Per gli Ermellini, «l'incertezza interpretativa per la mancata riproduzione nelle conclusioni di una parte della decisione non può che essere sciolta nel senso della prevalenza della motivazione».
In un giudizio avente ad oggetto il ricorso avverso un provvedimento di diniego dell'istanza di rimborso delle somme versate a titolo di acconto
Svolgimento del processo
1. La M s.p.a. proponeva ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di X avverso un provvedimento di diniego dell'istanza di rimborso delle somme versate a titolo di acconto IMU per l'anno 2012 da parte del Comune X , in relazione ad un immobile concesso in locazione finanziaria ad un utilizzatore che, inadempiente al pagamento dei canoni, non aveva provveduto alla restituzione del bene richiestale in data 11.6.2011, di fatto avvenuta solo in data 21.1.2014.
2. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso.
3. Sull'appello della contribuente, la Commissione tributaria regionale Lombardia rigettava il gravame, ritenendo che, a norma dell'art. 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2011, per gli immobili concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo dell'IMU era il locatario a decorrere dalla data di stipula e per tutta la durata del contratto e che, nell'ipotesi in cui il contratto veniva risolto prima della scadenza, a decorrere dalla data della risoluzione anticipata l'IMU era dovuta dalla società di leasing indipendentemente dalla riconsegna dell'immobile.
4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione la M s.p.a. sulla base di tre motivi. Il Comune X ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. In osservanza dell'ordine logico-giuridico di trattazione delle questioni, ai sensi del secondo comma dell'art. 276 cod. proc. civ., va trattato per primo il secondo motivo, con il quale la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 53 d.lgs.
n. 546/1992", in relazione all'art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto inammissibile l'appello da essa proposto per carenza di specifici motivi di impugnazione.
1.1. Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Invero, il ricorso per cassazione presuppone la soccombenza, la quale non sussiste, con conseguente inammissibilità dello stesso per carenza di interesse, ove verta, come nel caso di specie, su una parte della motivazione che non abbia dato luogo ad una pronuncia su questione, pregiudiziale di rito o preliminare di merito, sfavorevole alla parte totalmente vittoriosa.
In quest'ottica, l'interesse ad agire di cui all'art. 100 cod. proc. civ. postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all'utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall'eventuale suo accoglimento (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018).
Nella fattispecie in esame, la CTR, per quanto abbia rimarcato la circostanza che l'appellante avesse impugnato la sentenza di primo grado formulando "le medesime argomentazioni ed eccezioni già avanzate con il ricorso introduttivo, senza nulla aggiungere, e senza alcun riferimento e contestazione delle motivazioni addotte in sentenza", non ha fatto seguire a tale affermazione la declaratoria di inammissibilità dell'appello, ma si è di seguito pronunciata sul merito della controversia.
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per "violazione degli artt. 8 e 9, comma 1, d.lgs. n. 23/2011 e 1, comma 672, I. n. 147/2013", in relazione all'art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto che soggetto passivo IMU, nel caso di risoluzione anticipata del contratto di leasing, fosse la società concedente, anziché l'utilizzatrice.
2.1. Il motivo è infondato.
Viene sottoposta allo scrutinio di questa Corta la questione della individuazione del soggetto passivo dell'IMU relativa ad un bene immobile concesso in locazione finanziaria nell'ipotesi, tutt'altro che infrequente, di risoluzione anticipata del rapporto contrattuale per morosità dell'utilizzatore cui non faccia seguito l'immediata materiale restituzione del bene. Il problema che si pone è quello di stabilire se, nel periodo intercorrente tra la cessazione di efficacia del contratto e la restituzione del bene, la titolarità passiva del rapporto fiscale sorga in capo al locatore, nella qualità di soggetto che giuridicamente possiede il bene, o all'utilizzatore, che materialmente ne dispone.
Va rilevato come, ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, <<Soggetti passivi dell'imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabile a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l'attività dell'impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi. Nel caso di concessione di aree demaniali, soggetto passivo è il concessionario. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria soggetto passivo è il locatario a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto.>>.
Sul punto sono recentemente intervenute, a distanza ravvicinata, due pronunce della sezione quinta della Corte di Cassazione.
La prima - la sentenza nr. 13793/2019 - ha affermato il principio secondo il quale <<Il d.lgs. n. 23 del 2011, art. 9, individua nel locatario il soggetto passivo, nel caso di locazione finanziaria, a decorrere dalla data di stipula e per tutta la durata del contratto, derivandone, qualora il contratto di leasing sia risolto e l'immobile non sia stato restituito, che il locatore ritorna ad essere soggetto passivo. Ne discende che con la risoluzione del contratto di leasing la soggettività passiva ai fini Imu si determina in capo alla società di leasing, anche se essa non ha ancora acquisito la disponibilità materiale del bene per mancata riconsegna da parte dell'utilizzatore. Ciò in quanto il legislatore ha ritenuto rilevante, ai fini impositivi, non già la consegna del bene e quindi la detenzione materiale dello stesso, bensì l'esistenza di un vincolo contrattuale che legittima la detenzione qualificata dell'utilizzatore.>>. La seconda pronuncia - la nr. 19166/2019 - ha stabilito l'opposto principio che <<per la durata del contratto di locazione finanziaria deve intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipulazione del contratto alla data di effettiva riconsegna del bene alla società concedente, di talchè soggetto passivo Imu rimane l'utilizzatore sino alla data di redazione del verbale di consegna del bene concesso in leasing>>.
Il contrasto giurisprudenziale de quo può considerarsi superato dall'intervento di due ulteriori pronunce successive - le sentenze nr. 25249/2019 e nr. 29973/2019 - che hanno confermato l'orientamento secondo il quale dalla data di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing il contratto cessa, e quindi il locatario non è più da considerarsi soggetto passivo, con la conseguente traslazione dell'obbligo di corrispondere il tributo relativo all'immobile sul proprietario (società di leasing). In particolare, la sentenza nr. 29973/2019 si è fatta carico di confutare tutte le argomentazioni contenute nella pronuncia nr. X , ribadendo il principio che <<nell'alveo Imu si predilige l'esistenza di un vincolo contrattuale fondato sulla detenzione qualificata del bene da parte dell'utilizzatore che prescinde dalla detenzione materiale dello stesso. E' il contratto a determinare la soggettività passiva del locatario e non la disponibilità del bene, quindi il venir meno dell'originario vincolo giuridico (per scadenza naturale o per risoluzione anticipata) fa venir meno la soggettività passiva in capo a quest'ultimo, determinando l'automatico passaggio della stessa in capo al locatore, con rilevanza del presupposto impositivo del possesso nella logica del pieno rispetto del principio della legalità che impone appunto una rigorosa applicazione dei presupposti d'imposta a prescindere da quanto previsto nelle varie istruzioni ministeriali. Dal chiaro dettato normativo contenuto nel menzionato articolo, ne discende che con la risoluzione del contratto di leasing la soggettività passiva ai fini Imu si determina in capo alla società di leasing, anche se essa non ha ancora acquisito la materiale disponibilità del bene per mancata riconsegna da parte dell'utilizzatore. Ciò in quanto, il legislatore ha ritenuto rilevante, ai fini impositivi, non già la consegna del bene e quindi la detenzione materiale dello stesso, bensì l'esistenza di un vincolo contrattuale che legittima la detenzione qualificata dell'utilizzatore.>>.
L'orientamento da ultimo passato in rassegna si è ulteriormente consolidato (cfr. da ultimo, tra le tante, Cass. Sez. VI nr. 31083/2021 e nr. 2349/2021, Sez. V nn. 17492/2021 e 1200/2021).
2.2. Secondo l'assunto della ricorrente, l'interpretazione dalla norma sopra passata in rassegna, che individua il soggetto passivo dell'imposta Imu, nel caso di risoluzione del contratto senza l'avvenuta consegna del bene, nell'utilizzatore del cespite immobiliare non essendo la società di leasing nel possesso e nel godimento dell'immobile, troverebbe conferma nell'art. 1, comma 672, della I. 27 dicembre 2013, n. 147, a tenore della quale <<in caso di locazione finanziaria, la Tasi è dovuta dal locatario a decorrere dalla data di stipulazione e per tutta la durata del contratto, per durata del contratto di locazione finanziaria deve intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipulazione alla data di riconsegna del bene al locatore comprovata dal verbale di consegna>>. Tale norma, applicabile limitatamente al tributo Tasi, non può essere analogicamente estesa anche all'Imu, in primo luogo, perché il comma 703 della stessa legge precisa che
<<l'istituzione dell'IUC (della quale la Tasi è una componente) lascia salva la disciplina per l'applicazione dell'Imu>> e, in secondo luogo, per l'eterogeneità dei rispettivi presupposti applicativi delle imposte in esame. L'Imu, imposta di natura prettamente patrimoniale, ha riguardo, nell'individuare il soggetto passivo, ad una nozione di <<possesso>> civilistica, per cui quello che conta è il titolo contrattuale che giustifica il possesso del bene (proprietà, diritto reale di godimento, contratto di leasing vigente) e non la disponibilità di fatto dello stesso. A conferma di ciò l'art. 9 del d.lgs. citato stabilisce la titolarità passiva dell'imposta in capo al locatario anche nel caso di beni <<non costruiti>> o <<in corso di costruzione>> che, come tali, non possono essere detenuti; in tale ipotesi la stipula del contratto, e non la materiale consegna del bene, rileva ad individuare il soggetto obbligato al pagamento dell'imposta. La Tasi è, invece, destinata al finanziamento di servizi pubblici rivolti alla collettività e, pertanto, deve essere corrisposta sia dai proprietari che dagli affittuari; proprio la fruizione del servizio pubblico indivisibile giustifica l'obbligo del pagamento in capo al locatario finanziario dalla data di stipulazione del contratto a quello di riconsegna del bene al locatore.
Anche in punto di mancanza di identità tra i due tributi le recenti pronunce della Cassazione sopra menzionate hanno fatto chiarezza, escludendo sia l'applicazione della normativa della Tasi, riferita a un diverso tributo, all'IMU sia la valenza interpretativa dell'art. 1, comma 672, della I. 147 /2013.
3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza di secondo grado per "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132 e 156, comma 2, c.p.c. e 36 d.lgs. n. 546/1992", in relazione all'art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., percontrasto tra motivazione e dispositivo per quanto attiene al capo concernente la condanna al rimborso delle spese di lite.
3.1. Il motivo è fondato.
In termini generali, l'incertezza che deriva da un contrasto tra la motivazione ed il dispositivo di una sentenza può essere superata in due modi, uno solo dei quali può determinare l'approdo all'individuazione di un vizio di nullità parziale della sentenza. Il primo modo tiene conto della diversa funzione delle parti della sentenza costituite dal dispositivo e dalla motivazione ed in particolare del fatto che quest'ultima, dovendo contenere "l'esposizione dei motivi in fatto ed in diritto della decisione" (art. 132, n. 4, cod. proc. civ.; secondo l'art. 118 disp. att. "delle ragioni giuridiche della decisione"), costituisce la parte della sentenza che, dovendo rivelare le ragioni giuridiche della decisione, non può che rivelare anche il dictum formalmente espresso dal dispositivo, atteso che è impossibile che si possano esporre le ragioni di una decisione senza indicare appunto la decisione, cioè il loro punto di arrivo e le relative conseguenze. Ne discende che, in quanto il dispositivo ha la funzione di esprimere in forma riassuntiva la decisione, l'incertezza interpretativa emergente per la mancata riproduzione nel dispositivo di una parte della decisione non può che essere sciolta nel senso della prevalenza della motivazione. Il secondo modo di soluzione comporterebbe il riconoscere una prevalenza del dispositivo, nel senso che il contenuto della decisione dovrebbe essere soltanto quello in esso trasfuso, con la conseguenza che la sentenza sarebbe affetta da un'omissione di pronuncia (art. 112 cod. proc. civ.) e sotto tale profilo sarebbe nulla in parte qua e la relativa nullità sarebbe deducibile ai sensi del n. 4 dell'art. 360 cod. proc. civ. esclusivamente dalla parte che abbia subìto un pregiudizio dalla decisione.
La giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso di ritenere che, avendo il dispositivo la funzione di esprimere in forma riassuntiva la decisione, il contrasto tra motivazione e dispositivo, avuto riguardo alle spese processuali di secondo grado, non può che essere sciolto nel senso della prevalenza della motivazione sul dispositivo (cfr. Cass. 4 marzo 2005, n. 4741, e Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 9840 del 2012).
In quest'ottica, in materia di regolamentazione delle spese di lite, integra un'ipotesi di correzione di errore materiale la discrasia tra motivazione della sentenza e dispositivo, non potendosi il contrasto risolvere nel senso della prevalenza del dispositivo sulla motivazione, ove risultino chiaramente spiegate le ragioni della disposta compensazione, in quanto il disp'tf f c\lf&ne0810312023 la funzione di esprimere in forma riassuntiva la decisione (Cass., Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 26236 del 16/10/2019).
Nel caso di specie, la CTR, dopo aver affermato che la peculiarità della questione giuridica trattata costituiva giusto motivo per compensare le spese del giudizio, ha, nel dispositivo, condannato l'appellante al rimborso delle spese di lite in favore della controparte. Ragion per cui il motivo va accolto nel senso di stabilire che le spese relative al secondo grado di giudizio vanno compensate integralmente, come stabilito in parte motiva dalla commissione regionale.
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso merita accoglimento limitatamente al terzo motivo, con conseguente cassazione sul punto della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decisione nel merito della causa, nel senso di dichiarare compensate le spese del secondo grado di giudizio.
Sussistono giusti motivi, rappresentati dall'accoglimento parziale del ricorso, per compensare integralmente le spese di lite.
P.Q.M.
rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il secondo, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara compensate le spese del secondo grado di giudizio;
compensa le spese del presente giudizio.