In particolare, la Cassazione si occupa di stabilire l'onere probatorio sussistente in capo al curatore subentrante.
Il Tribunale di Padova accoglieva l'azione revocatoria ex art. 66 l. fall. proposta dal Fallimento di una srl in liquidazione, subentrato all'iniziativa
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Padova ha accolto l’azione revocatoria di cui all’art. 66 legge fall. proposta dal Fallimento di I. s.r.l. in liquidazione, subentrato all’iniziativa ex art. 2901 cod. civ. già intrapresa dal Condominio T.B., con riguardo a una vendita immobiliare effettuata dalla fallita in beneficio di S. s.r.l. (poi divenuta F. s.r.l.) tre anni prima del sorgere di un rilevante credito per oneri condominiali; nonché con riguardo a un successivo atto col quale i medesimi beni erano stati assegnati alla V. s.r.l.
Tali negozi si sarebbero dovuti considerare alla stregua di atti posti in essere con dolosa preordinazione in danno del creditore.
Su gravame della F. e della V. s.r.l. la sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia.
La F. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione in tre motivi.
Il Fallimento ha replicato con controricorso. Il condominio non ha svolto difese.
Le parti costituite hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
I. Col primo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 190 cod. proc. civ. e dell’art. 24 cost., per avere la corte d’appello ritenuto corretta la decisione di primo grado nonostante che la sentenza fosse stata pronunciata senza concessione del termine per il deposito delle memorie di repliche e a prescindere da esso.
Col secondo motivo denunzia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., essendo stata omessa la pronuncia in ordine al motivo di appello con cui le impugnanti si erano dolute dell’accoglimento dell’azione revocatoria pur non essendo stato provato l’eventus damni per la preesistenza delle ragioni creditorie del Fallimento all’atto impugnato.
Col terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 2901 cod. civ. e 66 legge fall., in quanto la corte d’appello avrebbe accolto la domanda in mancanza della prova della circostanza – fin dall’inizio contestata – che i crediti insinuati al passivo fallimentare fossero preesistenti all’atto impugnato.
II. Il primo motivo, per quanto astrattamente fondato, non determina conseguenze sull’esito della controversia. Sicché riguardo a esso è sufficiente correggere l’errore di diritto nel quale è incorsa la sentenza impugnata.
III. Risulta dalla stessa, difatti, ed è confermato da entrambe le parti, che in primo grado la causa era stata trattenuta in decisione all’udienza del 1°-10-2015, dopo l’assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e repliche (art. 190 cod. proc. civ).
Successivamente la causa era stata rimessa sul ruolo, per alcuni chiarimenti sulla legittimazione esclusiva del curatore e sull’epoca di insorgenza delle rate condominiali non pagate.
All’udienza appositamente fissata (25-2-2016), nella quale il difensore della F. non era comparso, il giudice di primo grado, preso atto dei chiarimenti, aveva rimesso di nuovo la causa in decisione, questa volta assegnando il termine di 30 giorni per lo scambio di ulteriori memorie difensive.
La sentenza è stata pronunciata l’8-4-2016 e depositata il 15-4-2016.
IV. La decisione è stata presa in violazione del diritto al contraddittorio della parte convenuta.
Ai sensi dell’art. 190 cod. proc. civ. è consentito al giudice istruttore, quando la causa è rimessa in decisione, di fissare un termine più breve per le comparse conclusionali (comune non inferiore a venti giorni), ma non gli è consentito, invece, di obliterare il termine per le repliche.
Ne segue che l’abbreviazione del termine per le conclusionali, dopo la (nuova) precisazione delle conclusioni resasi necessaria per l’avvenuta rimessione della causa sul ruolo, imponeva di considerare (poi) sempre aperto il termine ordinario per le repliche (venti giorni), e la sentenza non avrebbe potuto essere deliberata prima della scadenza di tale termine.
Come è stato stabilito dalle Sezioni Unite, la violazione determinata dall'avere il giudice deciso la controversia senza assegnare alle parti i termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ovvero senza attendere la loro scadenza, comporta di per sé la nullità della sentenza per impedimento frapposto alla possibilità per i difensori delle parti di svolgere con completezza il diritto di difesa, in quanto la violazione del principio del contraddittorio, al quale il diritto di difesa si associa, non è riferibile solo all'atto introduttivo del giudizio, ma implica che il contraddittorio e la difesa si realizzino in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo (v. Cass. Sez. U n. 36596-21).
Nel caso di specie il termine di trenta giorni per le conclusionali, concesso il 25-2-2016, scadeva il 26-3-2016, e quello per le repliche, non inciso dall’ordinanza del giudice istruttore e comunque insuscettibile di essere eliminato, scadeva a sua volta il 15-4-2016.
Donde la sentenza di primo grado, deliberata l’8-4-2016 e depositata il medesimo giorno 15-4-2016, era affetta da nullità per lesione del contraddittorio e del diritto di difesa della parte.
V. Per debito di ulteriore chiarezza va aggiunto che è irrilevante la considerazione della curatela controricorrente secondo la quale le parti avevano esercitato il pieno diritto di difesa prima dell’udienza del 25-2-2016.
Difatti, richiamata la causa sul ruolo, l’art. 190 cod. proc. civ. impone una nuova sequenza di conclusionali e repliche rispetto alle conclusioni nuovamente precisate.
Ed è inconsistente, per le medesime ragioni, anche l’obiezione della corte d’appello, secondo la quale l’omesso utilizzo dell’ulteriore termine accordato all’udienza del 25-2-2016 avrebbe reso “irrituale” la seconda memoria di replica della F..
Analogamente non possiede costrutto quanto l’impugnata sentenza ha affermato a proposito dell’essere il nuovo termine suscettibile di riconduzione all’esercizio del potere di direzione del procedimento riconosciuto al giudice istruttore dagli artt. 127 e 175 cod. proc. civ.
Tale notazione non è minimamente centrata, dal momento che il termine di trenta giorni, concesso il 25-2-2016, dopo le conclusioni nuovamente precisate a tale udienza a seguito della rimessione della causa sul ruolo, non poteva essere inteso che in senso funzionale all’art. 190 cod. proc. civ.
La sua concessione, cioè, non rientrava affatto nella generale funzione direttiva del processo, ma era connaturata all’obbligo del giudice di accordare il termine in vista delle comparse conclusionali, con mera facoltà di abbreviazione.
Era perciò necessario attendere la scadenza di esso e dell’associato (e questa volta incomprimibile) termine per le repliche, prima di pronunciare la decisione di merito e depositarla in cancelleria.
VI. Sennonché l’errore denunziato nel primo mezzo non è decisivo.
La nullità della sentenza di primo grado non impone in questi casi il rinvio ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., sicché la corte d’appello avrebbe comunque dovuto decidere il gravame anche nel merito; cosa che ha fatto.
Nell'ipotesi in cui la sentenza di primo grado sia stata deliberata anticipatamente rispetto alla scadenza dei termini dell'art. 190 cod. proc. civ. non basta alla parte soccombente impugnare la sentenza denunziandone la nullità, perché il giudice d'appello, una volta constatata tale nullità, non potrebbe rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354 cod. proc. civ., essendo tenuto a deciderla invece egli stesso nel merito. Ed è quindi onere della parte, in questi casi, di impugnare la sentenza di primo grado anche in rapporto alle statuizioni di merito (v. Cass. Sez. U n. 36596-21).
Poiché per l’appunto la corte d’appello ha deciso nel merito delle doglianze ulteriormente consegnate ai motivi di gravame, l’errore di cui si è trattato non è causale, nel senso che non determina la necessità di cassare la sentenza, perché i restanti due mezzi, che attengono alla susseguente statuizione di merito, sono entrambi da disattendere.
VII. La questione sottesa attiene all’interrogativo se, in caso di subentro della curatela fallimentare nell’esercizio di un’azione revocatoria ordinaria avanzata da uno dei creditori, si imponga oltre alla prova della preesistenza delle ragioni creditorie anche la prova dell’ammissione dei crediti al passivo. E quindi se il Fallimento del debitore, che subentra nell’azione promossa dal singolo creditore, sia tenuto a fornire la prova dell’avvenuta ammissione al passivo del credito preesistente all’atto impugnato, rimasto insoddisfatto.
La corte territoriale, nella parte relativa all’accertamento circa la preesistenza delle ragioni di credito del condominio, ha implicitamente fornito risposta negativa al quesito, mediante il rigetto del motivo di gravame concernente la mancanza di prove dell’eventus damni in rapporto alla preesistenza delle ragioni creditorie del fallimento stesso. Ciò sta a significare che il vizio di omessa pronuncia non ricorre,
visto che a escluderlo basta che ci sia stata la decisione della questione controversa, la quale può essere anche solo implicita (per riferimenti, Cass. Sez. 3 n. 2830-21, Cass. Sez. 5 n. 7662-20, Cass. Sez. 2 n. 20718-18).
Dopodiché al problema concretamente posto col terzo motivo di ricorso, circa la necessità di intendere il requisito della preesistenza del credito solo in quanto vi sia stata l’insinuazione al passivo del fallimento, pur dinanzi al subentro della curatela in un’azione revocatoria già avviata, va data risposta negativa.
VIII. Nel giudizio introdotto con l’azione revocatoria ordinaria di un atto di disposizione patrimoniale, qualora sopravvenga il fallimento, il curatore può subentrare nell'azione in forza della legittimazione accordatagli dall'art. 66 legge fall.
In tal caso – si dice - egli accetta la causa nello stato in cui si trova ed esercita un’azione che già esiste nella massa fallimentare. Non quindi un’azione nuova, ma un’azione che si identifica con quella che lo stesso creditore ha esperito prima del fallimento (v. in proposito Cass. Sez. U n. 29420-08, cui adde Cass. Sez. 1, n. 12513-09, Cass. Sez. 3 n. 5586-15, Cass. Sez. 6-3 n. 17544-18).
La conclusione è sorretta dal rilievo che, in caso di azione ex art. 2901 cod. civ. proseguita dal curatore del fallimento del debitore, viene altresì meno la legittimazione (come pure l'interesse) ad agire dell'attore originario (v. Cass. Sez. U n. 29420-08), sicché la domanda da lui individualmente proposta diviene improcedibile ed egli non ha altro titolo per partecipare ulteriormente al giudizio.
IX. Merita precisare che solo in un senso il subentro comporta un mutamento dei termini della causa, in quanto la domanda d'inopponibilità dell'atto di disposizione compiuto dal debitore, inizialmente proposta a vantaggio soltanto del singolo creditore che ha promosso l’azione, viene a essere automaticamente estesa a beneficio della intera massa dei creditori concorrenti.
Tale mutamento non basta, cioè, a far ritenere che l’azione intrapresa dal curatore subentrante sia nuova rispetto a quella del singolo creditore originario, proprio perché le condizioni dell'azione non mutano e l'esigenza di tutela della posizione del creditore individuale, che ha giustificato all'origine la proposizione della domanda, non viene meno ma resta assorbita in quella della massa che la ricomprende.
Pertanto il curatore assume la stessa posizione dell'originario attore, in quanto l'azione revocatoria ordinaria, proposta ai sensi dell’art. 66 legge fall., non nasce col fallimento: cosa che d’altronde giustifica l’affermazione – assolutamente consolidata – per cui la prescrizione (quinquennale), anche nei confronti della curatela fallimentare, decorre ai sensi dell'art. 2903 cod. civ., sempre dalla data dell'atto impugnato; e l'interruzione della prescrizione, a opera di uno dei creditori al quale il curatore sia subentrato, giova all’intera massa.
X. Se dunque si è dinanzi alla stessa azione attribuita fuori del fallimento ai creditori, e se, come s’è visto, la costituzione della curatela non ne condiziona né la nascita né la possibilità di esercitarla (poiché tale possibilità spetta, anteriormente, al singolo creditore interessato), ma segna solo il momento in cui diviene operante la legittimazione a proseguirla, ne deriva come logica conseguenza che sul piano probatorio non è necessario dimostrare altro che il pregiudizio discendente dall’anteriorità del credito all’atto dispositivo, a prescindere dall’insinuazione di esso al passivo fallimentare.
In tal senso è principio di diritto da affermare nel caso di specie.
XI. Il ricorso va quindi rigettato e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 6.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.