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8 marzo 2023
Risoluzione del rapporto di lavoro: i contributi mancanti possono costituire oggetto di risarcimento?

Il Tribunale di Roma afferma che la domanda di risarcimento del danno generico da omissione contributiva è diritto disponibile da parte del lavoratore qualora tale danno si sia già verificato quando le parti hanno sottoscritto una conciliazione “tombale” al momento della risoluzione del rapporto di lavoro.

La Redazione

La Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra le parti nel 1999, al che l’attrice veniva riammessa in servizio fino al 2020, quando il rapporto era cessato in seguito ad accordo in sede sindacale.
La vicenda in esame concerne la dedotta omissione contributiva da parte del datore di lavoro, considerando che dopo la cessazione del rapporto, la lavoratrice aveva chiesto l’anticipo pensionistico APE sociale all’INPS che era stato respinto a causa del mancato versamento dei contributi nel periodo intercorrente tra febbraio 2010 e febbraio 2020. Per questa ragione, la lavoratrice conviene in giudizio l’ex datore di lavoro per chiedere la condanna alla regolarizzazione della posizione contributiva e, in subordine, il risarcimento in forma generica del danno.

Con la sentenza n. 1072 del 1° febbraio 2023, il Tribunale di Roma osserva innanzitutto che in sede di accordo, le parti avevano convenuto il pagamento di una somma alla lavoratrice a titolo di incentivo all’esodo, oltre ad una ulteriore somma a fronte delle rinunce da parte della medesima ad ogni pretesa di ogni natura relativa al rapporto di lavoro intercorso.
Preso atto di ciò, il Tribunale rileva che la regolarizzazione contributiva rivendicata dall’attrice riguarda un periodo in cui, pacificamente, il datore di lavoro non aveva versato la contribuzione dovuta. Tuttavia, tali contributi risultano ormai prescritti, rilevando il Tribunale che la prescrizione quinquennale sorge dalla pronuncia della decisione della Corte d’Appello (risalente al 2008) che, provvisoriamente esecutiva, accertava la nullità del termine apposto al contratto.
A tal fine, il Tribunale richiama quanto affermato dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 21371/2018:

giurisprudenza

«La sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, stante la sua immediata esecutività, attiva l'obbligo per il datore di lavoro di corrispondere i contributi maturati dalla data del licenziamento fino alla reintegra, sicchè il "dies a quo" della prescrizione di tali contributi coincide con il termine di scadenza successivo alla riattivazione dell'obbligo, senza che diano luogo a sospensione della prescrizione l'impugnazione del licenziamento e lo svolgimento del relativo processo, rilevando rispetto alla possibilità per l'ente di far valere il credito contributivo, ai sensi dell'art. 2935 c.c., i soli impedimenti giuridici e non quelli fattuali».

Ciò chiarito, quanto al risarcimento del danno richiesto, il Tribunale dichiara la domanda inammissibile alla luce dell'accordo stipulato in sede sindacale, ricordando che l'art. 2115, comma 3, c.c.non si applica laddove le parti abbiano inteso transigere sul danno subito dal lavoratore per il versamento irregolare dei contributi. Ne segue la disponibilità del diritto al risarcimento del danno da omissione contributiva.
Nel caso concreto, infatti, al momento della conciliazione i contributi omessi erano prescritti, quindi il generico danno da omissione contributiva si era già verificato ed era, in quanto tale, disponibile.
Alla luce di tali argomentazioni, il Tribunale di Roma dichiara inammissibile la domanda di condanna generica della società al risarcimento del danno per intervenuta conciliazione sindacale e compensa le spese di lite.

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