Nel caso di specie, un semirimorchio era stato parcheggiato sulla banchina stradale in violazione del Codice della strada, mezzo contro cui si era poi schiantata un'auto a causa della condotta imprudente del conducente. L'evento si sarebbe ugualmente verificato in assenza della prima condotta antigiuridica?
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 27 gennaio 2022, la Corte di appello di Salerno.( ha confermato la sentenza pronunciata il 28 giugno 2017 dal Tribunale di Vallo della Lucania con la quale V. G. era stato ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 41 e 589 commi 1, 2 e 3 cod. pen. in danno di M. T. ed E. R.. La Corte di appello ha confermato le statuizioni civili e penali della sentenza di primo grado, con la quale G. era stato condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi nove di reclusione e al risarcimento dei danni subiti dalle parti civili: F. R., M. C., M. R. (costituiti in proprio) E. G., V. T., T. T., F. T., S. T. (costituiti in proprio e in qualità di eredi di A. T.). Nel farlo, la Corte territoriale ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vallo della Lucania per quanto di competenza in relazione alla posizione di F. G., a carico del quale ha ritenuto fossero emersi indizi del reato di cui agli artt. 113, 589 cod. pen.
2. Il procedimento ha ad oggetto un incidente stradale verificatosi alle (omissis) del (omissis) nel tratto della strada provinciale 17-bis che attraversa (omissis). Nell'incidente persero la vita M. T. (di anni 19) ed E. R. (di anni 15) che si trovavano seduti sul sedile posteriore della Lancia L. targata (omissis) condotta dal diciottenne G. G., neopatentato (nei cui confronti si è proceduto separatamente). Secondo la ricostruzione dei fatti fornita dai giudici di merito, l'auto condotta da G. imboccò un breve rettilineo, discendente per quella direzione di marcia, al termine del quale la strada (che ha due sole corsie, una per ogni senso di marcia) volge verso destra e passa davanti al cimitero del paese. All'inizio del rettilineo, il conducente accelerò per sorpassare l'auto che lo precedeva (condotta da un amico), ma - a causa della velocità eccessiva, della inesperienza e del cattivo stato di manutenzione degli pneumatici posteriori - dopo:"non riuscì a rientrare sulla propria corsia e perse il controllo dell'auto che deviò verso sinistra e, dopo un iniziale testacoda, andò ad urtare con la parte posteriore, prima contro un muretto a secco posto sul margine sinistro della strada; poi contro il semirimorchio targato (omissis) sotto al quale si incastrò terminando la propria corsa. Tenendo conto della direzione di marcia dell'auto (proveniente da (omissis) e diretta verso la frazione (omissis)) il rimorchio era parcheggiato sul margine sinistro della strada (dunque nella carreggiata opposta a quella che G. avrebbe dovuto percorrere), all'inizio della curva, a cavallo tra la banchina laterale e la carreggiata, nella quale sporgeva per circa 70/80 cm (pag. 11 della sentenza impugnata). Secondo l'ipotesi accusatoria/ il decesso di T. e R., che conseguì alle gravi lesioni riportate nell'incidente, sarebbe stato causato, con condotte colpose indipendenti, dall'imprudente condotta di G. di G. G. e dal comportamento colposo di V. G. cui è stato contestato, quale proprietario del semirimorchio, di avere parcheggiato «o comunque tenuto parcheggiato» il veicolo sul ciglio della strada in violazione degli artt. 140, comma 1, 157, comma 2, e 158, commi 1 e 2, d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285.
3. Il difensore di fiducia dell'imputato ha proposto ricorso contro la sentenza della Corte di appello1articolando due motivi.
3.1 Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge per mancata correlazione tra accusa e sentenza. La difesa osserva che V. G. è stato chiamato a rispondere del reato di omicidio colposo sull'assunto che, quale titolare della società di autotrasporti proprietaria del semirimorchio, egli lo avesse parcheggiato sul luogo dell'incidente e di questa condotta, delineata in forma commissiva, egli è stato ritenuto responsabile dal giudice di primo grado. Rileva che i giudici di secondo grado hanno svolto attività istruttoria integrativa e hanno accertato essere conforme al vero ciò che V. G. aveva sostenuto, vale a dire che non era stato lui, ma il figlio F. G. (socio della «T. di G. V. & c. s.n.c.»), a parcheggiare il semirimorchio, cosa che l'imputato non avrebbe neppure potuto fare, non essendo titolare della patente di G. di categoria E), necessaria per poter condurre un autoarticolato come quello di cui si tratta. La difesa lamenta che, pur avendo compiuto tale accertamento, i giudici di secondo grado abbiano comunque affermato la penale responsabilità di V. G. per colpa consistita nel «tenere parcheggiato il rimorchio» nella posizione indicata. Sottolinea che, così operando, la Corte territoriale ha ancorato l'affermazione della penale responsabilità a una condotta omissiva. G., infatti, è stato ritenuto responsabile di omicidio colposo «per aver consentito e non aver impedito all'utilizzatore del mezzo - in maniera consapevole [...] - la sosta del semirimorchio» in condizioni tali da ingenerare la situazione di pericolo (pag. 9 della sentenza impugnata). Secondo il ricorrente, nel ritenere una responsabilità per omissione in luogo di una responsabilità per azione, la Corte territoriale avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e giudicato di cui all'art. 521 cod. proc. pen. e determinato una grave lesione del diritto di difesa.
3.2. Col secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge quanto alla ritenuta responsabilità per violazione dell'art. 589 cod. pen.
La difesa si duole, in primo luogo, che la Corte territoriale, avendo affermato una responsabilità per omissione, abbia individuato la fonte dell'obbligo giuridico di impedire l'evento gravante su V. G. sulla disposizione di cui all'art. 2051 cod. civ. Osserva che questa disposizione si applica a chi abbia la custodia della cosa; non al proprietario - quindi - ma a chi abbia un potere di vigilanza e controllo sulla stessa e un tale potere non può essere concretamente attribuito a V. G. solo perché egli era socio amministratore della «T.. s.n.c.» risultata proprietaria del rimorchio all'esito della integrazione istruttoria disposta dalla Corte di appello.
La difesa sostiene, inoltre - e tale motivo, se fondato, sarebbe assorbente - che la Corte territoriale non avrebbe verificato se il comportamento alternativo lecito sarebbe stato idoneo a scongiurare l'evento e neppure se il rischio concretizzatosi fosse quello che la norma ipoteticamente violata mirava ad evitare. Sottolinea che, secondo quanto riferito dai periti nominati nel giudizio di appello, se l'auto avesse mantenuto la velocità di 50 km/h prescritta in quel tratto di strada e G. ne avesse perso il controllo, dopo l'urto col muretto a secco, che non provocò danni rilevanti, l'auto non avrebbe impattato contro il semirimorchio o lo avrebbe fatto comunque a velocità ridotta sicché le conseguenze lesive dell'incidente sarebbero state assai meno gravi. Ricorda che il nesso causale deve essere escluso quando sia dimostrato che l'incidente si sarebbe ugualmente verificato ove la condotta antigiuridica (nel caso di specie la sosta vietata) non fosse stata tenuta. Secondo la difesa, inoltre, il divieto di parcheggiare veicoli sulle banchine non mira ad evitare impatti tra i veicoli in marcia e i veicoli in sosta che siano resi possibili da una condotta di G. così gravemente imprudente come quella che G. pose in essere.
4. Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non avere l'imputato commesso il fatto, con revoca conseguente delle statuizioni civili. Secondo il
Procuratore generale il secondo motivo di ricorso è fondato nella parte in cui contesta che l'art. 2051 cod. civ. faccia sorgere in capo al proprietario una posizione di garanzia per violazione delle norme in materia di circolazione stradale realizzata dal conducente.
5. Con memoria in data 25 gennaio 2023 il difensore delle parti civili - F. R., M. C., M. R. (costituiti in proprio) E. G., V. T., T. T., F. T., S. T. (costituiti in proprio e in qualità di eredi di A. T.) - ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità o, comunque, il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
2. Il primo motivo, col quale il ricorrente deduce difetto di correlazione tra accusa e sentenza, è manifestamente infondato.
Dalla lettura del capo di imputazione emerge che a V. G., indicato come proprietario del semirimorchio, è stato contestato di aver causato la morte di M. T. ed E. R. con una condotta colposa concausale rispetto a quella tenuta da G. G., ma indipendente rispetto ad essa ex art. 41 cod. pen. Secondo l'imputazione, la colpa ascritta a V. G. sarebbe consistita «nel parcheggiare o comunque tenere parcheggiato il proprio semirimorchio» senza attenersi «alle normali regole di diligenza, prudenza e perizia>> e alle norme per la disciplina della circolazione stradale che impongono: all' 140, comma 1, di non causare intralcio alla circolazione; all'art. 157, comma 2, di non parcheggiare in senso opposto a quello di marcia; all'art. 158, commi 1 e 2, di non posteggiare veicoli in prossimità di una curva e sulla banchina di una strada provinciale. G. è stato dunque chiamato a difendersi, quale proprietario del rimorchio, da una imputazione nella quale la condotta era descritta sia in termini commissivi ("aver parcheggiato") che in termini omissivi (''aver comunque tenuto parcheggiato") il semirimorchio. Tale condotta è stata qualificata come genericamente imprudente e in contrasto con specifiche disposizioni in materia di circolazione stradale. Per effetto della violazione di tali disposizioni è stata contestata l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2, cod. pen. come prevista dalle disposizioni vigenti all'epoca dei fatti.
Tale essendo il contenuto dell'imputazione appare evidente che nessuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza può essere ipotizzata per il fatto che la Corte di appello di Salerno, modificando e integrando la motivazione della sentenza di primo grado, abbia affermato la penale responsabilità di G. V. per una condotta omissiva, consistita nell'aver tenuto parcheggiato il veicolo in posizione irregolare di fronte al deposito della società per oltre dieci giorni senza disporre che lo stesso fosse rimosso (pag. 9 della sentenza impugnata). Nel caso di specie, il fatto ritenuto in sentenza non è diverso rispetto a quello contestato e, pertanto, la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen. deve essere esclusa in radice, senza che vi sia neppure necessità di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale «la mutazione della mera descrizione del fatto, che, senza incidere sulla sua storicità, sia volta a rendere quello riportato nell'imputazione conforme a quanto risulta dagli atti e, quindi, è noto all'imputato, non preclude al giudice di pronunciarsi sullo stesso, né gli impone di restituire gli atti al pubblico ministero, in quanto non costituisce modifica dell'imputazione, rilevante ai sensi dell'art. 516 cod. proc. pen.» (Sez. 3, n. 17829 del 05/12/2018, dep. 2019, Fina, Rv. 275455; Sez. 6, n. 38061 del 17/04/2019, Rango, Rv. 277365). In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, «per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa» (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). Nel caso di specie, per escludere che un tal pregiudizio vi sia stato è sufficiente confrontare la formulazione dell'imputazione e il contenuto della sentenza. V. G., peraltro, è stato chiamato a rispondere di omicidio colposo in qualità di «proprietario» del rimorchio, sicché fin dall'inizio, contestandogli di aver «comunque tenuto parcheggiato>> il veicolo in un luogo nel quale la sosta non era consentita, si è ipotizzato che, quale proprietario, egli avesse l'obbligo giuridico di impedire la sosta irregolare e da queste accuse l'imputato ha avuto piena possibilità di difendersi.
3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato nella parte in cui sostiene che la verifica controfattuale, doverosa ogniqualvolta sia affermata una responsabilità per omissione, non sarebbe stata correttamente compiuta.
La difesa del ricorrente osserva che, secondo quanto riferito dai periti (e riportato nella sentenza impugnata), se l'auto avesse viaggiato alla velocità di 50 km/h (prescritta in quel tratto di strada), avrebbe urtato contro il muretto a secco e si sarebbe arrestata a ridosso della parte posteriore del semirimorchio senza impattarvi (o facendolo a velocità ridotta). Sostiene che, alla luce di tale constatazione, la condotta imprudente del conducente dovrebbe essere considerata concausa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento e perciò idonea ad escludere la rilevanza causale della preesistente sosta irregolare. L'argomento non ha pregio. Per giurisprudenza costante, nello specifico campo della circolazione stradale, il principio dell'affidamento «trova opportuno temperamento nell'opposto principio secondo il quale l'utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità» (cfr. Sez 4, n. 25552 del 27/04/2017, Luciano, Rv. 270176; sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017, dep. 2018, Bonfrisco, Rv. 272223; Sez. 4, n. 8090 del 15/11/2013, dep. 2014, Saporito, Rv. 259277). È vero, quindi, che la violazione di una specifica norma di legge dettata per la disciplina della circolazione stradale non può, di per sé, far presumere l'esistenza del nesso causale tra il comportamento e l'evento dannoso, ed è vero che il nesso causale deve essere comunque provato e deve essere escluso quando sia dimostrato che l'incidente si sarebbe ugualmente verificato anche qualora la condotta antigiuridica non fosse stata realizzata (Sez. 4, n. 45589 del 10/11/2021, Laganà c/ Poggi, Rv. 282596; Sez. 4, n. 24898 del 24/05/2007, Venticinque ed altri, Rv. 236854); ma è altrettanto vero che, nel caso di specie, l'evento verificatosi ha rappresentato una concretizzazione del rischio per evitare il quale sono state dettate le regole cautelari che si assumono violate, sicché l'imprudente condotta di G. tenuta da G. non può essere considerata idonea ad escludere la causalità della colpa (Sez. 4. n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 273870; Sez. 4, n. 36857 del 23/04/2009, Cingolani, Rv. 244979).
Il codice della strada stabilisce:
- che i veicoli non possono sostare (e neppure fermarsi) al ciglio della strada «sui dossi e nelle curve e, fuori dei centri abitati e sulle strade urbane di scorrimento, anche in loro prossimità» [art. 158, comma 1, lett. e) cod. strada];
- che i veicoli non possono sostare «sulle banchine, salvo diversa segnalazione» [art. 158 comma 2 lett. f) cod. strada].;
- che, salvo diversa segnalazione, «nei centri abitati è vietata la sosta dei rimorchi quando siano staccati dal veicolo trainante» [art. 158, comma 3, cod. strada].
È di tutta evidenza che queste regole (tutte, salvo l'ultima, espressamente indicate nel capo di imputazione) mirano ad evitare intralci alla circolazione conseguenti alla presenza di ostacoli sulla carreggiata e non solo perché potrebbe trattarsi di ostacoli non visibili o inattesi (come in presenza di dossi o curve, dove infatti è vietata, oltre alla sosta, anche la fermata), ma anche perché tali ostacoli, facilmente evitabili per chi tenga una condotta di G. prudente ed accorta, potrebbero non esserlo in caso contrario. Si tratta dunque di regole cautelari a carattere prudenziale volte a governare proprio l'area di rischio nella quale si colloca l'evento che in concreto si verificò.
Il giudizio controfattuale della cui carenza la difesa si duole è stato compiuto in termini esaurienti nel rispetto dei principi esposti. La sentenza impugnata, infatti, facendo argomentato riferimento alle conclusioni dei periti nominati in grado di appello, ha spiegato perché tali conclusioni siano più persuasive rispetto a quelle sostenute dai consulenti della difesa e ha sottolineato che la condotta di G. tenuta da G., pur avendo innescato la serie causale che determinò il verificarsi dell'evento, non sarebbe stata sufficiente da sola a determinarlo. Ha osservato, infatti, che, secondo i periti, se la banchina fosse stata sgombra, non ostante la velocità mantenuta, l'auto «si sarebbe arrestata pochi metri più avanti rispetto al punto del primo impatto con il muretto, assumendo il suo stato di quiete con la porzione posteriore a ridosso del margine sinistro della carreggiata dopo un lievissimo impatto con quest'ultimo» e ne ha tratto la conclusione che, se il semirimorchio non fosse stato parcheggiato in quella posizione, l'evento non si sarebbe verificato con la medesima intensità lesiva. Ha sottolineato, poi (e su questo punto non è stato proposto ricorso), che, come emerso dagli accertamenti peritali, la morte dei due giovani passeggeri fu determinata dall'impatto tra la parte posteriore della macchina e il semirimorchio e dalle conseguenti gravi deformazioni della carrozzeria posteriore e delle strutture interne dell'abitacolo (pag. 13 della motivazione). Si tratta di motivazioni complete, coerenti, scevre da profili di contraddittorietà e manifesta illogicità, conformi i principi di diritto che regolano la materia e perciò idonee a resistere alle censure del ricorrente.
4. Nella prima parte del secondo motivo di ricorso, la difesa sostiene che la violazione delle regole cautelari sopra indicate sarebbe stata attribuita erroneamente all'imputato, atteso che non fu lui a parcheggiare il rimorchio in divieto di sosta e non si vede perché, essendo legale rappresentante della società proprietaria, avrebbe avuto l'obbligo di farlo spostare da quella posizione pericolosa. Per sostenere l'esistenza di un tale obbligo giuridico, la sentenza impugnata fa riferimento alla disposizione di cui all'art. 2051 cod. civ. e sostiene che, oltre ad essere proprietario del rimorchio e del trattore al quale lo stesso era abbinato, V. G. sapeva della sosta irregolare. G. ha dichiarato, infatti, che era stato il figlio F. a parcheggiare il rimorchio in quel punto e tali dichiarazioni hanno trovato conferma nella verifica dei dati del cronotachigrafo disposta nel corso del giudizio di appello. Questa attività istruttoria ha consentito anche di accertare che il veicolo era stato parcheggiato il 19 dicembre 2008 (più di dieci giorni prima dell'incidente) e da allora non era stato spostato. La Corte territoriale riferisce che il veicolo era parcheggiato «di fronte al deposito di cui G. V. era titolare» e sostiene che, essendo consapevole della situazione di pericolo determinata da un automezzo di sua proprietà, G. avrebbe avuto l'obbligo giuridico di attivarsi affinché quella situazione fosse rimossa. Osserva, inoltre, che «come si ricava dall'art. 2051 cod. civ.>> una posizione di garanzia «incombe sempre sul proprietario e/o custode del bene utilizzato».
La difesa non contesta che G. fosse consapevole della situazione di pericolo, ma sostiene che tale consapevolezza non è sufficiente a far sorgere una posizione garanzia e che, col richiamo all'art. 2051 cod. civ., la Corte territoriale avrebbe sovrapposto il piano della responsabilità civile con quello della responsabilità penale facendo discendere la seconda dalla prima.
Anche il Procuratore generale, nella propria requisitoria scritta, ha rilevato che dall'art. 2051 cod. civ. non può ricavarsi l'esistenza di una posizione di garanzia gravante sul proprietario del veicolo in relazione a violazioni di norme sulla disciplina della circolazione stradale poste in essere dai conducenti. A sostegno di queste conclusioni il Procuratore generale ha richiamato un precedente giurisprudenziale nel quale si è ritenuto che il proprietario di una macchina non potesse rispondere della morte di un motociclista che, in orario notturno, aveva urtato contro quell'auto lasciata in sosta dal conducente su una banchina a causa di un'avaria, senza che la presenza del veicolo in posizione irregolare fosse in alcun modo segnalata (Sez.4, n. 9776 del 22/02/1991, Porcella, Rv. 191204). In quel caso, osserva il Procuratore generale, «il destinatario delle norme dirette ad evitare intralci e pericoli per la circolazione» è stato identificato nel conducente e la responsabilità del proprietario è stata esclusa ancorché egli fosse stato informato dal conducente che l'auto era parcheggiata in sosta irregolare.
4.1. Tanto premesso, si deve osservare che l'art. 2051 cod. civ. rende responsabile colui che ha in custodia una cosa per i danni che quella cosa provoca consentendogli di liberarsi da responsabilità solo se prova il caso fortuito. Stabilisce dunque che la responsabilità civile per i danni provocati da una cosa debba ricadere su chi è tenuto a vigilare sulla stessa e a prevenirne la pericolosità, ma riguarda esclusivamente i danni provocati dalla cosa e non anche i danni provocati, con la propria condotta, dalla persona che la utilizza, in relazione ai quali valgono le regole generali della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. Nel caso di specie, il danno non fu provocato dal semirimorchio, ma dalla condotta di chi lo aveva parcheggiato in sosta irregolare e la situazione di pericolo non dipendeva dalle caratteristiche intrinseche del veicolo? ma dal luogo in cui lo stesso era stato parcheggiato (id est: dalla condotta del conducente che lo aveva utilizzato). Pertanto, il richiamo all'art. 2051 cod. civ. non è pertinente.
Si deve valutare allora se, anche prescindendo da questo riferimento, sia possibile sostenere, come fa la sentenza impugnata, che, in quanto consapevole che il veicolo era parcheggiato in modo pericoloso, V. G. aveva, quale rappresentante legale della società proprietaria del mezzo, l'obbligo giuridico di attivarsi per rimuovere tale situazione di pericolo chiedendo al figlio o ad un altro socio o a un qualunque dipendente della società di adoperarsi in tal senso.
Com'è noto, perché una posizione di garanzia possa delinearsi è necessario che: «(a) un bene giuridico necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo; (b) una fonte giuridica - anche negoziale - abbia la finalità di tutelarlo; (c) tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate;
(d) queste ultime siano dotate di poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, ovvero che siano ad esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad evitare che l'evento dannoso sia cagionato» (Sez. 4, n. 38991 del 10/06/2010, Quaglierini, Rv. 248849; Sez. 2, n. 4633 del 01/10/2020, dep. 2021, Sanfilippo, Rv. 280569). Nel caso di specie queste condizioni sono realizzate, atteso che la sosta del veicolo sulla banchina di una strada provinciale era fonte di pericolo per la sicurezza della circolazione, a presidio della quale il legislatore ha previsto un sistema di norme giuridiche a contenuto cautelare. La condizione di amministratore della società proprietaria, inoltre, poneva V. G. nella condizione di poter disporre del bene, condizione ben diversa da quella nella quale si sarebbero trovati altri abitanti del paese che avessero rilevato il pericolo. Pertanto, si deve ritenere che V. G. abbia assunto una posizione di garanzia rispetto alla sicurezza di coloro che transitavano nella strada e la fonte di questa posizione di garanzia deve essere rinvenuta nel diritto di proprietà e nella conseguente disponibilità del rimorchio.
Il caso in esame è assai diverso da quello oggetto della sentenza n. 9776 del 22/02/1991, citata nella requisitoria scritta del Procuratore generale. G., infatti, non era soltanto il titolare della società proprietaria del veicolo in sosta pericolosa, ne aveva anche la diretta disponibilità perché quel veicolo era parcheggiato di fronte al deposito della società, la sosta si protraeva da giorni e, come egli stesso ha dichiarato, suo figlio (che era il conducente dell'autoarticolato) «si era fermato a casa» per qualche giorno (pag. 9 della sentenza impugnata). Se è vero, dunque, che «il destinatario delle norme dirette ad evitare intralci e pericoli per la circolazione» è di regola il conducente, è pur vero che, nel caso concreto, anche il proprietario aveva il governo della situazione di pericolo e aveva quindi l'obbligo giuridico di eliminarla.
Non rileva in contrario che V. G. non fosse abilitato alla G. dell'autoarticolato. Ai fini dell'operatività della "clausola di equivalenza" di cui all'art. 40, secondo comma, cod. pen., infatti, «non è necessario che il titolare della posizione di garanzia sia direttamente dotato dei poteri atti ad impedire la lesione del bene garantito, essendo sufficiente che egli disponga dei mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari ad impedire l'evento dannoso» (Sez. 4, n. 47794 del 05/10/2018, Sacchetto, Rv. 274357; Sez. 4, n. 14550 del 16/02/2018, M., Rv. 272516).
5. Alla luce delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata merita conferma ancorché il riferimento all'art. 2051 cod. civ. non sia pertinente. Gli errori logici o di fatto che inficiano alcuni degli argomenti enunciati in una sentenza, infatti, non valgono a determinare l'annullamento della stessa quando altre ragioni ed argomenti incensurabili ed autonomi rispetto a quelli viziati giustificano in modo adeguato la decisione (sull'argomento di recente: Sez. 5, n. 37466 del 22/09/2021, Almi, Rv. 281877, ma l'indirizzo è risalente nel tempo e consolidato: Sez. 5, n. 2128 del 13/1/1978, Bartomioli, Rv. 138077; Sez. 4, n. 216 del 02/05/1975, dep. 1976, Alba, Rv. 131797; Sez. 1, n. 604 del 02/05/1967, Solejam, Rv. 105773).
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il Collegio ritiene di dover aderire all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell'imputato viene rigettato o dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto ad ottenere la liquidazione delle spese processuali, senza che sia necessaria la sua partecipazione all'udienza, purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un'attività diretta a contrastare la pretesa avversa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria. La previsione di cui all'art. 541 cod. proc. pen., infatti, è svincolata da qualsiasi riferimento alla discussione in pubblica udienza (Sez.2, n. 12784 del 23/01/2020, Tamburrino, Rv. 278834). Si deve rilevare, tuttavia, che, nel caso in esame, la parte civile si è limitata a chiedere la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso, o il suo rigetto, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti e non fornendo un contributo effettivo alla decisione. Pertanto, la liquidazione delle spese processali riferibili alla fase di legittimità in favore della parte civile non è dovuta (in tal senso, da ultimo, Sez. U, n. 877 del 14/07/2022 dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.