
Sbaglia la Corte d'Appello a ritenere superata l'irregolarità urbanistica attraverso la formulazione della domanda di assegnazione da parte degli interessati.
L'attrice, in qualità di coerede, chiedeva al Tribunale di Roma lo scioglimento della comunione ereditaria sugli immobili dell'asse precisando che il compendio in comunione comprendeva due appartamenti e alcune pertinenze. Il Giudice di primo grado dichiarava improponibili le domande attoree, rilevando che, in virtù della non comoda...
Svolgimento del processo
1. L.P. ebbe a proporre innanzi il Tribunale di Roma due distinti giudizi, entrambi nei confronti di G.P., A. P., T.P. e R.P..
Nel primo di essi l’attrice chiese, previo rendimento dei conti ex art. 723 c.c., lo scioglimento della comunione ereditaria sugli immobili siti in Roma, via (omissis), precisando che il compendio in comunione comprendeva due appartamenti (in comune con i soli G. P., A. P.) ed i distacchi pertinenziali del fabbricato al piano terra (comuni anche alle sorelle T. P. e R. P.).
Nel secondo giudizio, L.P. chiese invece la condanna di G. P. e A. P. sia al rilascio degli immobili da essi occupati sia al pagamento dell’indennità dovuta per l’occupazione in via esclusiva dei due appartamenti.
Riunite le cause, costituitisi G. P. e A. P., dichiarata la contumacia di T. P. e R. P., il Tribunale di Roma dichiarò improponibili le domande dell’attrice, rilevando che, in virtù della non comoda divisibilità in natura degli immobili ed in assenza di una istanza di assegnazione da parte di G. P., la vendita ai sensi dell’art. 720 c.c. era preclusa dal carattere abusivo degli immobili.
2. Proposto appello da L.P., si costituirono tardivamente i soli G. P. e A. P..
Mentre, tuttavia, G. P. chiese il rigetto dell’appello e, solo in via subordinata, l’assegnazione di uno degli appartamenti, A. P., nel concludere per il rigetto dell’appello, precisò di non essere in grado di chiedere l’assegnazione dell’altro appartamento.
La Corte d’appello di Roma accolse in parte il gravame, disponendo lo scioglimento della comunione; assegnando a L.P. uno degli appartamenti ed a G. P. l’altro; ponendo a carico di L.P. e di G. P. i relativi conguagli a favore di A. P.; condannando -previe reciproche compensazioni tra i conguagli e le indennità di occupazione- il solo G. P. a corrispondere a L.P. la somma di € 39.152,52; condannando, infine, A. P. al rilascio dell’immobile dal medesimo occupato.
In relazione ai motivi di appello, infatti, la Corte concluse che:
- nessuna violazione nel contraddittorio poteva ritenersi sussistente per la mancata citazione del creditore ipotecario Servizio Riscossione Tributi, non essendo il medesimo litisconsorte necessario;
- se, da un lato, infondato era il motivo di appello con il quale veniva contestata la irregolarità urbanistica degli immobili in quanto risultava l’effettuazione su di essi di interventi ampliativi non coperti da concessione edilizia, con conseguente incommerciabilità degli immobili medesimi- dall’altro lato, il motivo di appello col quale era contestata la statuizione di improponibilità della domanda di scioglimento della comunione assunta dal giudice di prime cure risultava superato dalla formulazione -nel giudizio di gravame- delle domande di assegnazione da parte di L.P. e G. P., potendosi procedere allo scioglimento della comunione in conformità alle richieste -non contrapposte- delle parti;
- fondato era il motivo di appello con il quale veniva dedotta l’autonomia delle domande di rendiconto e di pagamento dell’indennità di occupazione rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, con conseguente riforma della decisione di prime cure, nella parte in cui aveva ritenuto le prime due domande assorbite dall’improponibilità della domanda di scioglimento della comunione;
- nel merito, la domanda di L.P. volta ad ottenere la corresponsione per l’indennità di occupazione dei due immobili risultava fondata con riguardo al periodo successivo alla notifica della citazione, giacché con tale atto l’appellante aveva manifestato l’intenzione di utilizzare direttamente i beni occupati dai condividenti.
3. Per la cassazione della decisione della Corte d’Appello di Roma ricorre ora G. P..
Resiste con controricorso L.P..
Sono rimasti intimati A. P., T. P. e R. P..
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380 bis.1, c.p.c.
5. Sia G. P. sia L.P. hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è affidato a tre motivi
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.
Il ricorrente evidenzia, preliminarmente, che la Corte territoriale, dopo avere confermato il carattere di incommerciabilità degli immobili in quanto interessati da interventi di ampliamento non coperti da concessione edilizia, ha tuttavia ritenuto superato il profilo della improponibilità della domanda di scioglimento della comunione in virtù della formulazione, in sede di gravame, di domande di assegnazione degli immobili sia da parte di L.P., sia da parte del ricorrente medesimo.
In tal modo, deduce il ricorrente, la Corte capitolina avrebbe omesso di rilevare che lo stesso G. P. aveva formulato nel giudizio di appello domanda di assegnazione di uno degli immobili subordinandola alla duplice condizione sia della mancata conferma della sentenza di primo grado sia della compensazione integrale del conguaglio con le somme dovute a L.P. e A.P. a titolo di indennità di occupazione.
Conseguentemente, nel disporre l’assegnazione degli immobili, determinando tuttavia i conguagli, la Corte d’Appello avrebbe violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, con conseguente nullità della decisione.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto discussione tra le parti.
Lamenta il ricorso che la Corte d’Appello, nel determinare il valore degli immobili sulla scorta delle valutazioni del C.T.U., non abbia tenuto conto del fatto che la stessa C.T.U. aveva confermato la presenza sull’immobile occupato dal ricorrente di due gravami ipotecari (per debiti di A. P.) ed aveva proceduto alla stima del bene come libero da vincoli ed in regola con la normativa urbanistica, oltre ad evidenziare lo stato di degrado dell’immobile.
Deduce, quindi, il ricorrente che la Corte d’appello abbia determinato il valore dell’immobile a lui assegnato senza tenere conto del necessario abbattimento che doveva essere operato alla luce di quanto riscontrato dal C.T.U.
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 713 segg. e 1243 c.c.
Il ricorrente, in particolare, deduce:
1) la violazione degli artt. 713 segg. c.c. per avere la Corte d’appello sia confuso l’azione di rendimento di conti di cui all’art. 723 c.c. con la richiesta di corresponsione di somme da parte di L.P. a titolo di indennità di occupazione, sia affermato l’autonomia di tale ultima dell’azione rispetto all’azione di scioglimento della comunione cui, secondo il ricorso, la domanda sarebbe invece necessariamente ed inscindibilmente legata;
2) la violazione dell’art. 1243 c.c. per avere la Corte territoriale proceduto ad una compensazione -definita come giudiziale- in assenza dei presupposti di legge, essendo i reciproci crediti oggetto di contestazione;
3) l’omessa considerazione, da parte della Corte territoriale, del fatto che A. P. non aveva formulato domanda alcuna di pagamento di conguagli.
2. Con riferimento al primo ed al secondo motivo di ricorso, questa Corte rileva che la decisione impugnata ha ritenuto che la formulazione in appello delle due domande di assegnazione degli immobili da parte di L.P. e G. P. valesse a superare il profilo della incommerciabilità dei beni medesimi, sebbene la medesima Corte capitolina avesse confermato quest’ultimo profilo alla luce della realizzazione sugli immobili di opere non oggetto di concessione.
Nel ritenere che l’accoglimento della domanda di assegnazione degli immobili non fosse precluso dalla condizione di incommerciabilità la Corte d’appello di Roma ha, tuttavia, statuito in modo difforme del principio affermato da questa Corte, a mente del quale gli atti di scioglimento delle comunioni relative ad edifici, o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dall'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della detta legge, ove dagli atti non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria, ovvero ad essi non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell'opera è stata iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967 (Cass. Sez. U, Sentenza n. 25021 del 07/10/2019 - Rv. 655501 - 01).
Questa Corte, quindi, ha puntualizzato che quando sia proposta domanda di scioglimento di una comunione (ordinaria o ereditaria che sia), il giudice non può disporre la divisione che abbia ad oggetto un fabbricato abusivo o parti di esso, in assenza della dichiarazione circa gli estremi della concessione edilizia e degli atti ad essa equipollenti, come richiesti dall'art. 46 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dall'art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, costituendo la regolarità edilizia del fabbricato condizione dell'azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della "possibilità giuridica", e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale, da ciò derivando che la mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell'edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
È stato, peraltro, chiarito che tale preclusione non investe la comunione nella sua integralità, in quanto permane la possibilità di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione per l'intero complesso degli altri beni, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti.
Da tali principi deriva che la Corte capitolina, una volta accertata la presenza di immobili incommerciabili nel compendio di cui era stata chiesta la divisione, non avrebbe potuto procedere allo scioglimento della comunione neppure in virtù della presenza di domande di assegnazione -non valendo neanche queste ultime a superare l’assenza della condizione dell'azione ex art. 713 c.c., e quindi della possibilità di procedere alla divisione- ma avrebbe dovuto, semmai, verificare la possibilità di procedere allo scioglimento della comunione in relazione ai soli beni eventualmente non interessati dalla sanzione della incommerciabilità.
3. Il rilievo dell’assenza del requisito della regolarità edilizia dell'edificio -profilo che, evidentemente, non necessita di essere sottoposto ulteriormente alle parti ex art. 101, secondo comma, c.p.c., in quanto già oggetto diretto sia della decisione impugnata sia, prima ancora, della decisione di prime cure- comporta di per sé solo la fondatezza del gravame in relazione ai primi due motivi di ricorso, con conseguente cassazione della decisione impugnata.
4. Il terzo motivo di ricorso -nei suoi tre distinti profili- è invece infondato.
Quanto alla deduzione della violazione degli artt. 713 segg. c.c. (si rammenta: per avere la Corte d’appello, da un lato, confuso l’azione di rendimento di conti di cui all’art. 723 c.c. con la richiesta di corresponsione di somme a titolo di indennità di occupazione da parte di L.P. e, dall’altro lato, affermato l’autonomia di tale ultima azione rispetto all’azione di scioglimento della comunione), vale rammentare che questa Corte ha già chiarito che la domanda di rendimento del conto include la domanda di condanna al pagamento delle somme che risultano dovute, in quanto il rendiconto, ai sensi degli artt. 263, secondo comma, e 264, terzo comma, c.p.c. è finalizzato proprio all'emissione di titoli di pagamento, con la conseguenza che non viola l'art. 112 c.p.c., il giudice che, pur senza un'espressa domanda al riguardo, condanni chi rende il conto alla corresponsione delle somme dovute (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2148 del 31/01/2014 - Rv. 629485 - 01).
Sempre questa Corte, poi, ha ulteriormente affermato il principio per cui in tema di divisione giudiziale, qualora al condividente sia assegnato un bene di valore superiore alla sua quota (trattandosi di bene non comodamente divisibile, attribuito al titolare della quota maggiore ex art.720 c.c.) e, sin dall'apertura della successione, il citato assegnatario si trovava nel possesso dell'intero bene, avendone percepito i frutti, oltre al diritto al conguaglio dovuto agli altri condividenti (regolato nell'ambito del giudizio di divisione), sorge a favore di questi ultimi altresì il diritto alla corresponsione degli interessi, di natura corrispettiva, sul capitale oggetto di gestione pregressa, da determinarsi nel più complesso rapporto di debito e credito relativo ai frutti -eventualmente maturati e non percepiti- prodotti dai beni costituenti la comunione ereditaria e di cui investire il giudice non già con la citata azione di divisione (che concerne il conguaglio sul capitale a tale titolo attribuito), bensì con autonoma, sia pure contestuale, azione di rendiconto, in considerazione della situazione esclusiva di godimento dei beni in comunione per il periodo precedente di indivisione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11519 del 25/05/2011 - Rv. 618098 - 01).
Correttamente, quindi, la Corte capitolina ha affermato l’autonomia della domanda di rendimento del conto rispetto alla domanda di scioglimento della comunione (peraltro nella specie proposta con distinta domanda poi fatta oggetto di riunione), così come altrettanto correttamente ha ritenuto -conformandosi ai principi enunciati da questa Corte- che la domanda di rendiconto includesse la domanda di condanna dei convenuti al pagamento delle somme che fossero risultate eventualmente dovute a titolo di indennità di occupazione.
Quanto alla deduzione della violazione dell’art. 1243 c.c., la stessa risulta infondata in quanto, al di là del nomen iuris utilizzato nella decisione impugnata, l’operazione posta in essere dalla Corte d’appello di Roma è, nel concreto, consistita nella regolamentazione complessiva del più ampio rapporto concernente la comunione ed il suo scioglimento, ponendosi quindi al di fuori dei limiti di cui all’art. 1243 c.c. e dando, semmai, applicazione al principio per cui nella divisione ereditaria e in quella ordinaria, il giudice, in presenza di una domanda di rendiconto, può autonomamente provvedere, anche in assenza di apposita domanda, al regolamento, sulla massa, dei debiti dipendenti dal rapporto di comunione o col sistema dei prelevamenti ovvero con l'incremento della quota, costituendo questa autonoma attività giudiziale (Cass. Sez. 2 - Sentenza n. 27086 del 06/10/2021 - Rv. 662376 - 02).
Quanto alla doglianza fondata sulla mancata formulazione, da parte di A. P., della domanda di pagamento del conguaglio, vale il principio per cui in tema di divisione ereditaria, in caso di immobile non comodamente divisibile, l'addebito dell'eccedenza, ai sensi dell'art. 720 c.c., a carico del condividente assegnatario dell'intero bene ed a favore di quello non assegnatario (o assegnatario di un bene di valore inferiore alla propria quota di partecipazione alla divisione), prescinde dalla domanda delle parti, in quanto attiene alle concrete modalità di attuazione del progetto divisionale devolute alla competenza del giudice, perseguendo la sentenza di scioglimento della comunione il mero effetto di perequare il valore delle rispettive quote (Cass. Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 12779 del 23/05/2013 - Rv. 626472 - 01), da ciò derivando che correttamente la Corte capitolina ha determinato il conguaglio a favore di A. P. anche in assenza di specifica domanda, in quanto quest’ultima non risultava necessaria ai fini della corretta determinazione delle quote spettanti ai singoli condividenti all’esito dello scioglimento della comunione.
5. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al primo e secondo motivo, con rigetto invece del terzo.
La decisione impugnata deve essere conseguentemente cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, respinto il terzo, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.