Nel caso di specie, l'architetto aveva ricevuto un incarico dal Comune avente ad oggetto una prestazione di natura propriamente professionale.
La Prefettura applicava ad un libero professionista un'informativa
Il TAR Calabria accoglieva il ricorso del professionista avente ad oggetto l'annullamento dell'informativa
Il Ministero dell'Interno propone ricorso in appello dinanzi al Consiglio di Stato dolendosi per avere il TAR affermato l'impossibilità di adottare un provvedimento
Con sentenza n. 2212 del 2 marzo 2023, il Consiglio di Stato rigetta l'appello.
In merito all'assoggettabilità dei liberi professionisti all'istituto dell'informativa
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza (ud. 12 gennaio 2023) 2 marzo 2023, n. 2212
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. Con la sentenza gravata, la sezione staccata di Reggio Calabria del T.A.R. della Calabria ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato per l’annullamento della informazione antimafia a contenuto interdittivo emessa nei suoi confronti dalla Prefettura di Reggio Calabria – Area I – Prot. Interno n. -OMISSIS-.
L’interdittiva era stata adottata dalla Prefettura su richiesta del Comune di -OMISSIS-, a seguito della condanna per i reati di cui agli artt. 323 e 479 c.p., aggravati ex art. 7 del decreto-legge n. 152 del 13 maggio 1991 (convertito dalla legge n. 203 del 12 luglio 1991), per fatti risalenti al 2010.
Inoltre, con ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente aveva dedotto “di essere stato colpito dall’interdittiva non già come imprenditore, bensì quale persona fisica, libero professionista, nell’esercizio della sua attività di architetto, in relazione a un incarico conferitogli dal Comune di - OMISSIS- avente ad oggetto una prestazione di natura propriamente professionale”.
Il T.A.R., “considerato che il punto risolutivo della controversia verte unicamente sulla questione se la persona fisica che non riveste la qualità di titolare di impresa o di società possa essere destinatario di una informativa antimafia di tipo interdittivo”, ha ritenuto che dovesse darsi “risposta negativa al suddetto interrogativo”.
2. Il Ministero dell’Interno e l’Ufficio Territoriale di Governo di Reggio Calabria hanno impugnato l’indicata sentenza con ricorso in appello.
Si è costituito in giudizio, per resistere al gravame, il ricorrente in primo grado.
Con l’ordinanza n. -OMISSIS-, è stata rigettata l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata, proposta dalle parti appellanti.
Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 12 gennaio 2023.
3. Con l’unico, articolato motivo di gravame le amministrazioni appellanti censurano la decisione impugnata in relazione al punto, sopra richiamato, della (im)possibilità di adottare un provvedimento antimafia a contenuto interdittivo nei confronti di un soggetto giuridico che non eserciti attività d’impresa.
Deducono, tra l’altro, le amministrazioni appellanti che “la soluzione interpretativa adottata dal TAR Calabria non pare condivisibile, non tenendo nella dovuta considerazione la peculiarità costituita dalla previsione dell’art. 100, d. lgs. n. 159/2011 per i comuni oggetto di scioglimento per infiltrazione mafiosa, il cui disposto va combinato con quanto previsto dagli articoli 83 e 91 del citato d. lgs. n. 159/2011”.
La tesi delle parti appellanti, che sorregge il motivo in esame, è nel senso che la disciplina delle esclusioni – soggettive – dall’ambito applicativo dell’istituto dell’informazione antimafia debba essere coordinata con la disciplina dell’acquisizione, da parte dell’ente locale che sia stato sottoposto alla procedura di scioglimento ex art. 143 del d. lgs. n. 267 del 2000, di detta informazione prima della stipula di qualsiasi atto negoziale: “prevedendo, per l'appunto, l’art. 100 l'obbligo dell'ente locale sciolto per infiltrazione mafiosa di acquisire l'informazione in relazione a qualsiasi contratto o subcontratto, senza distinguerne la natura o l'oggetto ed indipendentemente dal valore, a differenza degli artt. 83 e 91”.
4. Il motivo d’appello è infondato.
L’errore prospettico caratterizzante la tesi di fondo su cui poggia l’impugnazione è il coordinamento normativo fra le ipotesi di esclusione dell’ambito applicativo dell’istituto dell’informativa antimafia: laddove il problema va posto non sul terreno della limitazione dell’ambito applicativo (o comunque dell’eccezione rispetto ad esso), bensì – prima ancora – sul piano della esatta perimetrazione di quest’ultimo.
La questione infatti non è propriamente quella della esclusione o meno dei contratti dei liberi professionisti, ma quella dell’assoggettabilità di tale ultima categoria alla disciplina dell’istituto dell’informativa (posto che, prima di potersene affermare l’esclusione in determinati casi, occorre aver risolto positivamente il quesito – logicamente presupposto - relativo all’astratta inclusione).
Il problema impone dunque anzitutto l’esame della delimitazione delle categorie di soggetti che possono essere attinti dal provvedimento limitativo della loro capacità giuridica speciale.
In tali categorie, tassativamente individuate dalla disposizione primaria (pur nel contesto di una previsione dai confini applicativi piuttosto estesi), non rientrano i liberi professionisti che non siano organizzati in forma d’impresa.
Il principio di tassatività - che deve regolare l’esercizio del potere (in punto di ricognizione dei possibili destinatari del provvedimento interdittivo) - impedisce che l’incapacità giuridica relativa recata dal provvedimento afflittivo di cui si tratta possa essere – per soggetti non contemplati come destinatari dalla disposizione attributiva del potere - un effetto non espressamente previsto dalla legge, ma desunto per implicito da un’interpretazione sistematica (peraltro, come si dirà, ancorata a parametri disomogenei, quali il valore e l’oggetto dei contratti) che comporti la conseguenza dell’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della stessa.
Il principio di legalità impone inoltre che nell’esegesi di una simile disposizione il dato letterale non venga superato, in senso afflittivo e limitativo delle libertà dei soggetti interessati, da un’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione non espressamente contemplata dal legislatore (in questo senso, oltre al richiamato provvedimento cautelare reso nel corso del presente giudizio, si veda anche l’ordinanza della Sezione n. 3254/2022).
5. Neppure le ulteriori argomentazioni delle amministrazioni appellanti risultano condivisibili.
Il gravame deduce che “i casi di esclusione di cui all'art. 83, comma 3 comma, lett. d) ed e) appaiono riconducibili ad un unico genus e ad una ratio comune. Inoltre, nulla esclude che i contratti con i liberi professionisti possano avere in concreto un valore pari o superiore alle soglie di rilevanza fissate negli artt. 83, comma 3, lett. e) e 91, comma 10. (….) proprio l'estensione dell'ambito di operatività dell'informativa antimafia voluta dal legislatore con l'art. 100 cit. riguarderebbe tutti i contratti da stipularsi dall'ente disciolto nei cinque anni successivi allo scioglimento, a prescindere dal valore, dalla natura e dall'oggetto, sicché non vi sarebbero motivi, testuali e logici, per escludere dall'ampliamento "oggettuale" proprio i contratti d'opera di cui all'art. 2222 c.c”.
In realtà ancora una volta la disciplina degli obblighi connessi alla stipula di contratti da parte delle amministrazioni oggetto di scioglimento viene ricostruita sulla base di un confronto sistematico con l’ambito applicativo dell’informativa in relazione a parametri quali il valore del contratto e l’oggetto dello stesso: laddove il fattore ostativo che, a monte, impedisce di accedere ad una simile prospettazione è dato dalla radicale esclusione dei soggetti che non siano imprenditori da tale ambito applicativo (quale che sia, evidentemente, il valore o l’oggetto del contratto).
Tale dato è fondamentale in sede di ricostruzione della disciplina dell’esercizio del potere alla luce dei princìpi di tassatività e di legalità dell’azione amministrativa.
6. Il ricorso in appello è pertanto infondato e come tale deve essere respinto.
Le spese del secondo grado del giudizio possono essere compensate ai sensi degli articoli 26 del codice del processo amministrativo e 92 del codice di procedura civile, come risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale, 19 aprile 2018, n. 77 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, da individuarsi, nel caso di specie, nella novità della questione (finora trattata da questo Consiglio di Stato solo in sede cautelare).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello n. 4820 del 2022, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento esclusivamente delle generalità dell’appellato.