Con un nuovo principio di diritto, la Cassazione afferma a quali documenti è applicabile l'art. 58, c. 2, D.Lgs. n. 546/1992.
Il ricorrente proponeva ricorso alla CTP avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva elevato il reddito dello stesso in relazione all'utilizzo di fatture emesse dalla ditta individuale ritenute inerenti ad operazioni inesistenti. La CTP accoglieva il ricorso ritenendo sfornito di prova l'assunto secondo cui le...
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate notificava al ricorrente l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2007 con il quale elevava il reddito dello stesso in relazione all’utilizzo di fatture emesse dalla ditta individuale F.S., ritenute inerenti ad operazioni inesistenti. Il ricorrente proponeva ricorso alla CTP e questa lo accoglieva, ritenendo sfornito di prova l’assunto secondo cui le operazioni oggetto di fatturazione fossero inesistenti. La CTR, adìta in sede di gravame dall’Agenzia, riformava la sentenza sulla base dell’ulteriore documentazione prodotta dall’appellante in tale sede.
2. Il ricorrente propone quindi ricorso in cassazione affidato a due motivi. L’agenzia si è costituita per resistere all’impugnativa.
A seguito di proposta ex art. 380-bis, cod. proc. civ., il ricorrente depositava memoria. Con ordinanza interlocutoria, anche a seguito di provvedimento del Primo Presidente del 5 maggio 2022, che rigettava l’istanza di rimessione alle Sezioni Unite della questione inerente ai requisiti di autosufficienza del ricorso, la causa era rimessa alla pubblica udienza di questa sezione.
Infine, la stessa parte ha depositato in data 10 gennaio 2023 ulteriore memoria, a mezzo della quale ha invocato l’applicabilità alla presente controversia dell’art. 7, comma 5-bis, come introdotto dalla l. 31 agosto 2022, n. 130, portante la regola secondo cui “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato”.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il contribuente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt., 57 e 58, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 2697, cod. civ. e 24 e 11, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Lamenta infatti il ricorrente che la CTR, pur avendo ritenuto corretta la prima sentenza, l’abbia riformata sulla base della nuova documentazione prodotta dall’amministrazione in secondo grado. In tal sede in particolare l’Agenzia aveva prodotto denuncia di notizia di reato a carico del F.S. (titolare della ditta individuale che emise le fatture), l’avviso di conclusione indagini e il dispositivo della sentenza di patteggiamento nonché l’avviso di accertamento a carico dello stesso F.S..
La violazione delle disposizioni epigrafate appare al ricorrente evidente, dal momento che “il valore documentale dei nuovi documenti deve discendere ab intrinseco da tali documenti, nel senso che essi devono rappresentare fatti che da soli costituiscono un mezzo di prova”; inoltre il giudice d’appello non avrebbe dato conto della deroga operata a norma dell’art. 58, d.lgs. n. 546/1992.
D’altronde l’ammissibilità di nuove prove non derogherebbe al divieto di proporre l’esame di nuovi “fatti”, vietato dall’art. 57 della stessa legge.
1.1. Il motivo è infondato.
Invero l’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, ammette la produzione di nuovi documenti in appello, senza alcun limite che non sia quello della preclusione di cui all’art. 32, stesso decreto, così come affermato anche di recente da questa Corte (Cass. 07/07/2021, n. 19368).
Né l’ammissione del nuovo documento trova limite nella definizione del thema probandum, dal momento che questa Corte ha già specificato che le produzioni in parola possono effettuarsi col limite di cui all’art. 57, d.lgs. n. 546/1992, portante il divieto di domanda nuova o di nuova eccezione in senso stretto (Così Cass. 19368/2021, cit.), e purché la produzione stessa avvenga entro il termine di decadenza di cui all'art. 32, d.lgs. n. 546/1992.
Per quanto si riferisce alla definizione dell’ambito applicativo della disposizione appena citata rispetto a quanto disposto dallo stesso art. 58, d.lgs. n. 546/1992, al comma 1, a mente del quale nuove prove possono essere ammesse (o, come si esprime la norma “disposte”) solo se la parte dimostra di essere incorsa senza sua colpa nelle preclusioni ovvero ove il giudice le ritenga necessarie (il che peraltro si verifica anche per implicito con l’utilizzo del nuovo mezzo per sorreggere la decisione di secondo grado), la stessa ha dunque ad oggetto le prove diverse da quelle documentali (quali ad esempio, le testimonianze scritte di cui al nuovo testo dell’art. 7, comma 4, d.lgs n. 546/1992 come modificato dalla l. 31 agosto 2022, n. 130).
Nella specie la critica del ricorrente attiene al fatto che la sentenza d’appello si basa su presunzioni, non su una prova (documentale) piena.
Va però ricordato che nella nozione di documento, quale fonte di prova (piena o indiziaria che sia) devono annoverarsi tutte le rappresentazioni di fatti (quindi incluse fotografie, disegni ecc.), purché avvenuti al di fuori del processo.
Orbene la presunzione, come mezzo di prova, costituisce un giudizio che si basa su elementi indiziari dotati delle caratteristiche previste dall’art. 2729, cod. civ. Tali indizi ben possono essere costituiti, in parte o anche esclusivamente, da documenti, ed in tal caso la disciplina circa la loro ammissione va rintracciata ai nostri fini nell’art. 58, comma 2, d.lgs n. 546/1992, mentre solo ove gli indizi abbiano altra fonte, si dovrà far riferimento ai limiti di cui al primo comma della norma in esame.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto
Nel processo tributario, la disposizione di cui all’art. 58, comma 2, in base al quale in grado d’appello è fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti, va ritenuta applicabile non solo allorché tali documenti costituiscano di per sé una prova ai sensi del capo II del titolo II del libro Vi del cod. civ. (artt. 2699-2720, cod. civ.), ma altresì quando i medesimi siano utilizzati quali meri elementi indiziari, che da soli o unitamente ad altri, in quanto dotati delle caratteristiche previste dall’art. 2729, cod. civ., siano idonei a fondare una praesumptio hominis.
Orbene la sentenza impugnata basa la propria ratio decidendi su una praesumptio hominis, a sua volta fondata su nuovi documenti, quindi su indizi esclusivamente documentali (in particolare quelli sopra elencati e specialmente la denuncia di notizia di reato), per cui traendo le conseguenze da quanto precede emerge che tali prove sfuggivano dai limiti di cui al primo comma dell’art. 58 del d.lgs più volte citato.
Né infine viene nella specie in rilievo il disposto, pur invocato dalla parte ricorrente, del nuovo comma 5-bis dell’art. 7, l. n. 130/2022, dal momento che tale disposizione si riferisce all’onere probatorio in capo all’amministrazione, senza incidere sull’assetto del suo assolvimento in base alle scansioni processuali in cui quest’ultimo avviene.
In effetti questa Corte ha già ritenuto che “In tema di onere probatorio gravante in giudizio sull'amministrazione finanziaria in ordine alle violazioni contestate al contribuente, per le quali non vi siano presunzioni legali che comportino l'inversione dell'onere probatorio, l'art. 7, comma 5 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, introdotto dall'art. 6 della l. n. 130 del 2022, non stabilisce un onere probatorio diverso, o più gravoso, rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all'istruttoria dibattimentale un ruolo centrale” (Cass. 27/10/2022, n. 3878).
2. Con il secondo motivo il contribuente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 57 e 58, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 2697, cod. civ. e 24 e 11, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Il motivo, che ha analogo contenuto del precedente, viene spiegato per l’ipotesi in cui la Corte ritenesse riconducibili le denunciate violazioni alla norma processuale anziché a quella sostanziale.
2.1. La rejezione del precedente motivo determina l’assorbimento del presente.
3. Il ricorso dev’essere dunque respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.