Di conseguenza, anche una consulenza tecnica disposta dal P.M. in un procedimento penale, una volta che essa sia stata ritualmente prodotta dalla parte in un giudizio civile, può essere liberamente valutata come elemento indiziario idoneo alla dimostrazione di determinati fatti (ancorché la valutazione che se ne deve fare non può non tener conto che essa si è formata, eventualmente, senza il contraddittorio delle parti del giudizio civile e che non risulta sottoposta al vaglio del giudice del dibattimento)".
Nella specie I dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che il giudice di appello ha valutato - al pari del giudice di prime cure – la consulenza tecnica espletata nel giudizio possessorio, necessariamente acquisita dopo il suo deposito in siffatto giudizio avvenuto dopo i termini di cui all'art. 183, comma 6 c.p.c. erano scaduti, correlandola all'identità dell'oggetto fra i due giudizi (ossia la struttura di due grandi canne fumarie), e giungendo alla conclusione, non correttamente censurata in questa sede, del raggiungimento della prova in tema di lesione del decoro dell'edificio e del pericolo alla sicurezza dei condomini per essere le stesse dello spessore di circa 35 cm. di diametro ciascuna e volgenti verso l'alto per diversi metri lungo la facciata interna dello stabile, oltre a fuoriuscire per una parte al di sopra di esso. Inoltre l'installazione della struttura aveva determinato un pericolo alla sicurezza dei condomini con riferimento al punto di affaccio dal cortile interno.
La Corte distrettuale ha, dunque, fatto buon governo delle risultanze probatorie, pervenendo correttamente all'accoglimento della domanda del Condominio.
Con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. e per difetto assoluto e/o apparenza della motivazione in violazione dell'art. 111, comma 6, Cost. e degli artt. 132, comma 2, n. LI-, e 156, comma 2, c.p.c., con riguardo alla asserita violazione del principio del contraddittorio dedotta con il primo motivo in appello e sulla quale, a detta della C. I s.r.l., la Corte territoriale non avrebbe argomentato, con riferimento alle circostanze di cui al primo mezzo, sulla violazione del diritto del contraddittorio.
Del pari non può trovare ingresso il secondo motivo.
L'omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto.
Tale vizio, pertanto, dev'essere escluso in relazione al cc1so in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della domanda proposta (Cass. n. 264 del 2006; Cass. n. 3435 del 2001), così come dev'essere escluso nel caso in cui sussista la decisione, implicita o esplicita, da parte del giudice sulla domanda ma sia priva di (idonea) motivazione: l'omessa pronuncia su una domanda ritualmente introdotta in giudizio, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integrc1, infatti, un difetto di attività del giudice di secondo grado che si distingue clal vizio di omessa motivazione il quale, al contrario, presuppone che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza ma l'abbia risolta senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione resa al riguardo (Cass. n. 22759 del 2014, in motiv.; Cass., Sez. Un., n. 23071 del 2006; Cass. n. 1755 del 2006; Cass. n. 5444 del 2006, in motiv., per la quale "la differenza fra l'omessa pronuncia di cui all'art. 112 c.p.c. e l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. si coglie ... nel senso che nella prima l'omesso esame concerne direttamente una domanda od un'eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d'appello uno dei fatti costituitivi della "domanda" di appello), mentre nel caso dell'omessa motivazione l'attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l'eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un'eccezione e, quindi su uno dei fatti c.d. principali della controversia ... "; Cass. n. 17580 del 2014, per la quale non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi - anche con pronuncia implicita - rigettata perché indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente loqico-giuridico, decisa e rigettata dal giudice).
Nel caso in esame, come visto con riferimento al primo mezzo, la corte d'appello ha ritenuto ammissibile "la richiesta" con la quale l'appellato ha chiesto l'acquisizione agli atti della consulenza tecnica di ufficio espletata nel giudizio possessorio volta a determinare la illegittimità della posa in opera delle canne fumarie, in tal modo esplicitamente ecl inequivocamente pronunciandosi sulla richiesta, ammissibilità condivisa anche dal giudice di appello.
Con il terzo motivo, la società ricorrente si duole - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - della nullità della sentenza per ultrapetizione in violazione dell'art. 112 c.p.c., con riguarc:lo alla legittimazione attiva del Condominio, attenendo le domande ad interessi dei singoli condomini.
Il motivo è infondato.
Le questioni poste con l'azione giudiziaria intrapresa dall'amministratore concernevano la installazione sulla facciata interna dello stabile di canne fumarie poste a servizio del locale di proprietà della C. I ed il conseguente risarcimento, perché avrebbe arrecato danno al decoro architettonico del Condominio e alla sicurezza dei condomini.
Occorre aver riguardo al combinato disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c. La prima norma, al punto 4 - che viene in riilievo con il ricorso - fa obbligo all'amministratore di "compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio" (cfr Cass., Sez. Un., n. 18311 del 2011).
Nei limiti di questa attribuzione, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi. Secondo l'interpretazione di questa Corte, iii legislatore ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrità dell'immobile (Cass. n. 8233 del 2007), cioè ad atti meramente conservativi.
Resta esclusa la possibilità di esperimento di azioni reali contro i singoli condomini o contro terzi dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità o al contenuto di diritti su cose e parti dell'edificio (Cass. n. 3044 del 2009; Cass. n. 5147 del 2003).
Orbene, dalla sentenza impugnata emerge che nel caso di specie la domanda di maggior rilievo riguardava la installazione di canne fumarie sulla facciata dello stabile condominiale.
Con la conseguenza che il giudice di merito non è incorso nel denunciato vizio di falsa applicazione di legge, avendo correttamente sussunto la fattispecie nel disposto dell'art. 1130 n. 4 c.c. Il Condominio ha infatti agito per difendere il mantenimento dell'integrità materiale delle facciate, di pertinenza del fabbricato, stravolte dalla nuova installazione.
Per proporre tale azione, definita "di ripristino" e quindi non di accertamento dei diritti dominicali, non era necessario mandato di tutti i condomini, potendo l'amministratore agire ex art. 1130 c.c., n. 4, e art. 1131 c.c. (v. Cass., Sez. Un., 18331/11 cit.; più di recente, Cass. n. 3846 del 2020).
Con il quarto punto, parte ricorrente afferma - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 1130 e 1131 c.c. e dell'art. 182 c.p.c., per aver la Corte distrettuale mancato di ravvisare che l'Amministratore 1ji Condominio era carente della legittimazione ad agire, non essendo stato prodotto il verbale dell'assemblea di conferimento dei poteri.
Alla luce di quanto esposto con riferimento al terzo mezzo, è privo di pregio giuridico anche il quarto mezzo potendo in siiffatta situazione l'Amministratore agire anche senza il mandato da parte dei condomini con azione per il rispristino dei luoghi e il risarcimento del danno nei confronti dell'autore dell'opera denunciata e dell'acquirente della stessa (v. in termini, Cass. n. 16230 del 2011).
Con il quinto ed ultimo motivo, la C. I s.r.l. ritiene - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - che Ila sentenza impugnata sia nulla per violazione degli artt. 1102 e 1120, e per motivazione apparente ed illogica, con conseguente violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4, e 156, comma 2, c.p.c., avendo il giudice dell'appello fornito una motivazione solo apparente e comunque illogica in ordine alla censurata violazione dei principi che regolano l'uso della cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c.
Il mezzo è inammissibile prima che infondato.
La Corte d'appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito, la illegittimità dell'esecuzione delle opere in oggetto perché, violando il decoro dell'edificio per l'utilizzo improprio della cosa comune (parete interna dello stabile) e l'iincolumità dei condomini, come evidenziato nella CTU e nella documentazione fotografica, sarebbe risultata mutata la struttura architettonica dell'edificio.
La ricorrente contesta che non sarebbe alcuna modificazione rilevante del bene comune e comunque rientrante nei limiti di cui all'art. 1102 c.c.
Ora, la nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l'art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio non può, perciò, eseguire modificazioni della facciata in modo tale che l'utilizzazione della cosa comune risulti alterata nella sua destinazione e sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo ili loro diritto (v. di recente, Cass. 6 maggio 2021 n. 11870; ma già, Cass. 18 febbraio 1998 n. 1708; Cass. 14 dicembre 1994 n. 10704; Cass. 17 luglio 1962 n. 1899). L'accertamento del superamento dei limiti imposti dall'art. 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell'uso della cosa comune, la destinazione della stessa, ricollegandosi all'entità e alla qualità dell'incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di leçiittimità per violazione di norme di diritto.
Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta la ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Ne consegue la condanna de 'Mcorrente al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 Jennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese di legittimità che liquida in complessivi euro 4.300,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1-qualer D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1 comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.